Il personaggio

«Dall’Avana ai cieli di Locarno, sempre sopra le nuvole per poi tuffarmi»

La storia di Yudel Reyes, istruttore di paracadutismo: dopo dieci anni nell'esercito cubano, trova impiego nella «Regina del Verbano», dopo un periodo trascorso in Italia
Nell'adesivo in primo piano, l'istruttore di paracadutismo Yudel Reyes, 51 anni; sullo sfondo, uno dei suoi salti «in tandem» © Paracentro/MAD
Jona Mantovan
19.04.2025 06:00

Alle sue spalle ha quasi 4.000 lanci. «Per la mia età, però, sono pochi», esclama sorridente il 51.enne istruttore di paracadutismo Yudel Reyes. Dal 2015 lavora al Paracentro Locarno. Originario di Cuba, la sua passione l’ha scoperta da ragazzo, quando ancora era alle medie. Ma poi per un decennio è stato nell’esercito: «facevo lo stesso lavoro di oggi, con “interpretazioni” molto differenti».

«Ricordo che i miei genitori dovettero firmare un documento, perché ero ancora minorenne». Tutto era nato per curiosità. All’Avana. «Un’associazione cercava giovani per diverse formazioni sportive, tra cui quella che poi ho scelto. Due settimane di teoria e poi via! Giù dall’aereo. E sto continuando a farlo», ricorda entusiasta il nostro interlocutore. Prima solo nel tempo libero. Poi, per lavoro. «Mi piace, è un impiego unico, molto bello. Mi dà parecchia responsabilità, perché devo preparare persone senza esperienza a buttarsi da sole».

Il primo salto, ma forse anche di più, è, di norma, «in tandem». Una modalità nella quale è l’esperto a occuparsi di guidare in sicurezza il novello praticante (agganciato), azionando il dispositivo di apertura della vela al momento opportuno, fino ad accompagnarlo all’atterraggio. «Le persone che, dopo aver sperimentato l’emozione e la velocità della caduta libera, affermano di non voler più ripetere una cosa del genere, le conto sulle dita di una mano», afferma. «Perché dopo il lancio i clienti vogliono tornare in quota al più presto, anche subito. A dimostrazione di quanto sia positiva e travolgente l’avventura appena vissuta». Reyes sottolinea come la disciplina porti una quantità di benefici, «come se si prendesse un rimedio contro lo stress. Perché svolgi le varie procedure e sei così concentrato sul momento che ogni altro problema sembra una questione di poco conto. La preparazione è molto importante, dato che si tratta di una pratica ad alto rischio. Senza dimenticare che precipitare, e con noi lo si fa ovviamente nella massima sicurezza, si rivela essere in realtà un gran momento di pace e felicità. Ogni balzo è unico, lo si sperimenta in maniera sempre differente».

Il numero di persone che dopo un lancio dicono di non volerlo mai più rifare, le conto sulle dita di una mano
Yudel Reyes, istruttore di paracadutismo, 51 anni

Dopo il tempo trascorso «in verde oliva», a 34 anni lascia il Paese, trasferendosi in Italia, in Liguria. Qui rimane per sette anni. «I luoghi per paracadutarsi erano lontani, quindi ci andavo raramente».

Il connazionale-collega

Finché un giorno, un connazionale (nonché collega) lo invita in Svizzera, proprio nel luogo dove ha trovato la sua occupazione. «Mi è piaciuto subito il posto, l’ambiente e le persone dello staff, che sono come una seconda famiglia. E così, sono ancora qui, oggi», evidenzia con una punta di orgoglio.

Il cambio di nazione non è stato privo di fatica e studio: «I brevetti cubani non sono riconosciuti, arrivato in Italia ho dovuto riconvertirli. Ho fatto lo stesso qui, studiando e superando degli esami per le particolarità delle leggi». Intanto, sul prato esterno un gruppo sta salendo su un piccolo velivolo. Sono in dieci e, tra qualche minuto, toccherà a loro lasciarsi trascinare dalla forza di gravità e dalle correnti.

«Ogni posto ha il suo fascino»

La scuola, conosciuta e rinomata anche oltre i confini nazionali, opera a stretto contatto con l’esercito, formando le squadre speciali dei «parà» nostrani. All’interno, oltre l’area della ricezione che sfoggia una quantità di attrezzature per solcare i cieli (dai caschi alle bussole, dalle tute agli zaini), ecco un ambiente del tutto differente.

«Qui è la nostra stazione di piegatura, mentre su questo lato abbiamo macchinari e materiale per riparare i teli». Un gigantesco «lenzuolo» grigio è appeso alla parete, collegato a una sacca da una serie di corde. «Si capisce subito che è militare, altrimenti avrebbe dei colori molto più sgargianti», commenta, indicando una tasca supplementare. «Qui dentro c’è il paracadute di riserva. Che può essere preparato solo da personale specializzato, anche per i civili». E lui è uno dei quattro autorizzati a completare la procedura.

«Ogni posto ha il suo fascino. Nel mio paese ci buttavamo con i pantaloncini atterrando in spiaggia, a piedi nudi. Altri tempi. Qui a Locarno, il panorama è fantastico, con le montagne innevate d’inverno. Devo tuttavia dire di preferire la primavera. D’estate fa caldo, anche dentro l’apparecchio durante la salita. Pure la stagione fredda è affascinante, ma bisogna indossare molti vestiti, il che è un po’ noioso».

Capitolo «paura»

Infine, il capitolo «paura». «È normale, è l’istinto di conservazione», ribatte. E precisa: «Superarla è positivo, aiuta a oltrepassare i nostri limiti psicologici. Se un cliente lo vediamo esitante, cerchiamo di dargli conforto per farlo sentire a suo agio. In nessun caso forziamo la mano: se proprio non se la sente, si torna a terra. Beh, a Cuba non succedeva così. Questione di... sfumature. Ma questa è un’altra storia», conclude con una risata.

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