L'iniziativa

Il liceo di Locarno apre le porte ai diritti delle donne iraniane

Una mattinata diversa dal solito per alcune classi di terza, che hanno sentito le testimonianze di chi è scappato dal feroce regime islamico imposto da Teheran
Alcune studentesse posano per la foto di gruppo da condividere sui media sociali in segno di solidarietà per i diritti delle donne in Iran
Jona Mantovan
17.06.2023 20:30

Una mattinata diversa dal solito, quella di mercoledì al liceo di Locarno. L'aula magna alla Morettina, che durante il Festival del film è trasformata in una sala cinematografica, ospita una conferenza dedicata ai diritti delle donne in Iran. Una sessantina tra studentesse e studenti, varie classi di terza, ascolta con attenzione le testimonianze di chi è fuggito dal regime islamico. Al tavolo ci sono Faride Najafi e la figlia Tannaz, oggi dottoranda in filosofia della fisica, con Marjan Holdener, mediatrice culturale e le due docenti promotrici dell'evento, Saffia Shaukat, docente di storia e Hélène Trépanier, docente di francese.

«In concomitanza con lo sciopero femminista in Svizzera, ci siamo dette che sarebbe stato molto interessante portare uno sguardo sul tema diverso da quello solito occidentale. La scelta è caduta sulla questione femminile in Iran, nel suo peculiare contesto politico. Il focus della giornata di oggi non sono solo i diritti delle donne, ma tutto il contesto politico, religioso e sociale del Paese mediorientale», spiega Shaukat, 37.enne co-promotrice del progetto di istituto. «Abbiamo pensato fosse una buona modalità per avvicinare gli allievi alla questione in un modo più vicino alla realtà — le fa eco la collega di francese, la 55.enne Trépanier —. Tannaz, che abbiamo conosciuto insieme alla madre durante la manifestazione dell'8 marzo a Bellinzona, è una giovane studentessa che sta concludendo il suo dottorato e può essere anche una sorta di ispirazione per le allieve e gli allievi sulle possibilità che hanno a livello di carriera e di studio». Un esempio, insomma, su come si possa diventare da grandi.

Faride Najafi, assistente di cura per gli anziani – ma molto impegnata anche come mediatrice culturale – e la figlia, Tannaz, hanno raccontato la loro esperienza di fuga dal regime islamico degli ayatollah, che impone rigidi criteri di abbigliamento e limita le libertà di espressione e di movimento, e la loro solidarietà con le proteste che scuotono il Paese da mesi.

All'improvviso siamo state obbligate ad andare a scuola con il velo, in classi separate tra maschi e femmine. Il regime era soffocante. E oggi è ancora così
Faride Najafi, 51 anni, relatrice alla mattinata e mediatrice culturale

«Ammazzate per un nonnulla»

«Siamo punite e ammazzate per nulla. Perché abbiamo i capelli sciolti o perché indossiamo vestiti colorati», spiega Faride Najafi, che ha lasciato l'Iran anni dopo la rivoluzione islamica del 1979, con la figlia di appena due anni e mezzo. «Quando c'era stata la rivoluzione avevo quasi sei anni e ricordo che all'improvviso siamo state obbligate ad andare a scuola con il velo, in classi separate tra maschi e femmine... Il regime era soffocante. Non potevi ascoltare musica, non potevi ballare, non potevi cantare… nulla! E se dicevi qualcosa considerata strana... ti ammazzavano. Una situazione impossibile. E oggi è ancora così», esclama. Condizioni che hanno poi portato alla sua fuga fino in Svizzera.

Anche la figlia Tannaz, oggi 26.enne, è nata in Iran, a Teheran. Si sente molto vicina alla sua cultura d'origine e alla sua famiglia, che vive ancora là. «Sono cresciuta qui come rifugiata, la mia prima cultura è quella iraniana. Oggi, però, conosco la realtà svizzera, cosa che magari non potevo dire quando ero molto più piccola: a casa c'erano musica e cucina iraniane... Dentro di me c'è poi stato un processo», racconta la giovane, che molto presto aveva capito quali fossero le condizioni dei diritti umani nel Paese caduto in ostaggio del regime islamico.

Sì, queste sono delle boccate d'aria per i diritti civili. Il governo islamico è praticamente già sottoterra, spero che crolli molto presto. È solo una questione di tempo
Tannaz Najafi, 26 anni, relatrice alla mattinata e dottoranda in filosofia della fisica

Le proteste, una «boccata d’aria»

Le relatrici hanno espresso il loro sostegno alle proteste che dal 13 settembre 2022 animano le strade dell'Iran, scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, la 22.enne di origini curde arrestata dalla polizia morale per essersi vestita «impropriamente». Secondo le fonti ufficiali governative, la ragazza sarebbe morta per un infarto, ma le testimonianze dei familiari e degli attivisti per i diritti umani raccontano un'altra storia. Una storia che parla di violenze e di torture.

Le rivolte in Iran hanno portato migliaia di persone a scendere in piazza in 80 città del Paese, sfidando la repressione delle forze di sicurezza e dei pasdaran, il potente corpo dei guardiani della rivoluzione. Le donne hanno sventolato in alto i loro hijab, li hanno bruciati, si sono tagliate i capelli, mentre gli uomini le hanno affiancate e sostenute. Ci sono stati anche scontri violenti, incendi e vandalismi. Secondo l'agenzia degli attivisti per i diritti umani iraniani, Hrana, almeno 500 manifestanti sono stati uccisi, 19.000 arrestati e decine i condannati a morte. Il regime, invece, parla di 60 agenti morti sul campo.  

La situazione in Iran ha suscitato l'attenzione e la solidarietà della comunità internazionale, che ha chiesto al governo di Teheran di rispettare i diritti umani e di fermare le violenze. Il 19 e 20 gennaio 2023, migliaia di persone si sono riunite davanti al Parlamento europeo a Strasburgo per chiedere all'UE di dichiarare i pasdaran terroristi. Tra i promotori dell'iniziativa: il principe in esilio Reza Pahlavi, la leggenda del calcio Ali Karimi, la giornalista e attivista Masih Alinejad e stelle del cinema come l'anglo-iraniana Nazanin Boniadi e l’attrice Golshifteh Farahani. «Sì, queste sono delle boccate d'aria per i diritti civili. Il governo islamico è praticamente già sottoterra, spero che crolli molto presto. È solo una questione di tempo», afferma convinta Tannaz, sulla cui maglietta grigia è disegnata la scalatrice Elnaz Rekabi, che nell'ottobre 2022 aveva gareggiato senza velo ai Campionati asiatici della specialità a Seul, in Corea del Sud, aprendo la sfida agli ayatollah. Anche sulla maglietta della madre, Faride, si vede la stessa ragazza mentre arrampica con i capelli sciolti su una serie di parole chiave colorate, scritte in farsi: libertà, diritti, vita...

Non capita tutti i giorni di partecipare a eventi simili, dove sono raccontate storie ed esperienze personali
Schamiran, 17 anni, terza liceo (economia-diritto)

Per un pensiero critico

«Un'attività del genere aiuta a capire che si sta cercando un’emancipazione universale», afferma Matilde, 17 anni, terza liceo linguistico. «Non capita tutti i giorni di partecipare a eventi simili, dove sono raccontate storie ed esperienze personali», aggiunge Schamiran, che segue il corso economia-diritto il cui lavoro di maturità è proprio incentrato sulla questione dei diritti delle donne in Iran. «Abbiamo conosciuto qualcuno che ha vissuto tutto questo in prima persona», le fa eco Viola, 18 anni di Losone e studentessa in biologia. «È stato molto emozionante e toccante».

Tra i docenti ospiti, che hanno voluto portare la propria classe all'evento, c'è anche il 30.enne Francesco Luisi, insegnante di italiano, e Giosiana Codoni, 40 anni, docente di chimica-biologia. Entrambi sottolineano l'importanza di far conoscere ai ragazzi altre realtà e di stimolare il loro interesse per l'attualità. «Bisogna condurre i ragazzi verso il pensiero critico e il ragionamento, in modo da essere in grado di fare dei confronti, dei paragoni: Dove viviamo noi? Dove vivono gli altri?», spiega Luisi. «È molto importante far conoscere ai ragazzi altre realtà», aggiunge Codoni. 

Ho scoperto molte cose che mi hanno toccata. Penso che vivere così non sia né normale, né giusto. Non è possibile che le donne, là, debbano sopportare queste umiliazioni
Gioia, 17 anni, studente di terza liceo (scientifico)

Partecipare al messaggio

La mattinata si conclude con la firma, da parte degli studenti e dei docenti presenti, di una lunga bandiera con i colori dell'Iran, ma senza lo stemma che simboleggia il potere islamico. Il palco dove si svolge il dibattito abbonda di cartelli e bandiere, alcune con la scritta «Iran libero–Donna, vita, libertà»: lo slogan delle proteste in Iran. Un altro gesto simbolico per esprimere la propria solidarietà con le donne iraniane e con un popolo che lotta per i propri diritti, poi, è stato una fotografia di gruppo, condivisa sui canali e sui media sociali come forma di sostegno. Un modo per dire non mollate, siamo con voi. Ragazze e ragazzi sorridono e tengono in mano cartelli arcobaleno e immagini delle protagoniste delle proteste, come Masha Amini.

«Penso che firmare la bandiera sia un modo per partecipare a questo messaggio», ha detto Gioia, 17 anni e studentessa di terza del liceo scientifico. «Ho scoperto molte cose che mi hanno toccata. Penso che vivere così non sia né normale, né giusto. Non è possibile che le donne, là, debbano sopportare tutte queste umiliazioni». 

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