Perché la tappa segnata dalla caduta di Gino Mäder non si è conclusa sul passo?
Quando il medico di gara lo ha trovato, ieri, Gino Mäder giaceva immobile in acqua. Il ciclista svizzero, morto oggi all’età di 26 anni a causa delle gravissime ferite riportate, stava scendendo dal passo dell’Albula a grande velocità durante la quinta tappa del Tour de Suisse.
La notizia del decesso di Mäder, oltre a sconvolgere l’intero mondo del ciclismo, e non solo, ha rilanciato le polemiche attorno alla frazione di giovedì. Scatenando, fra gli altri, anche le ire di molti corridori, con il campione del mondo Remco Evenepoel in testa: «Non è stata una buona decisione lasciarci percorrere questa discesa» ha detto. Meglio, molto meglio un arrivo in salita. E poi, rivolgendosi ai colleghi, il belga ha lanciato una sorta di appello: «Anche noi corridori dovremmo pensare ai rischi che corriamo quando scendiamo da una montagna».
La questione logistica
I motivi per cui la tappa, ieri, non si è conclusa in cima all’Albula sono – innanzitutto – logistici. Lassù, infatti, è molto complicato installare l’intero carrozzone del Tour. Sì, ci sono alcuni posteggi accanto all’ospizio. Ma per il resto, beh, a dominare sono i prati. Certo, fra i critici si è levata più di una voce: d’accordo la sfida logistica, ma un arrivo «light» solo con le installazioni essenziali sarebbe stato non solo possibile, ma auspicabile appunto. Anche perché l’Albula, fa notare Watson, è pianeggiante per circa un chilometro e mezzo.
L'aspetto popolare
A pesare, tuttavia, sarebbe stato anche un secondo aspetto. Il Tour de Suisse, quale caratteristica principale, ha quello di essere un evento popolare. Una festa. Gli organizzatori, al riguardo, da anni insistono affinché, all’arrivo, la componente sportiva sia accompagnata anche da eventi di ogni genere. La Punt, il Comune engadinese arrivo della quinta, tragica tappa, aveva ospitato la carovana del Tour in diverse occasioni. Nel 2010, nel 2013 e nel 2017, rimanendo in anni recenti.
In cima al passo, per forza di cose, difficilmente le scolaresche sarebbero entrate in contatto con i corridori, lo stesso dicasi per i tanti sponsor e le esigenze dei loro rappresentanti. Di fatto, un arrivo all’Albula avrebbe dato l’impressione che il Tour fosse tornato in epoca coronavirus: un arrivo sterile, asettico, con poche persone.
Discesa rischiosa sì o no?
A freddo, facendo astrazione delle emozioni e del dramma, la discesa verso La Punt non è certo più pericolosa di altre. Come ha sottolineato il professionista tedesco Simon Geschke, in risposta a Evenepoel: «La discesa non era pericolosa». E ancora: «Strada buona, niente tunnel, curve ben visibili». Tuttavia, anche Geschke ha concordato sul fatto che, negli ultimi dieci chilometri di una gara, possano sorgere problemi. «Ma sono i corridori ad assumersi rischi, non solo in discesa».
Tradotto: spetta a chi sale in sella, che sia un semplice ciclista della domenica o un professionista, valutare la situazione e i potenziali rischi. È chiaro che, a simili velocità, come quelle toccate sull’Albula, il solo casco potrebbe non essere abbastanza in caso di incidenti o cadute. Ne abbiamo avuto conferma, purtroppo, fra ieri e oggi.