Tecnologia

BuzzFeed più ChatGPT uguale meno giornalismo

BuzzFeed ha infranto il tabù del «Si fa ma non si dice» annunciando l’uso di ChatGPT per migliorare i propri quiz ma anche per gli articoli propriamente detti, che rappresentano il core business di un sito generalista
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Stefano Olivari
18.02.2023 21:32

Esiste una differenza fra gran parte del giornalismo di oggi e gli articoli di BuzzFeed scritti con ChatGPT? Domanda quasi retorica, a cui l’azienda fondata nel 2006 da Jonah Peretti ha già risposto da tempo. Ma tre settimane fa è andata oltre, ufficializzando che utilizzerà la tecnologia di OpenAI per produrre contenuti editoriali. E tanti giornali, vergognandosi però di dirlo, stanno seguendo la stessa strada, con tanto di corsi sul tema per i loro redattori.

Infranto un tabù

BuzzFeed ha infranto il tabù del «Si fa ma non si dice» annunciando l’uso di ChatGPT per migliorare i propri quiz ma anche per gli articoli propriamente detti, che rappresentano il core business di un sito generalista. In un messaggio inviato ai dipendenti, Peretti ha spiegato che l’intelligenza artificiale sarà sempre più importante nel futuro dell’azienda ed ha fatto un esempio concreto: «Immaginate un quiz che chieda all’utente di creare la trama di un film romantico. Una delle domande potrebbe chiedere all’utente di descrivere uno dei suoi difetti e, sulla base delle risposte, il tool fornirebbe ad ogni utente la sinossi di un film diverso, personalizzata in base alla personalità del lettore». E quindi i 1.300 dipendenti di BuzzFeed, quelli rimasti dopo il taglio di 180 dipendenti avvenuto lo scorso dicembre, cosa faranno? Peretti, al di là del fatto che a qualche centinaio di loro farà trovare pronto il non metaforico scatolone, ha le idee chiare: «Lo staff fornirà idee alla AI». Nella sostanza: tutti caporedattori virtuali di redattori virtualissimi.

La svolta di BuzzFeed

La svolta di BuzzFeed non è da sottovalutare, perché si tratta del sito che più di tutti ha influenzato il resto del web facendo della viralità quasi una religione. In altre parole, un articolo «curioso» che viene condiviso, commentato, linkato, citato vale di più di un articolo magari anche molto letto ma che non intercetta (o crea) trend e non ha una seconda vita, per non dire una vita eterna (gli articoli che rendono di più sono quelli ever green, tipo «Tutti i segreti per riaccendere la passione») sui social network. Fra le tante invenzioni di Peretti e del suo staff di ex nerd i famosi «listicles», cioè gli articoli basati su elenchi: i 10 regali da fare a Natale, i 25 calciatori più forti del secolo, i 37 dischi da salvare per l’eternità e così via. Quanti hanno copiato BuzzFeed? Tutti. Questo non significa che questo sito, una volta si sarebbe detto portale, non abbia un’idea tradizionale del giornalismo: infatti al suo interno la divisione di chi si occupa di storie importanti, non necessariamente seriose, è nettamente divisa dagli imprecisati «produttori di contenuti», cioè persone che monitorano il web e sono veloci nel riciclare notizie o analisi di altri, cambiando qualche parola. Ecco, questa seconda categoria di dipendenti o collaboratori è quella a più alto rischio di finire in mezzo ad una strada, mentre la prima sogna il Pulitzer con la pubblicità generata da loro.

Hard News

Quasi tutti i media più importanti, per non parlare di chi deve redigere documenti ancora più standardizzati di certi articoli (si pensi soltanto a quelli di cronaca, spesso un insieme di frasi fatte), stanno studiando questo tipo di integrazione e già molto di ciò che leggiamo sul web viene da ChatGPT. Questa forma di «ottimizzazione» (eufemismo da azienda editoriale) riguarda ovviamente le cosiddette hard news, le notizie su un fatto, spesso brevi, scritte senza svolazzi di fantasia, ma sempre più spesso anche le biografie dei personaggi, in caso di morti improvvise: chi ha potuto fare qualche confronto preferisce il prodotto dell’AI a quello di chi affannosamente mette insieme qualche frase presa da Wikipedia. L’analisi e il commento rimangono un’altra cosa, ma l’AI si sta raffinando anche lì ed in ogni caso l’intervento umano in ultima battuta dovrebbe sempre riuscire ad evitare gli errori più ridicoli. Comunque qualunque persona di media intelligenza è capace di copiare una notizia sull’andamento delle azioni Apple, sull’infortunio di Pogba, sul documentario su Harry e Meghan, eccetera. È evidente che non tutti gli umani saranno spazzati via dalla AI, perché ci vorrà sempre qualcuno che dia gli input contenutistici ed ideologici alla ChatGPT della situazione: i giornalisti diventeranno quindi «prompt manager», cioè persone in grado di interagire in profondità con la macchina.

Bing contro Bard

È bene precisare che non stiamo parlando in astratto, ma di una tecnologia che dalla scorsa settimana è alla portata di tutti con il semplice uso di Bing, che utilizza appunto ChatGPT. Tante le polemiche per gli errori del rilanciato motore di ricerca di Microsoft, in alcune sue risposte rabbiose e stizzite apparso quasi umano. Microsoft, che in questa operazione anti-Google ha investito tantissimo, ha spiegato che le indicazioni e le interazioni troppo lunghe possono disorientare l’AI, che avrebbe bisogno invece di pochi comandi chiari per dare il meglio di sé, dopo avere scandagliato il web. Lavori in corso, come del resto per Google con il suo Bard, vero rivale di ChatGPT in un mercato comunque pieno di concorrenti e con i piccoli che teoricamente possono avere la mitica intuizione di tipo «disruptive». I giornalisti pigri, quelli che se non sono soddisfatti di Wikipedia poi vanno sui motori di ricerca, seguono con attenzione.

È tutto nelle mani dei lettori

Dal punto di vista delle aziende il futuro del giornalismo è quindi chiaro, aprendo spazi per singoli indipendenti e fuori dagli schemi. Ma nel momento in cui lo stesso articolo «fuori dagli schemi» viene preso in considerazione dalla AI allora si ritorna quasi al punto di partenza. L’aspetto più interessante della questione è quello che ci riguarda come lettori: ci accorgiamo della differenza fra un articolo o un post vero, qualsiasi cosa voglia dire, ed uno in buona percentuale frutto di AI? Ma soprattutto: ce ne importa qualcosa? La risposta alla prima domanda è un grosso no, se parliamo di notizie. Quella alla seconda dipende da quanta fiducia abbiamo nella gente. In Italia è stato calcolato che l’analfabetismo funzionale di livello 3 (cioè saper analizzare un testo con cui si ha familiarità) è in crescita ed oggi riguarda il 46,3% della popolazione. Se metà di chi legge è messo così, è difficile che gliene possa importare qualcosa delle fonti o della creatività. Certo gli articoli sono l’ultimo stadio dell’AI, dopo la generazione di testo per chatbot e per i social media, ma anche in questo senso il futuro è già adesso.

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