Anche i frati di Locarno avranno il loro ritratto
Distretto di Locarno, santuario della Madonna del Sasso. Gaia Volonterio cammina a passo rapido in uno dei tanti corridoi del complesso, la cui fondazione risale al 1480. Questa è l'ala del convento dei cappuccini, insediatosi 150 anni fa. Sta cercando fra Mauro, che non si trova. Fra Ugo è già andato nella direzione opposta. La struttura, per chi non la frequenta abitualmente, è un bel labirinto: scale, porte, pianerottoli. «Qui c'è la biblioteca, uno spettacolo. Di qua, invece, la cucina», spiega la giovane indicando gli ingressi con la mano libera, dato che nell'altra porta con sé un grande blocco da disegno, di quelli con la carta spessa e ruvida, tendente al color crema. La 35.enne–che lavora come architetto, ma è prima di tutto un'artista–è ormai di casa e si orienta alla perfezione. Da qualche mese, infatti, è alle prese con un nuovo progetto dedicato ai residenti delle celle, perlomeno ai cinque che hanno voluto accettare: realizzare un ritratto per ciascuno dei frati che alloggiano alla Madonna del Sasso. La sagrestia della chiesa, per il poco tempo che serve nel realizzare un bozzetto preparatorio a matita e qualche scatto fotografico, è eletta a 'locale studio'. Le due sedie, però, sono ancora vuote. Durante l'attesa, c'è il tempo per capire l'esperienza che si vive immergendosi in un mondo nel quale la fede è messa sempre in primo piano: «Ma io non sono una persona religiosa, non mi definirei così. Non ho ricevuto un'educazione del genere», dice la 35.enne.
E pensare che tutto è nato grazie al suo impegno come volontaria nella sezione Protezione beni culturali della locale Protezione civile (regione Locarno e Vallemaggia). «Al mio gruppo era stata assegnata la documentazione del complesso di Orselina. Eravamo lì regolarmente, ed è così che si è accesa la mia curiosità nei confronti di queste persone: non si vedevano così di frequente, ogni tanto apparivano, poi non si vedevano più... ma capitava di parlare con loro, e ho voluto approfondire tutte queste belle sensazioni».
Nel frattempo, fra Ugo invita a prendere un caffè nelle loro cucine. «Ma naturalmente lo faccio preparare da fra Andrea», dice divertito. Anche se l'altro, riponendo la pipa, non sembra per nulla infastidito da questo scherzoso ‘scaricabarile’. Il locale è piuttosto grande e ben organizzato. A mo' di decorazione, sulla parete sono appesi alcuni utensili in rame. La nostra interlocutrice non è la prima volta che si trova qui. Tempo fa l'avevano anche invitata a pranzare per capire meglio questa idea dei ritratti. «La pittura, come le altre arti, trovo sia un mezzo per conoscere il mondo, per studiarlo, per farlo proprio. In questo caso diventa uno strumento per conoscere queste figure anacronistiche che vivono nella nostra civiltà anche se, in un certo senso, ne stanno fuori».
Ecco che fa capolino Mauro Jöhri. Fra Mauro, appunto. Con bastoni da escursionista, occhiali da sole e abbigliamento in tessuto tecnico. «Scusate, ho perso la cognizione del tempo», esclama il 76.enne. «Vista la giornata eccezionale, ho pensato di andarmene a fare una passeggiata in montagna. Vado subito a mettermi il saio, ci vediamo in sagrestia».
Una prima dal sapore storico
La sagrestia offre una vista spettacolare sulla città di Locarno e su tutto l'agglomerato, dai terreni alla Maggia oltre il fiume (sempre territorio del comune di Locarno) giù giù fino ad Ascona, data la giornata particolarmente limpida e soleggiata. «Non è la prima volta che qualcuno ci ritrae. Ma in passato si trattava di fotografie», dice il religioso mentre si accomoda sulla sedia di fronte a quella di Volonterio, la quale ha già aperto il blocco da disegno e iniziato a tracciare qualche riga a matita.
«In un certo senso sì, è la prima volta che siamo ritratti da una pittrice», aggiunge. «Cosa vorrà dire? Beh, sarà un altro modo di immortalarci. Siamo sempre meno e siamo sempre più anziani. Forse ci si ricorderà di noi, almeno in questo modo. Fa comunque piacere che qualcuno si prenda il tempo e dica che valga la pena realizzare questa serie di opere, dedicate a questi fraticelli che ancora stanno alla Madonna del Sasso»...
Fra Mauro ha una lunga carriera alle spalle. Una carriera religiosa in giro per il mondo, verrebbe da dire. Dato che ha viaggiato in centinaia di Paesi, visitando le varie missioni del suo ordine. Per qualche anno, la sua 'casa' era a Roma, di fianco al Papa, in pratica. «L'ho conosciuto, certo, Ho avuto a che fare tanto con lui. In Argentina, ancora prima che diventasse Francesco. Ma più che Roma, dicevo che il mio convento era... Fiumicino! L'aeroporto. Ma anche la stazione ferroviaria di Termini. Ero sempre in viaggio e quelli erano i miei punti di riferimento costanti».
Un ambiente più tranquillo
Anni piuttosto movimentati, insomma, fino ad arrivare al 'Sasso di Locarno'. Un ambiente molto più tranquillo, senza tutta la pressione delle continue visite in capo al mondo. Ma come lo vede il futuro di questa struttura? Ci saranno ancora, i frati? «Guardando come stanno le cose sotto il profilo prettamente umano, sarebbe una gran bella cosa essere ancora qui tra dieci o vent'anni», illustra l'anziano.
Jöhri ricorda come tutto il complesso sia di proprietà del Cantone «e penso che garantire una presenza al Santuario dovrebbe essere anche nell'interesse della Diocesi. D'altronde, di Cappuccini ce ne sono in giro parecchi nel mondo, specialmente nel sud. Se si riterrà che sia importante averne una presenza qui, si potrebbero trasferire da questi luoghi. Ma è prematuro dire ora in che direzione andranno le cose».
Intanto l'artista, ha quasi terminato il bozzetto. Sul foglio il viso è ben riconoscibile: pochi tratti piazzati al punto giusto, poi tanti tratti leggeri a rappresentare le sfumature d'ombreggiatura causate dalla grande finestra che dà sul panorama mozzafiato. «Non è una cosa così poco comune, ma in passato si realizzavano ritratti di frati famosi», osserva sempre fra Mauro. «In questo caso, però, ciò che mi piace è che non esiste il frate famoso: semplicemente sono i frati della Madonna del Sasso. Questo aspetto popolare, più semplice e dove tutti sono coinvolti, lo trovo molto bello».
«Non è ancora finito»
La giornata è quasi al termine, è ora di scendere sul piano. Lungo i gradini che portano alla strada principale ecco fra Agostino (Del Pietro), attuale guardiano, che sta rientrando. Uno dei soggetti di Gaia Volonterio, come pure la prima persona a cui si è rivolta per dare il via all'impresa. In lontananza, c'è pure un grande gatto nero. «È sempre qui, ai tempi era un gran cacciatore. Oggi... mah! Come si chiama? Beh, ognuno gli ha dato un nome diverso...».
Dopo i saluti e una breve trasferta, nell'atelier dell'artista si accumulano i materiali del progetto. Dagli schizzi in matita alle fotografie, usate come riferimento nella realizzazione dei ritratti. «Questo è come il mio parco giochi. Il tempo libero dopo il lavoro in studio (quello di Christoph Zürcher, che tra l'altro negli anni Settanta aveva seguito da molto vicino i rilievi del complesso della Madonna del Sasso, ndr.) lo dedico a preparare tele, tavole, miscele di varia natura e colore, che servono all'allestimento e alla creazione vera e propria. C'è un certo margine di sperimentazione, che fa comunque parte della ricerca artistica», sottolinea mentre sposta i disegni e li ordina per soggetto.
Sul pavimento, allineati come soldati, i volti delle persone appena viste su a Orselina. «Questo è un primo passaggio, ma penso ne realizzerò ancora altri. Devo lavorarci su, insomma. Non è ancora finito, il lavoro».
Caratteri differenti
I frati hanno tutta l'aria di essere persone alla mano. «Anche se all'inizio mi sentivo comunque un po' in soggezione. Non sapevo esattamente che approccio avere nei confronti di un frate. Si tratta di persone che vivono in maniera monastica? Oppure no? O così-così? Di che cosa si parla con un frate? Alla fine tutto è andato al meglio, con molta spontaneità. Anzi. Ho potuto confrontarmi con persone molto interessanti. Mi dispiace dover finire questo progetto, perché alla fine non avrò più contatto con loro», si rammarica.
Volonterio riferisce di aver capito come ognuno dei frati abbia un certo grado di libertà. Oltre a caratteri e personalità molto diversi tra loro. «C'è chi si dedica volentieri all'orto, ma non tutti per forza devono farlo. C'è chi è più portato per lo studio. Un frate, di un suo collega, aveva detto 'Sì, lui è molto spirituale’... l'ho trovato una cosa carina, il fatto che un frate dica all'altro quanto sia spirituale. C'è chi è più introverso, c'è chi invece vuole raccontare e parlare di più». Senza contare chi non voleva aderire a quest'idea. «Una scelta legittima, ovvio».
Autoritratti e calciatori
La tecnica scelta dalla nostra esperta (che si è formata all'Accademia di Belle arti a Firenze e in seguito alla SUPSI) è quella dei colori a olio. Una tecnica difficile da padroneggiare. La più comune, in passato, per realizzare dipinti di ogni genere, primi fra tutti i ritratti. Un altro modo per dare rilievo a un tempo che forse non c'è più. «Oggi mettiamo in primo piano l'efficienza, la materialità. In questi dipinti si racconta un senso di perdita, anche nostalgico».
Il lavoro artistico è ancora in corso. «Qui, per esempio, ci sono due ritratti della stessa persona. Ci sono delle differenze, non solo dovute alle condizioni di luce, ma anche alla mano che dipinge». Ma già un occhio poco esperto riesce a immaginare queste tavole di legno–fra l'altro trattate in una passata con un colore indaco che spicca sul retro e sui bordi–esposte in una galleria. «Non so se alla fine riuscirò a organizzarne una. Penso di sì, me lo auguro. Mi piacerebbe, in fondo fa parte del mio lavoro di pittrice».
Dalla velocità con la quale spennella facendo emergere un volto dalla tela nel giro di pochi minuti, si intuisce la sua esperienza. Un'esperienza affinata nella realizzazione di numerosi autoritratti per un progetto artistico partito nell'era del semiconfinamento dovuto alla pandemia. Una ricerca, tuttavia, che continua ancora oggi. Il lavoro, intitolato “Her self” (“Lei stessa”, ndr.) è stato esposto in varie gallerie tra il 2021 e il 2022. L'idea di dipingere è cresciuta come necessità, dopo qualche anno trascorso senza più mettere mano a pennelli, colori, tele o tavole. «Ricordo che avevo perso la mano, ma poi con il tempo si acquisisce abitudine e sicurezza».
Un nuovo campo di sperimentazione figurativa, poi, è offerto dal... calcio. «Di recente, mi capita di andare a qualche partita. Ho una serie di ritagli della Gazzetta dello Sport», dice mostrando un ‘bottino’ che sarà sfruttato per realizzare altri dipinti o disegni, sfruttando tecniche ancora da definire. Dalla montagna del convento dei frati Cappuccini della Madonna del sasso al verde pianeggiante dei campi di pallone, sembrerebbe quasi di passare da un estremo all'altro. «In un certo senso è così, ma il contatto con il mondo dei frati mi ha fatto capire come il loro, in realtà, non sia un mondo chiuso come si potrebbe immaginare. Hanno una bella ricchezza», conclude la giovane trascinando lo sguardo verso la finestra, ammirando un altro panorama dal suo atelier, quello del fiume Maggia.