Alphonse Leweck e il gol che imbarazzò la Svizzera: «Schema? Macché, improvvisammo»

La Nazionale di Murat Yakin ha qualche dubbio di troppo. Non vince da otto partite, per esempio. Trova sempre il modo di farsi trafiggere, anche. L’amichevole contro il Lussemburgo, domani sera a San Gallo, rischia oltretutto di evocare uno dei peggiori fantasmi del passato. Il 10 settembre del 2008, infatti, nessuno credeva che la prima partita casalinga ufficiale sotto la gestione di sua maestà Ottmar Hitzfeld potesse finire in disgrazia. Eppure, è proprio quanto accadde al Letzigrund. E a trasformare in uno spettacolo imbarazzante quel match valido per le qualificazioni ai Mondiali in Sudafrica ci pensò Alphonse Leweck.
Oggi «Fons» commercia vini, dedicandosi al contempo alle attività di famiglia nel ramo della ristorazione e dell’albergheria. Nel ventaglio dei suoi prodotti, tuttavia, non figurano etichette svizzere. «Ma conosco e non metto in dubbio la qualità dei vostri vini» assicura il 43.enne, contattato dal Corriere del Ticino. «Semplicemente, nell’ambito della rivendita, è difficile convincere il cliente a optare per una bottiglia di valore, ma più cara, se ne può ottenere una italiana o francese a minor prezzo». È anche una questione di sottovalutazione, insomma. Un po’ come successe alla selezione rossocrociata, colpevole - oramai 17 anni fa - di non aver preso sul serio il piccolo Lussemburgo.
Due volte nella storia
Tra il 1995 e il 2007, d’altronde, la squadra del Granducato aveva perso ogni singola gara ufficiale disputata. Una traversata nel deserto lunga 55 incontri, interrotta da una prima oasi felice. «La mia carriera con la nazionale lussemburghese ha conosciuto due apici» rammenta al proposito Leweck: «Prima di decidere la sfida contro la Svizzera, ebbi la fortuna di realizzare il gol decisivo che - un anno prima - ci permise di vincere 1-0 in Bielorussia. All’epoca ero reduce da un brutto infortunio al ginocchio e il ct mi convocò in qualità di jolly. Segnare quella rete, dopo uno stop così lungo, generò in me tante emozioni».
Con tutto il rispetto, la Svizzera del 2008 presentava però un curriculum decisamente più spesso di quello bielorusso. Di qui l’orgoglio raddoppiato del nostro interlocutore. «Al netto del ranking dei rossocrociati e delle partecipazioni agli ultimi tre grandi tornei, sulla panchina si era appena accomodato Ottmar Hitzfeld. Parliamo di uno dei più grandi allenatori della storia. A maggior ragione per chi, come il sottoscritto, seguiva con interesse la Bundesliga e in particolare il Bayern Monaco».


Dilettanti alla riscossa
L’avventura di «Gottmar» sulla panchina elvetica, invero, non era iniziata benissimo. In anticipo sul tracollo di Zurigo, le qualificazioni ai Mondiali del 2010 si erano aperte con un deludente 2-2 in Israele. I 3 punti contro il Lussemburgo, detto altrimenti, non potevano essere messi in discussione. In nessun modo. «E invece la partita si mise subito sui binari giusti» ricorda Levweck, trequartista dai piedi buoni. «Fons» venne gettato nella mischia dopo la pausa, sull’1-1. A insinuare per primo il dubbio nella testa della nazionale svizzera era stato Jeff Strasser, unico giocatore vero - militava nel Metz e avrebbe vestito pure la maglia del Grasshopper - di una formazione composta perlopiù da dilettanti. Una sua punizione, quando sul cronometro correva il 28’, sorprese (eccome) Diego Benaglio, iniziando a raggelare i 20mila del Letzigrund. L’inzuccata vincente di Blaise Nkufo, a un amen dal 45’, sembrava in ogni caso aver rasserenato l’ambiente. Della serie: «Vabbè, ora si dilaga». Come no. «Non parlerei comunque di arroganza da parte della Svizzera» tiene a precisare Leweck. «Chi ha giocato a calcio conosce bene queste situazioni. Inconsciamente, si è certi di una vittoria che rientrerebbe nella normalità delle cose. E anche se c’è la volontà di rimanere concentrati e di non prendere sottogamba una gara sulla carta più semplice, può capitare di dare il 10% in meno. Che diventa il 110% se sommata su una compagine intera. I rossocrociati, nel caso specifico, faticarono tremendamente a cavalcare più momenti dell’incontro. Tanto che un pareggio avrebbe rappresentato un risultato tutto fuorché bugiardo».
Inler e i Luxemburgerli indigesti
No, non finì 1-1. L’inaudito si materializzò all’86’, sotto forma di uno sberleffo. Già, perché la Svizzera venne sorpresa da un elementare schema su punizione. «Tutti i calciatori, da ragazzini, hanno sperimentato almeno una volta quel tipo di soluzione» indica Leweck, ancora divertito. «Ma, ve lo assicuro, non si trattò di uno schema studiato alla vigilia del match. Banalmente, improvvisammo. Sia io, sia Strasser ce la cavavamo sui calci da fermo. Sul momento però mi misi a disposizione di Jeff, dicendogli che avrei fintato il tiro per poi provare a smarcarmi sulla destra. La scelta finale, quindi, sarebbe toccata a lui». Beh, lasciato totalmente libero da un avversario in versione belle statuine, Leweck si rivelò il miglior lasciapassare possibile per la gloria del Lussemburgo e l’imbarazzo rossocrociato.


«Una serata purtroppo indimenticabile», titolò il CdT dell’11 settembre, rincarando la dose pure il giorno seguente: «La peggior sconfitta del nostro calcio». Il paragone, nel dettaglio, venne fatto con la figuraccia rimediata in Azerbaigian nel 1996 e il 2-1 subito a Cipro nel 1968. «Una prestazione assolutamente disarmante» sentenziò il Tages Anzeiger, mentre il Blick scrisse di un «buco nero» che aveva risucchiato la squadra. Proprio il provocatorio quotidiano confederato rese inoltre iconica una foto scattata alla vigilia della sfida. Il soggetto? Capitan Gökhan Inler intento a divorare una manciata di gustosi Luxemburgerli griffati Sprüngli. L’immagine, va da sé, venne sfruttata da altri media nelle ore seguenti al tonfo del «Letzi» e pure nelle scorse ore è inevitabilmente tornata a fare capolino. Il successo del 2008, rileva al proposito Leweck, «permise al piccolo Lussemburgo di guadagnarsi il rispetto altrui». L’ammissione di colpa di Hitzfeld, per contro, fu perentoria: «Siamo lo zimbello della Nazione». A posteriori, tuttavia, il commissario tecnico avrebbe riconosciuto l’importanza di quella débâcle, al fine di adottare una gestione dello spogliatoio più severa e - grazie a cinque successi consecutivi e altri tre risultati positivi - trascinare la Svizzera ai Mondiali sudafricani.
I Bebeto del Granducato
Alphonse Leweck, da parte sua, divenne una leggenda in Lussemburgo. E non solo. «Il giorno dopo la vittoria ricevetti le telefonate di parecchi giornalisti svizzeri, mentre in patria i quotidiani narravano di un “match perfetto”. Dopo tutto si trattò di un avvenimento indimenticabile, e sul piano sportivo, e per il Paese in generale». Si capisce. «Trovare un gol del genere, proprio a ridosso del triplice fischio finale, è stato incredibile. Un momento e una gioia che ho assaporato per diversi giorni». E che di primo acchito venne festeggiato in modo speciale. «Fons», 55 gettoni in nazionale, conferma: «Patrick Posing, compagno di nazionale, era diventato padre da pochi giorni. E scherzando a ridosso della partita insieme a Strasser - con cui condividevo la stanza d’hotel -, ci ripromettemmo che se uno dei due avesse segnato, avremmo fatto i Bebeto del Lussemburgo». Clamorosamente, entrambi trovarono la via della rete. «Allora - prosegue Leweck - la selezione nazionale non disponeva dei mezzi attuali. Di fatto, la nostra era una realtà semiprofessionale, con la maggior parte dei giocatori che non potevano permettersi di vivere solo di pallone». Il successo ottenuto ai danni della Svizzera favorì un cambio di marcia. «A mio avviso - evidenzia il match-winner dell’epoca - la vittoria contro la Svizzera costituì la fonte, il pilastro per tutti i risultati positivi maturati in seguito e, più in generale, l’importante crescita del calcio lussemburghese. L’accademia che s’installò proprio in quegli anni nel Paese ha continuato a produrre numerosi talenti». E così le ambizioni del Lussemburgo non hanno più smesso di crescere, spingendosi sino agli ultimi playoff validi per l’accesso a Euro 2024.


La situazione è cambiata
«Oggi - indica Leweck - la selezione nazionale offre un calcio di alto livello, con elementi che giocano con regolarità all’estero». Chiedetelo alla Svezia - temibile avversaria della Svizzera nella campagna verso la prossima Coppa del Mondo -, sconfitta in amichevole sabato. «Ciò che va notato e sottolineato rispetto agli ultimi anni, è la stabilità del gioco e delle prestazioni fornite. Qualche passaggio a vuoto ci sarà sempre, a maggior ragione considerata la filosofia offensiva oramai abbracciata dalla selezione. Ma rispetto al 2008 è tutta un’altra storia». Speriamo che la Nazionale di Murat Yakin non abbia paura dei fantasmi.