Quale eredità dopo Qatar 2022? «O più candidature, o poco cambierà»
Gianni Infantino si è rivolto direttamente al G20, riunito in Indonesia. «Si promuova un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina per l’intera durata dei Mondiali» l’appello ai maggiori leader del pianeta. Tutto molto nobile. E curioso. Perché un cessate il fuoco, con le dovute proporzioni e sfumature formali, il presidente della FIFA lo aveva chiesto anche per Qatar 2022. Ricordate la lettera inviata a tutte le federazioni presenti a Doha? «Concentratevi sul calcio, cercando di rispettare tutte le opinioni e le credenze, senza dare lezioni morali al resto del mondo». Ah, ecco. Va da sé, la missiva non è stata presa benissimo dai destinatari e dall’opinione pubblica. L’ennesimo pasticcio. L’ennesima polemica. A poche ore dall’inizio della prima edizione della storia in Medio Oriente, scivoloni, polemiche e nuovi dossier scottanti sono oramai merce quotidiana. Chiedersi quale sarà l’eredità dei Mondiali qatarioti è insomma urgente. E per il Paese ospitante, e per la FIFA. Ma altresì per l’ecosistema dei grandi eventi sportivi.
Meglio gli eventi ricorrenti
Jean-Loup Chappelet è tra i più grandi esperti in materia di organizzazioni sportive internazionali e governance. E, contattato dal CdT, le sue riflessioni invitano per l’appunto a guardare in due direzioni: sia riconoscendo il terreno sul quale il Qatar ha costruito la competizione, sia immaginando le condizioni che regoleranno le future attribuzioni.
«Con il Mondiale, l’evento sportivo più lungo nel tempo, l’Emirato ha in qualche modo riempito la coppa. Parliamo del coronamento di una strategia di accoglienza quasi ventennale» sottolinea il professore dell’Università di Losanna. «Dal 2006 in avanti, si sono infatti susseguite diverse competizioni iridate di minore durata». Dal Triathlon nel 2006, alla pallavolo nel 2011, passando per nuoto (2014), pallamano (2015), ginnastica (2018) e atletica (2019). Per tacere dei Giochi asiatici già promossi nel 2006 e attesi pure nel 2030. Insomma, l’avvento dei Mondiali in Qatar - per quanto corrotto e dopato da una disponibilità finanziaria infinita - segue una certa logica. «Una logica per altro copiata ora da altri, e penso all’Arabia Saudita» nota Chappelet. «La natura itinerante della Coppa del Mondo di calcio, tuttavia, rende improbabile una doppietta mediorientale nel breve termine. Non a caso, e ora allargo lo spettro dell’analisi, la visione di città, regioni e Paesi - spesso occidentali - tende vieppiù a favorire le manifestazioni ricorrenti. Più contenute, e dunque ragionevoli. Ma pure destinate - nel loro ripetersi anno dopo anno - a diventare patrimonio del territorio che le ospita». Infrastrutture e competenze locali, già, con ricadute d’immagine decisamente più favorevoli.


Da opportunità a rischio
In termini d’impatto ambientale, i risvolti dell’imminente torneo sembrano invece condannare il Qatar. Con tutti quegli spostamenti da e per Doha, d’altronde... A sorridere, semmai, sono il settore turistico e di riflesso l’ego della famiglia reale. «La grande differenza - spiega Chappelet - interessa la natura dell’organizzatore. Se a tirare le fila sono entità esterne, come per esempio la FIFA, la sensibilità verso determinati aspetti sarà di un certo tipo. Se la governance è in mano alle comunità locali, per contro, è immaginabile un altro genere di sviluppo».
Di certo il faro dell’opinione pubblica - alimentato dai social media - continuerà ad illuminare con forza questi appuntamenti e soprattutto le rispettive zona d’ombra. «Stati e città riflettono» sottolinea Chappelet: «Fino a qualche anno fa, accogliere un grande evento ingolosiva. Sulla carta, presentava soprattutto vantaggi. E di conseguenza le candidature non mancavano. Prendiamo proprio il Mondiale del 2022. Oltre a Qatar e Stati Uniti, a proporsi furono altresì Australia, Corea del Sud e Giappone. Le cose, nel frattempo, sono cambiate. E rischiano di peggiorare, soprattutto in Occidente dove la volontà di esporsi economicamente e sul piano della reputazione perde forza. Per l’edizione del 2026, in corsa c’erano solo il terzetto USA-Canada-Messico e Marocco». Non a caso il CIO ha cambiato procedure e modalità di negoziazione. «Tra l’altro per evitare casi di corruzione, come avvenuto con la doppia attribuzione dei Mondiali del 2018 e 2022, con Russia e Qatar facilmente tentati a promettere voti in cambio dello stesso trattamento».
La frase di Jérôme Valcke
Okay, ma se per i Mondiali del 2034 dovesse essere in lizza la sola Arabia Saudita - con le sue magagne -, la FIFA ci ricascherebbe? Chappelet replica citando l’ex segretario generale della FIFA Jérôme Valcke. «Quando affermò che “un livello minore di democrazia è talvolta preferibile quando si tratta d’organizzare una Coppa del mondo”. Molto dipenderà ovviamente dal numero di candidature sul tavolo. Dalla possibilità di scelta, insomma. Se l’emisfero nord del pianeta non dovesse offrire soluzioni, non escluderei per esempio altre edizioni dicembrine. Proprio l’Arabia Saudita si è appena giudicata i Giochi asiatici invernali del 2029 perché di concorrenza non ce n’era. A fronte di nuovi dossier presentati da regimi autocratici e finanche dittatoriali, mi attendo comunque maggiore prudenza da parte delle organizzazioni sportive internazionali. Da un lato, e torno a Valcke, affidarsi a queste realtà garantisce effettivamente diverse facilitazioni. Dall’altro, però, si presta il fianco alla critica mediatica. Contribuendo a scoraggiare molti sponsor». È notizia di pochi giorni fa che il Credit Suisse - da 30 anni partner principale della Nazionale svizzera - non lancerà una propria campagna, cambiando quindi tattica rispetto al torneo in Russia nel 2018.
Eppure c’è chi potrebbe ravvisare una sorta di razzismo occidentale verso universi - in particolare quello islamico - che coltivano altri principi. «È la tesi difensiva dello stesso Qatar o di Pechino, in occasione degli ultimi Giochi invernali» osserva in merito Chappelet. Per poi precisare: «In gioco c’è molto di più. Ad affrontarsi sono due visioni del mondo: quella democratica e, appunto, quella autocratica. E in mezzo vi sono valori e diritti - dell’uomo, della donna, dei lavoratori - la cui universalità è riconosciuta o al contrario relativizzata poiché figlia di una dichiarazione occidentale. Quella dell’ONU, datata 1948».
Il destino di Gianni
Universale, nell’idea e nella pratica, sarebbe anche il calcio. Alla cui magia si aggrappa con tutte le forze la FIFA per far sparire il polverone sollevatosi sopra Qatar 2022. «Infantino e i suoi collaboratori, in ogni caso, sopravviveranno a questo Mondiale» indica il professor Chappelet. «L’errore, o meglio il doppio errore (l’attribuzione all’Emirato e quella in contemporanea per l’edizione 2018), è una macchia della gestione Blatter. Nel frattempo il board della FIFA è stato in qualche modo ripulito dalla giustizia. La riforma imperfetta operata a Zurigo prevede inoltre e soprattutto la limitazione a 12 anni del mandato del presidente». Infantino dovrebbe dunque forgiare due edizioni della Coppa del Mondo: quella già assegnata per il 2026 e quella del 2030. «Scegliendo gli Stati Uniti, insieme a Messico e Canada, la FIFA d’Infantino ha voluto rimediare a tutti i costi allo sbaglio del 2010» rileva Chappelet. E stando a una fresca inchiesta della Süddeutsche Zeitung, il progressivo allentamento delle indagini americane sulla Federazione e il suo vertice lo confermerebbe. «Un meccanismo simile - ricorda il nostro interlocutore - si è verificato con i Mondiali d’atletica. Per il 2019 attribuiti al Qatar e, dopo la pandemia e per ripulirsi un po’ la coscienza, andati in scena a Eugene, negli USA».
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