Perché, al Wankdorf, non è una missione impossibile
È curioso. È curioso perché l’ennesimo capolavoro bianconero in Coppa Svizzera sembra reggersi su un ossimoro. Una contraddizione, insomma. Sia alla vigilia, sia nel post partita - quando è stato emozionante abbracciarsi forte - si è parlato di un successo figlio dell’«esperienza». Già, eppure, dati e volti alla mano, la squadra che ha conquistato la seconda finale consecutiva presentava un non so che di acerbo. Parlare d’immaturità sarebbe profondamente sbagliato. Meglio scomodare la spavalderia. E Guccini. Tutti gli eroi sono giovani e belli e allo Stade de Genève, sotto la luna piena, è stato possibile trasformare la variabile anagrafica in un valore aggiunto. Nella scorsa edizione, in occasione della semifinale vinta ai rigori contro il Lucerna, l’età media del Lugano era di 28,1 anni. Più alta di quella avversaria. Nel giro di dodici mesi si è perso un anno giusto giusto: 27,1 anni, a fronte dei 28,7 granata. A godere, dopo oltre due ore con il cuore in gola, è stata però la formazione di Mattia Croci-Torti, allenatore classe 1982 che ha rovinato la festa al 62.enne Alain Geiger. «Sull’1-0 abbiamo creduto di essere in un match di gala» ha dichiarato il tecnico granata. Oddio, in realtà è stato proprio l’ambiente ginevrino - staff tecnico compreso - a gonfiare a dismisura «il match del decennio». Ancor prima di giocarlo. Ancor prima di perderlo.
Tutto scritto? Macché
Il Crus, invece, ha ribaltato il paradosso citato in apertura. Dimostrando che, sì, il Lugano queste partite da dentro o fuori - in un modo o nell’altro - ha imparato ad addomesticarle. Prendete lo stesso mister ticinese: dodici mesi fa, l’invasione di campo per rincorrere Zan Celar - rigorista decisivo - si era interrotta dopo alcuni metri, per colpa di una buffa caduta. Alle 23.05 di mercoledì, invece, Croci-Torti ha guidato senza tentennamenti la travolgente corsa verso capitan Sabbatini. Commovente. A quel punto, la lucidità aveva oramai lasciato spazio alla follia. Nei supplementari e sotto 1-0 - quando il Servette sembrava avere la gara in pugno - la lucidità è al contrario stata fondamentale. Peccato solo per quelle chance madornali fallite a inizio ripresa e per le infelici perdite di tempo che hanno allungato l’incontro sino in «zona Crivelli».
Poco male. Il club bianconero si è regalato - e ha regalato al Ticino intero - un altro appuntamento con la storia. Un traguardo enorme per una società periferica e, nonostante l’avvento della proprietà Mansueto, costruita con mezzi inferiori e in condizioni tutto fuorché ottimali rispetto alle «big» del calcio svizzero. Lo Young Boys, al proposito, attende il Lugano al varco. In casa propria, il 4 giugno, per una finalissima che - sulla carta - assomiglia a un noioso racconto. Senza colpi di scena e con un epilogo scontato. Beh, sull’attribuzione dei ruoli vi sono oggettivamente pochi dubbi: i gialloneri sono i chiari favoriti, mentre la vittoria di Daprelà e compagni rischia di ottenere una quotazione a due cifre. Proprio queste premesse, sommate alle capacità dell’allenatore e all’incredibile spirito del gruppo, suggeriscono però un canovaccio differente. Non da missione impossibile, per intenderci. E, beninteso, detto sotto voce.
Di pressione e assilli
A differenza del 2022, tra semifinale e finale non trascorrerà la miseria di tre settimane. Due mesi. Un periodo molto lungo, che inevitabilmente smorzerà l’entusiasmo e la fiducia generati dalla notte magica allo Stade de Genève. Ma cosa significa, concretamente, per la squadra e chi la dirige? Mattia Croci-Torti, in ogni caso, potrà presentarsi a Berna con qualche arma in più. In primis, una leggerezza mentale estranea allo Young Boys. La compagine di Raphaël Wicky avrà tutto da perdere, a maggior ragione considerati i precedenti sul sintetico del Wankdorf, dove i bianconeri non vincono dall’aprile 2017. Un’eternità, sportivamente parlando, che non lascia scelta ai padroni di casa. Il Lugano, invece, la Coppa l’ha appena conquistata e riuscirci di nuovo - banalmente - costituirebbe una delle imprese sportive più importanti del calcio elvetico moderno. Bene. Peccato che al netto della pressione, l’YB potrà permettersi di preparare il grande ballo senza l’assillo del campionato. Un campionato dominato e, di riflesso, ipotecato da parecchie settimane. Diverso il discorso per la società bianconera, invischiata nella lotta per i piazzamenti europei e chiamata a rispettare le promesse fatte a inizio anno. No, non c’è solo la Coppa e però - come la scorsa stagione - proprio l’accesso all’ultimo atto potrebbe tornare a disorientare lo spogliatoio. Con tre o addirittura quattro posizioni alle spalle dei futuri campioni svizzeri ancora in grado di aprire le porte delle competizioni continentali - in caso di successo dello Young Boys in finale pure il 5. posto entrerebbe in linea di conto - è probabile che il Lugano si batterà sino alla fine per un posto al sole. Sino all’ultimo turno di Super League, insomma, agendato lunedì 29 maggio, sei giorni prima del match al Wankdorf.
Aspettando Mahou
Oltre al campionato, il Crus ha almeno altri due rebus da sciogliere. Più personali. Nelle prossime settimane, infatti, si tratterà di capire e decidere chi sarà il portiere a Berna. Un anno fa toccò a Saipi, in quanto numero uno e portiere «nella migliore forma». La prestazione di Osigwe con il Servette, sublimata dall’intervento salva partita su Pflücke, obbliga però a riflessioni più ampie. E per certi versi meritocratiche. Croci-Torti non ha mai parlato apertamente di un «portiere di Coppa». Qui, tuttavia, gli estremi sarebbero dati. E poi? Poi, naturalmente, c’è il caso Steffen, più nocivo che utile in semifinale. Per l’ennesima volta, oltretutto. Da qui alla partitissima contro lo Young Boys Croci-Torti potrebbe recuperare Mahou, suo pupillo, mentre Aliseda è - e ci si augura sarà - intrattabile e intoccabile. Non solo: nel frattempo pure Bottani - che può giocare anche da esterno e sacrificarsi, vedi l’ultimo atto del 2022 - avrà l’opportunità di ritrovare le migliori sensazioni sul piano atletico. Dovessimo scommettere, punteremmo comunque sulla titolarizzazione di Steffen. Un ossimoro, forse, sul quale provare a costruire l’ennesimo capolavoro in Coppa Svizzera.