Ma cambiare portiere, in casa Svizzera, non è sempre stato indolore
Probabilmente farà un certo effetto al momento degli inni. Quando, appena prima di capitan Granit Xhaka, la telecamera indugerà su un profilo insolito. Più alto e imponente di Yann Sommer. La presenza di Gregor Kobel nell’undici titolare di Murat Yakin e, di riflesso, a difesa della porta della Svizzera, non dovrebbe però tardare a essere metabolizzata. Poiché logica, meritata anche, a margine del fresco addio del portiere dell’Inter. Sì, il passaggio di testimone tra estremi difensori - perlomeno sulla carta - si preannuncia indolore. «Era il momento giusto» è stato sottolineato a più riprese, in questi giorni, dai diversi attori coinvolti. Bene. E allora, per quanto il ruolo in questione sia delicatissimo, il debutto di giovedì in Nations League contro la Danimarca non deve fare paura. A Kobel, va da sé, il compito di confermare o smentire questa spensierata sensazione di fine estate.
Il grande salto di Benaglio
Sommer ha protetto i rossocrociati per dieci anni. E ciò conquistandosi i galloni da titolare a 25 anni. Kobel gli succede con una primavera in più. E per le prospettive a medio-termine è indubbiamente una buona notizia. C’è margine per crescere insieme, insomma, o come minimo per coltivare le ambizioni di una selezione che non può più nascondersi dopo lo splendido Europeo in Germania. Non è sempre stato così. No, in termini di chiarezza e coerenza delle scelte, il ruolo del portiere ha sovente fatto tribolare l’ambiente elvetico nel nuovo millennio.
L’intronizzazione dello stesso Sommer, in fondo, non era scontata nel settembre del 2014. All’epoca, in effetti, non era il solo a poter vantare un trasferimento in Bundesliga, al Borussia Mönchengladbach per la precisione. Anche Roman Bürki, poi costretto a vivere quasi cinque anni nell’ombra, aveva convinto il Friburgo. Alla fine, però, a convincere il nuovo ct Vladimir Petkovic era stato il concorrente esploso con la maglia del Basilea. Una scelta, questa, resasi necessaria dopo il ritiro di Diego Benaglio, numero uno della Nazionale dal febbraio del 2008 agli struggenti ottavi di finale dei Mondiali brasiliani, persi con l’Argentina. La reazione di «Vlado»? Stringata. «Sua la decisione, sua la responsabilità».
«Zubi» ci rimase male
A unire l’epifania rossocrociata di Sommer e Benaglio sono diverse coincidenze significative. Classe 1983, pure Diego scalò le gerarchie in giovane età e in concomitanza con l’investitura nel massimo campionato tedesco. A scommettere sul portiere zurighese, prelevandolo dai portoghesi del Nacional Funchal durante il mercato invernale, fu il Wolfsburg. E quella sarebbe stata tutta un’altra storia - con tanto di titolo clamoroso nel 2009 - rispetto all’acerba parentesi con la maglia dello Stoccarda, archiviata senza gettoni in Bundesliga. Il selezionatore Köbi Kuhn ritenne opportuno giocare a carte scoperte il 5 febbraio del 2008, a soli quattro mesi dall’Europeo di casa e prima di sfidare l’Inghilterra a Wembley, guarda caso stesso avversario della «prima nazionale» di Sommer.
Sino a quel momento a regnare era per contro stata l’incertezza, con tre giocatori testati negli innumerevoli ed esotici test previsti per una squadra già qualificata: Pascal Zuberbühler, Fabio Coltorti e - appunto - Benaglio. Soprattutto «Zubi», leggiamo dal CdT di allora, non prese bene il declassamento voluto da Kuhn. Il Mondiale in Germania vissuto da protagonista e senza subire reti nell’estate del 2006, a suo dire, avrebbe dovuto costituire una polizza sulla vita. Già. Peccato che il diretto interessato avesse 37 anni e nel frattempo militasse per il Neuchâtel Xamax. Quel cambio di guardia, riassumendo, conobbe esitazioni e malumori.
Stiel al tramonto
Fortunatamente Benaglio non deluse al debutto. «C’è del buono dentro questa sconfitta» titolò sempre il Corriere del Ticino, alludendo alla prova del portiere nel quadro del 2-1 subito a Londra. L’estremo difensore, suggerivamo, era già sceso in campo a più riprese prima di quell’incontro, a partire dal match amichevole con la Cina del giugno del 2006. Uno anno e otto mesi d’attesa per diventare il numero uno incontrastato, tuttavia, non sono nulla se paragonati ai dieci anni che trascorsero dall’esordio di Zuberbühler - era il 1994 - alla sua prima gara da titolare fisso.
«Zubi» subentrò definitivamente a Jörg Stiel a 33 anni e con già 21 presenze all’attivo in Nazionale. «Non è come la prima volta» dichiarò non a caso all’alba delle qualificazioni ai Mondiali del 2006. La grande chance di difendere i colori del proprio Paese, per il predecessore, si presentò addirittura più in là con l’età, a 34 anni. Stiel (e prima di lui i vari Lehmann, Borer e il citato Zuberbühler) si ritrovarono d’altronde a fare i conti con un certo Marco Pascolo. Il passo indietro di quest’ultimo avvenne un po’ all’improvviso, nel settembre del 2001, dopo il rovescio interno con la Jugoslavia valido per le qualificazioni ai Mondiali nippo-coreani. Köbi Kuhn, sempre lui, non si ritrovò però solo la patata bollente del portiere fra le mani, ma pure gli abbandoni controversi di due Stéphane illustri: Chapuisat e Henchoz. A differenza di Pascolo, certo di essere arrivato alla fine di un ciclo, l’allontanamento dei due durò però solo alcuni mesi. Mancata la Coppa del Mondo del 2002, entrambi riuscirono infatti a riportare la Svizzera a un grande torneo: Euro 2004. C’era pure Stiel, rimasto senza club dopo tre anni a Gladbach. Il suo addio alla Nazionale, una volta conclusa la competizione continentale, non sorprese nessuno. Vent’anni più tardi, sempre senza particolare sorpresa e scossoni, tocca a Gregor Kobel raccogliere l’eredità di Yann Sommer.
La benedizione di Patrick Foletti
Mentre il nuovo numero uno doveva mordere il freno, nonostante le convincenti prestazioni e i riconoscimenti in Bundesliga, sottovoce si è più volte dibattuto del rapporto quasi fraterno tra Sommer e il preparatore dei portieri Patrick Foletti. Un ostacolo praticamente insormontabile, stando ad alcuni, per l’estremo difensore del Borussia Dortmund. Verità o speculazione di parte? «Di questo legame, in effetti, si è parlato molto e credo che una simile vicinanza sia inevitabile quando si lavora insieme per molto tempo» ha osservato proprio Foletti dal ritiro basilese della Nazionale. Il ticinesi ha però tenuto a precisare: «Ho un buon rapporto con tutti i miei portieri, e pure quello con Gregor è molto, molto stretto». Il preparatore degli estremi difensori elvetici si è espresso a due settimane dall’addio annunciato da Sommer e a due giorni dall’esordio di Kobel quale nuovo titolare, in occasione del primo match di Nations League con la Danimarca. «Sono i fatti a determinare chi diventa il numero uno e in questo momento Kobel è semplicemente il miglior portiere a disposizione della Svizzera» ha indicato Foletti. «Gregor era affamato, nell’ultimo periodo ha dimostrato di voler giocare davvero. Ma non ho mai percepito che ponesse delle condizioni; insomma che ambisse a essere solo il numero uno. È sempre stato orgoglioso di far parte della Nazionale». Nazionale che ora, stando al preparatore dei portieri, potrà fare affidamento su un profilo «dal grande carisma. Kobel, con le sue qualità, porta in campo una forza per certi versi brutale».