Blaser e la festa per Sabbatini: «Ha deconcentrato la squadra? Mi viene da sorridere»
Difende i risultati della squadra e, di riflesso, l’operato di Mattia Croci-Torti. Mentre a livello di sviluppo commerciale non si ritiene pienamente soddisfatto. A 180 minuti dal tramonto del 2023, il CEO dell’FC Lugano Martin Blaser traccia un bilancio della prima parte della stagione. Chiarendo anche un paio di questioni rimaste in sospeso.
Signor Blaser, detto che mancano due partite alla pausa invernale, oggi che giudizio si sente di dare al percorso bianconero?
«La SA poggia su tre dipartimenti, val la pena ricordarli: Sports, Finance e Commercial. In quest’ultimo, in qualità di responsabile, il mio coinvolgimento è maggiore. Non fosse altro per i 37 anni d’esperienza nel settore. E ci torneremo. Per quanto concerne le finanze - budget e operazioni allo stadio di Cornaredo - purtroppo lo spiacevole incidente occorso a Michele Campana ha frenato la realizzazione di alcuni progetti. Il ds Carlos Da Silva e il tecnico Mattia Croci-Torti sono invece in prima linea sul piano sportivo. L’analisi di dettaglio spetta a loro. Ma anche per il sottoscritto continuano a fare testo gli obiettivi fissati quest’estate».
E quindi?
«Quindi, come volevamo, siamo in corsa per la finale della Coppa Svizzera, con l’obiettivo di cercare di vincerla di nuovo. In Super League continuiamo a puntare ai primi tre posti; non farlo dopo il 3. rango dell’ultima stagione sarebbe suonato strano: ebbene, dopo 18 partite - lo scorso gennaio - il Lugano aveva 27 punti e una differenza reti di +1. Se dovessimo riuscire a battere il Servette domenica saliremmo a quota 28 con almeno un +2. Noto che undici mesi fa regnava grande entusiasmo per i risultati raggiunti; oggi invece percepisco un’eccessiva negatività. Benché le situazioni siano molto simili».
E l’Europa? Giovedì verrà archiviata la partecipazione in Conference League, la prima sotto la sua direzione. Che esperienza è stata sul piano sportivo, commerciale e operativo?
«Qui forse il messaggio del club non è stato compreso al 100%. Naturalmente, la squadra è scesa in campo per vincere tutte le partite. Lo ha però fatto in un gruppo ostico e - soprattutto - in condizioni non ottimali. È stata un’esperienza in tutti i sensi: in termini sportivi - per i tanti giocatori giovani della rosa - e operativi. Penso ai lunghi viaggi, ai ritorni in Ticino in piena notte. Senza dimenticare le trasferte a Zurigo anche per le gare casalinghe. Alibi e scuse non fanno parte del mio DNA. E nemmeno in quello di Da Silva e Croci-Torti. Però, a un certo punto, bisogna accettare e riconoscere che le citate condizioni erano sfavorevoli. In questo quadro, comunque, il gruppo ristretto istituito dalla società per gestire la campagna ha svolto un ottimo lavoro sotto la direzione di Luca Baldo ed Emanuela Fuoco, in assenza di Michele Campana».
Molto concretamente: i 500.000 euro in palio contro il Besiktas - in caso di vittoria - in che misura inciderebbero sul bilancio finale dell’operazione europea?
«Iniziamo col dire che l’incontro andrebbe vinto anche solo per il bene del coefficiente UEFA dei club svizzeri. Tornando alla domanda, è giusto precisare che la società e la prima squadra hanno trovato un accordo circa i bonus e i premi previsti dalla competizione. In caso di 3 punti una parte dell’incasso verrebbe destinata ai premi corrisposti a giocatori e staff. Tradotto: commercialmente, un successo non cambierebbe la nostra vita. E questo sarà un tema anche per le prossime due stagioni. Vorrei infatti far capire all’opinione pubblica quanto - oggettivamente - è vantaggioso giocare in Europa. Tra affitto del Letzigrund (il più basso nella storia del club) e costi per la polizia zurighese (comunque molto onerosi) vengono spesi tra 200 e 300.000 franchi a partita. Uscite alle quali vanno aggiunte molte altre spese, su tutti i costi relativi all’attività della prima squadra».
Menzionava la sua particolare attenzione per l’ambito commerciale. Il club si sta muovendo bene?
«Non posso ritenermi pienamente contento. Anzi, il mio coinvolgimento è tale da spingermi a dire che forse non si sono fatti passi in avanti. Al netto della percezione esterna, e ragionando sul lungo termine, vorrei più qualità. E maggiore autocritica. Martin Blaser, invece, deve fare troppe volte il cattivo. O intervenire per sistemare ciò che non funziona. Insomma, non siamo ancora così bravi come pensiamo di esserlo».
Durante l’ultima conferenza stampa del club - quella del 19 luglio - erano stati presentati anche i ricavi da sponsoring per il 2022: 2,2 milioni di franchi. Cosa può dirci per il 2023? L’anno chiuderà con un incremento?
«Prendendo la stagione 2021-22 come riferimento, e considerato l’insediamento della nuova proprietà in agosto, il 30 giugno del 2022 avevamo perso 420.000 franchi in termini sponsor (per contratti giunti a scadenza). E me ne assumo la responsabilità, dal momento che non volevo più due marchi principali sul petto della maglietta. Il 2022-23 si è invece chiuso con uno scarto positivo di 240.000 franchi, grazie a 660.000 franchi di nuove entrate. Il campionato in corso ci ha fatto poi perdere le superfici della tribuna Monte Brè e quelle dietro le vecchie curve nord e sud: altri 300.000 franchi d’ammanco senza poterci fare granché. Ciò nonostante, stimo un avanzo di 200.000 franchi al termine della stagione 2023/24. In due anni, dunque, abbiamo ricavato circa 1,2 milioni aggiuntivi dagli sponsor. La direzione è giusta, ma le difficoltà permangono. Soprattutto sul mercato ticinese, la nostra priorità, dove si fatica a fare il passo in più. Pochi accettano di compiere uno sforzo oggi - con un prodotto che non è obiettivamente funzionale in termini commerciali - in vista dei benefici di domani. Guardare al resto della Svizzera diventa dunque indispensabile e inevitabile».
Il 20 settembre avete invece annunciato che a dare il nome alla futura arena sportiva saranno le Aziende Industriali di Lugano. È riuscito a convincere tutti coloro che l’hanno ritenuta una scelta di ripiego?
«Credo sia importante ricordare le tappe che hanno portato il club a trovare questo accordo. A fronte di un precedente contratto, sottoscritto un mese prima del nostro arrivo a Cornaredo, il primo incontro ufficiale con la direzione delle AIL si tenne nel gennaio del 2022. E già in quell’occasione illustrai l’idea del “naming right” per il futuro stadio. Allora non ero sotto pressione. In aprile, ad ogni modo, presentai alla controparte anche le differenti prospettive tra la sponsorizzazione principale sulle maglie da gioco e quella dell’arena. Nel frattempo si sono fatte avanti due altre aziende, ma l’unico incontro che abbiamo avuto con loro non ha portato a nulla di concreto. Il 21 settembre 2022 i vertici delle AIL hanno quindi confermato il loro interesse. In dicembre l’intesa definitiva è stata ratificata. E, in questo senso, non credo che via sia nulla da interpretare. Non solo. Da specialista, e per quanto di parte, la ritengo un’operazione di mercato davvero interessante per il nostro partner».
Come e quando definirete la denominazione finale del nuovo stadio?
«Una prima tavola rotonda in merito allo sviluppo del marchio è in agenda il 12 gennaio».
A che punto è invece la ricerca del nuovo sponsor principale che sostituirà AIL sulle magliette ufficiali dell’FC Lugano?
«È la vera sfida. I lavori sono iniziati lo scorso ottobre. Ma da gennaio, per chi opera nel dipartimento commerciale, questa sarà la priorità. Detto che ovviamente esiste una lista di potenziali partner, dovremo bussare a tutte le porte. E, qui, il discorso dev’essere nazionale. Ciò non significa escludere a priori la clientela ticinese. Anzi. Ma siamo e vogliamo essere un’azienda di respiro nazionale. Parliamo di 495.000 franchi di sponsorizzazione dal 1. luglio 2025, per altro - ed è notizia di qualche giorno fa - con la concorrenza sul mercato svizzero dell’FC Basilea, chiamato a cercare il sostituto di Novartis. Servirà molta creatività e pure una certa velocità».
A proposito di creatività. Il match di mercoledì scorso è stato segnato anche dalle celebrazioni per il record di presenze di Jonathan Sabbatini. Non lo ha mai affermato apertamente (ed è doveroso sottolinearlo), ma Mattia Croci-Torti non sembra aver gradito la cerimonia prima del fischio d’inizio. Sul piano nervoso, ha suggerito il tecnico, la squadra non era pronta dal primo minuto. Come responsabile della società, ha qualcosa di cui rimproverarsi?
«Mi assumo il 100% della responsabilità. Un giocatore come Sabbatini, che per 412 volte ha messo l’anima e il sudore per l’FC Lugano, meritava il riconoscimento dell’intera società. Non solo di poche persone. Per quanto riguarda l’ipotetico fastidio provato da Croci-Torti, invece, mi viene da sorridere. Non credo proprio che un festeggiamento del genere possa togliere concentrazione a una squadra. Mai e poi mai, un evento del genere può giustificare una prestazione negativa in campo. A spiegarne le effettive ragioni, semmai, devono essere proprio l’allenatore e il direttore sportivo Carlos Da Silva».
Alcune settimane fa il club ha deciso d’intaccare lo spogliatoio anche con un’altra scelta: l’allontanamento di Nicholas Townsend. Perché non avete voluto spiegare pubblicamente i motivi di questa controversa separazione?
«Premessa: non sono mai decisioni piacevoli. Nicholas Townsend, tuttavia, sa esattamente perché non fa più parte del club. Lo spero, quantomeno. Il tema della gestione degli infortuni non c’entra. Riaprire questo discorso, e dunque le speculazioni su uno o l’altro fronte, non avrebbe in ogni caso senso. Quando le cose non funzionano le emozioni vanno lasciate da parte. E le decisioni relative alla pianificazione delle prossime stagioni che è già in atto vanno prese senza tergiversare eccessivamente».
Townsend era un fedelissimo di Croci-Torti. C’è chi ha interpretato l’esonero del «prof» come un possibile indebolimento della figura dell’allenatore? È così? O il club sostiene ancora al 100% il suo tecnico?
«Posso capire che, all’esterno, magari, si sia potuto leggere la situazione in questo modo. Ma è un’interpretazione assolutamente sbagliata. Non abbiamo bisogno di allontanare una o l’altra figura per lanciare dei segnali a chi siede in panchina. Non è uno stile che condivido. Il mister gode del sostegno della società. Nel mondo di oggi, però - e le aziende di calcio non fanno astrazione - non esistono garanzie a vita, in nessun ambito. Come CEO, e mi riferisco all’operato di ogni componente della società, devo vedere uno sviluppo. Sempre e dappertutto».