I retroscena

Ecco il lavoro segreto che ha portato allo scambio di prigionieri tra Russia e Occidente

Per riuscire a portare a termine la missione è stato necessario un intenso sforzo diplomatico che, in gran parte, si è svolto lontano dai riflettori
© AP Photo/Manuel Balce Ceneta
Red. Online
02.08.2024 09:00

Un accordo storico, uno dei più significativi dai tempi della Guerra fredda. Così è stato definito lo scambio di prigionieri tra Russia e Occidente che ha portato, tra gli altri, alla liberazione del giornalista Evan Gershkovich, dell'ex marine Paul Whelan e del critico del Cremlino Vladimir Kara-Murza. Un accordo dietro al quale, spiega il New York Times, si celano spie, messaggi segreti e diplomazia nascosta.

Vediamo allora cosa racconta il quotidiano statunitense. Dopo che le trattative per il rilascio dei prigionieri si trascinavano da ormai più di un anno senza esito positivo, la svolta avviene il 25 giugno quando in una capitale mediorientale non precisata va in scena un incontro segreto. Al tavolo si siedono un gruppo di ufficiali della CIA e i loro omologhi russi. La proposta statunitense è succulenta: lo scambio di due dozzine di prigionieri detenuti nelle carceri della Russia, degli USA e del resto dell'Europa. A rendere particolarmente interessante l'accordo è il numero di prigionieri coinvolti il quale fornisce a entrambe le parti più ragioni per accettare l'accordo di quante ve ne siano per rifiutarlo. A raccontare il retroscena sono funzionari americani e occidentali nonché altre persone coinvolte nel processo di concretizzazione dell'accordo.

A seguito dell'incontro, le spie russe tornano in patria dove illustrano la proposta americana e, pochi giorni dopo, ha luogo una telefonata tra il capo della CIA e quello delle spie russe. Segue un alacre lavoro diplomatico che si svolge nell'ombra, lontano dai riflettori internazionali e dall'attenzione dell'opinione pubblica. Le negoziazioni avvengono soprattutto attraverso delle spie che, in alcuni casi, comunicano attraverso messaggi segreti recapitati a mano da corrieri.

Coinvolto nei momenti chiave delle trattative anche il presidente americano Joe Biden che ha visto concretizzarsi l'accordo proprio mentre stava valutando se continuare la corsa per un secondo mandato presidenziale o abbandonarla a seguito della figuraccia fatta durante il primo faccia a faccia televisivo con il rivale Donald Trump. È infatti la mattina di domenica 21 luglio quando Biden, malato di COVID, telefona dalla sua casa di vacanza nel Delaware al primo ministro sloveno per fissare uno degli ultimi tasselli dell'accordo sui prigionieri.

«L'accordo che ha reso possibile tutto questo è stato un'impresa di diplomazia e amicizia» ha detto ieri il presidente statunitense in un breve discorso dalla Casa Bianca. Egli ha quindi elogiato gli alleati degli USA in questo delicato accordo sottolineando come siano stati al fianco degli Stati Uniti e abbiano «preso decisioni coraggiose e audaci, liberando i prigionieri detenuti nei loro Paesi».

Dal canto loro, i funzionari americani hanno evidenziato come l'accordo non sia frutto di una distensione nelle relazioni tra Stati Uniti e Russia, ma sia invece il risultato di freddi calcoli di interesse nazionale che hanno permesso alle parti coinvolte di ottenere ciò che volevano.

Ma torniamo ai retroscena dell'accordo. Gli americani pensavano che un tassello fondamentale potesse essere l'arresto, avvenuto in Slovenia nel dicembre del 2022, di due persone che si spacciavano come emigrate dall'Argentina, ma che, in realtà, erano, secondo gli addetti ai lavori, due spie del Cremlino. Grazie a questo arresto, infatti, gli Stati Uniti pensavano di possedere finalmente una carta vincente da giocare per ottenere il rilascio dell'ex marine Paul Whelan. Nel gennaio del 2023 si tengono quindi colloqui segreti tra funzionari della CIA e spie russe. La proposta messa sul tavolo è il rilascio della coppia arrestata in Slovenia in cambio della liberazione di Whelan. I russi rifiutano l'offerta dicendosi però disposti a negoziare qualora gli americani offrissero di più.

Qui entrano quindi in scena James P. Rubin, inviato speciale del Dipartimento di Stato, e Roger D. Carstens, capo negoziatore del dipartimento per gli ostaggi, che decidono che per ottenere risultati concreti bisogna abbandonare la speranza di uno scambio uno a uno o due a uno in favore di accordi che prevedano il rilascio di un numero maggiore di prigionieri. Giunti a questa conclusione, la portano al Segretario di Stato Antony Blinken che a sua volta la porta allo Studio Ovale e ne discute personalmente con il presidente Biden.

Un'accelerazione al processo negoziale viene quindi data dall'arresto del giornalista Evan Gershkovich. Gli Stati Uniti capiscono però che, se vogliono sperare in un suo rilascio e in quello di Whelan, da parte loro devono fare in modo che venga rilasciato l'ex colonnello dell’FSB (il famigerato Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa) Vadim Krasikov che sta scontando un ergastolo in Germania. «Nel corso di questa negoziazione, siamo giunti alla conclusione che Krasikov era la chiave» ha del resto dichiarato ieri il Consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan.

Convincere la Germania a dare il via libera per il rilascio di Krasikov non è comunque stato facile e per riuscirci ci sono voluti continui e intensi scambi. È il 16 gennaio di quest'anno quando Biden riesce a convincere il cancelliere tedesco Olaf Scholz a far rilasciare Krasikov a patto che l'accordo sulla liberazione dei prigionieri preveda anche il rilascio di Alexei Navalny. L'ottimismo dura però poco visto che l'oppositore russo muore il 16 di febbraio. Bisogna quindi ricominciare dall'inizio. Nel periodo successivo si discutono diversi accordi. Lo scambio delle proposte, anche in questo caso, avviene tramite corriere.

Il 7 di giugno arriva finalmente la luce verde da parte tedesca e il 25 dello stesso mese gli ufficiali della CIA presentano, in Medio Oriente, la proposta avvallata dalla Germania alla Russia. All'inizio del mese scorso, il direttore della CIA William Burns e il capo del servizio di intelligence russo FSB Aleksandr V. Bortnikov discutono dell'accordo per il rilascio dei prigionieri. Pochi giorni dopo, funzionari della CIA e agenti dell'intelligence russa si incontrano nuovamente di persona, questa volta in Turchia, per elaborare i dettagli finali dell'accordo.

Ieri, infine, l'ultimo capitolo della vicenda con i prigionieri che sono finalmente stati rilasciati. 

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