Addii e ritorni

Hirscher e Vonn, perché è impossibile restare a guardare

Se Rafa Nadal ha appena messo fine alla carriera, i due ex fenomeni dello sci hanno (clamorosamente) cambiato idea - Il sociologo Fabien Ohl: «Per molti atleti significa mettere in discussione l’unica identità plasmata per anni»
©APA/JOHANN GRODER
Massimo Solari
20.11.2024 22:30

È successo tutto nel giro di una settimana. Rafael Nadal, signore e leggenda del tennis, ha vissuto un ultimo sussulto agonistico, prima di congedarsi dall’amato pubblico. Qualche giorno prima, in parte atteso, ma comunque clamoroso, è giunto l’annuncio di Lindsey Vonn: «Torno alle gare». Tra venerdì e sabato, invece, Mike Tyson è incappato in una figuraccia da 20 milioni di euro, probabilmente di più, mentre Marcel Hirscher - citiamo - ha vissuto «uno degli slalom peggiori» della sua vita a Levi. Addii e ritorni, dunque. Sipari che calano o che vengono riaperti dopo anni. Scelte difficili e inevitabili da un lato e operazioni per certi versi incomprensibili dall’altro. E gli interrogativi si moltiplicano. Fabien Ohl è professore ordinario all’Università di Losanna e parte della sua ricerca si concentra proprio sulla sociologia delle carriere sportive. «Quando si mette fine a un percorso ad alto livello - premette - si può provare sollievo e appagamento, ma capita altresì di soffrire». In ogni caso, aggiunge, si tratta di un passaggio «tutto fuorché evidente, a maggior ragione se si abbandona una grandeur e un’identità costruite esclusivamente sulla performance».

Transizioni positive

Ohl e gli esperti del settore la definiscono une épreuve de la petitesse. «Perché tutto si riduce, dalla fama alla sfera d’influenza». Questo ridimensionamento può essere lento o brutale, a seconda della mediatizzazione dello sport interessato. «Vi sono differenti maniere, e vi sono difficoltà diverse, quando si tratta d’interrompere una carriera» osserva il sociologo. Per poi precisare: «Ogni atleta, idealmente, cerca di concludere al meglio, con una vittoria, un momento celebrativo o una pianificazione elaborata con un certo anticipo. Capita tuttavia che siano dei gravi infortuni a determinare lo strappo, una débâcle dalla quale non ci si riesce più a riprendere o ancora un caso di doping».

Nel caso di Nadal, rileva Ohl, «è stata seguita una precisa ritualità, poiché - al netto della sconfitta sul campo - il commiato era preparato e si è consumato in Spagna, di fronte ai tifosi di casa. C’è stato un accompagnamento, insomma. E in circostanze del genere il tutto si traduce in una transizione che valorizza lo sportivo». Per buona parte degli atleti, spiega Ohl, la fine dei giochi «assume un carattere definitivo e sfocia in altre attività professionali o progetti. Per altri il legame con la disciplina prediletta perdura nei panni dell’allenatore o del dirigente. Le risorse finanziarie e sociali, va da sé, possono facilitare questi processi positivi e risolutivi».

Un senso differente

La reazione opposta, e cioè la transitorietà di un addio, scaturisce sovente da un’altra, importante variabile. «La cultura della competizione e del risultato. Che per certi atleti è smisurata» evidenzia Ohl. «Venire privati dell’agonismo, e accettarlo, non è così semplice e indolore. Ecco perché alcuni sportivi avvertono l’esigenza di rientrare». Hirscher e Vonn, già. «In questi casi, credo, esiste un bisogno di dimostrare di poter essere ancora all’altezza, e però anche la difficoltà nel trovare e nel dare un senso differente alla propria esistenza, un senso che trascende la prestazione. Mentre si taglia il traguardo, si sale su un podio o si viene ricoperti dagli applausi durante una partita, le emozioni sono talmente forti che è dura digerire di non poterle ritrovare nel post carriera». Per altro, non sono le uniche sensazioni inebrianti che svaniscono. «Accettare di essere sostituiti da altri atleti, accettare l’oblio, può essere faticoso. Ripeto: da un punto di vista psicologico significa mettere in discussione l’unica identità plasmata per anni, oltretutto con enormi sacrifici».

Accettare l’oblio e privarsi di emozioni così forti, è faticoso. La cultura della competizione può essere smisurata
Fabien Ohl, professore all'Università di Losanna

Fragilità allo specchio

E a proposito di identificazione. La percezione dei tifosi, le loro fantasie anche, possono agevolare (o intricare) i processi decisionali dei campioni al tramonto. «Le difficoltà incontrate dagli atleti, i limiti fisici come nel caso di Nadal o Federer, costituiscono delle sfide in cui gli appassionati amano ritrovarsi» sottolinea il nostro interlocutore. «È come se lo sportivo fosse uno specchio in grado di riflettere le fragilità che, presto o tardi, segneranno anche le nostre vite. E il modo in cui vengono affrontate lungo una carriera sportiva creano un effetto immedesimazione. D’altronde lo sport affascina anche per questa ragione. È una grande messa in scena delle emozioni, dei successi, ma pure dei fallimenti e delle sofferenze, oltre che delle soluzioni scelte per farvi fronte». Pochi minuti dopo l’eliminazione della Spagna dai quarti di finale della Coppa Davis, oramai già da ex giocatore, Nadal ha riassunto questa prossimità, questa possibile sovrapposizione, in una dichiarazione genuina. E vera. «Certo che si ricorderanno di me per i tornei vinti, ma tengo di più a essere ricordato come una brava persona». E, nota Ohl, «realismo, lucidità ed umiltà non possono che favorire l’empatia e la stima altrui».

Valori simbolici ed economici

I come back di Hirscher e Vonn, al contrario, sembrano fare a pugni con la razionalità. C’è qualcosa di folle, soprattutto per quanto riguarda la sciatrice statunitense, 40 anni e un’articolazione artificiale innestata nel ginocchio martoriato lungo 19 anni sul circuito. «Per certi versi è proprio una lotta contro l’incedere dell’età, quella a cui stiamo assistendo» afferma Ohl. «Come suggerivo, perdere il gusto della competizione e finire ai margini del giro equivale a un trauma psicologico. E, nel caso di Hirscher e del suo marchio di sci Van Deer, l’ebbrezza di una gara e di un’eventuale vittoria rimane superiore a quella garantita da un business riuscito. Perciò viene riattivata la precedente identità sportiva, perciò ci si dà la possibilità di vivere una seconda transizione verso il ritiro. Questa volta senza rimpianti».

Hirscher ha riassaporato la neve in due occasioni, stupendo in positivo nel gigante di Sölden e sfigurando tra i paletti stretti in Finlandia. «Nel bene e nel male, comunque, si parla di lui. Sì, Hirscher è tornato a esistere attraverso l’attenzione mediatica». In questo senso, e pensando altresì a Vonn, vien da chiedersi quanto incida - se lo fa - un certo narcisismo dei diretti interessati. «Di sicuro vi sono dei valori simbolici in declino e delle strategie per tornare ad alimentarli, beninteso convertendoli pure in valori economici» osserva Ohl: «Dopo tutto, oggi i grandi sportivi incarnano pure dei marchi da vendere sul mercato. Ben venga dunque riattivare questa componente tra i tifosi, sulle reti sociali e a favore della FIS. Le performance degli atleti, in fondo, rappresentano delle narrazioni e se vi sono delle belle storie da raccontare, delle variazioni sul tema, il circuito ha solo interesse a incidere su audience e attrattività. Poco importa se i ritorni in questione saranno lastricati dalle difficoltà, condurranno al successo o al fallimento».

«Vonn? Non credevo potesse essere così stupida»

«Non è mai facile smettere, amo ancora il tennis da morire ma non riesco più a essere competitivo. Il corpo non me lo permette più». Con queste parole, in una Martin Carpen Arena raccolta in silenzio religioso, Nadal ha sintetizzato le ragioni alla base del ritiro. «Il mio fisico è rotto e irreparabile». No, non è la nota posta in calce dal maiorchino. Questa è la dichiarazione con cui, nel 2019, Lindsey Vonn motivava il suo di addio. Ed è proprio alla luce di questo antefatto che il suo rientro continua a provocare un certo disorientamento. «Ma il fattore fisico, la risposta che darà la protesi inserita nel ginocchio della statunitense, contribuisce a questo racconto inedito» rileva il sociologo Fabien Ohl, evidenziando l’enorme rischio che è pronta ad assumersi l’atleta. Un’atleta, lo ricordiamo, che intende tornare a gareggiare in discesa e superG. A 120 all’ora.

Al proposito, interpellati dal Blick, gli ex campioni rossocrociati Sonja Nef e Bruno Kernen non hanno celato il personale scetticismo. Come Vonn, entrambi - al termine della carriera - hanno consolidato il ginocchio con un’articolazione artificiale. E Nef, in particolare, non ha fatto sconti all’americana. «Lindsey ha un ginocchio di metallo e una caduta, per lei, potrebbe essere devastante. Nessun chirurgo al mondo direbbe che quello che sta facendo è intelligente». L’ex gigantista elvetica ha rincarato la dose. «Ho pensato: non può essere così stupida. Ma evidentemente lo è, purtroppo. Vonn sta distruggendo gran parte della sua immagine». Nef si è esposta pure sulle motivazioni alla base del ritorno alle competizioni della star a stelle e strisce. «Credo che Lindsey non sia in grado di affrontare una vita normale, dove non è sempre al centro dell’attenzione. Per questo mi dispiace per lei». La Federazione americana, si è appreso ieri, ha chiesto alla FIS di concedere un invito a Vonn affinché possa disputare i superG di St. Moritz, in agenda prima di Natale.

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