«Britaly», quando il Regno Unito assomiglia all'Italia

Britaly. È una parola macedonia, unione fra Britain, nel senso di Gran Bretagna, e Italy, Italia. Nel Regno Unito, di questi tempi, è usata tanto, tantissimo dalla stampa. Indica, appunto, l’italianizzazione della politica britannica, prigioniera di crisi, manovre azzardate, lotte intestine, polemiche e, riassumendo, caos. L’uscita di scena, dopo una quarantina di giorni, di Liz Truss è la sintesi di tutto ciò. L’instabilità in tutto il suo splendore, si fa per dire.
Certo, come ha sottolineato l’Economist il confronto fra i due Paesi – per quanto allettante – è complicato. Il tasso di crescita della produttività, in Italia, tra il 2009 e il 2019 è stato di gran lunga peggiore rispetto a quello britannico. Al di là delle conseguenze della Brexit, poi, l’economia del Regno Unito è stata definita più giovane e competitiva. Sebbene problematica. Eppure, beh, un avvicinamento all’Italia sembrerebbe esserci stato. Su più livelli.
Quanti primi ministri...
Innanzitutto, a colpire è proprio l’instabilità politica. Chiara, evidente, lampante. Vi basti un dato: da maggio 2015 a oggi, a Downing Street si sono accomodati quattro primi ministri. David Cameron, Theresa May, Boris Johnson il ballerino e, infine, la meteora Liz Truss. Come in Italia, già. Di più, difficilmente da questa ennesima crisi uscirà una guida sicura e, di riflesso, stabile. Come in Italia, insomma, anche il Regno Unito sta ragionando in mesi. Non in anni. Chiamatelo precariato. Secondo un sondaggio, citato sempre dall’Economist, il 50% dei britannici nel 2010 si fidava del governo. Ora, siamo attorno al 40%.
I mercati, sempre i mercati
Detto della politica, va considerato pure il contesto economico. Durante la crisi della zona euro, l’Italia è stata spesso il giocattolo dei mercati. Allo stesso modo, i conservatori al potere in Gran Bretagna hanno inseguito, negli ultimi anni, l’utopia della sovranità. Non accorgendosi, però, di avere perso il controllo della situazione. Basti pensare alla parabola, al contrario, di Kwasi Kwarteng e al pacchetto di tagli fiscali. I mercati, di nuovo, appaiono come l’arbitro ultimo delle decisioni politiche britanniche. Lo stesso Jeremy Hunt, il nuovo cancelliere, nel riprogettare le strategie sembra guardare con un occhio al Paese e, con l’altro, ai mercati.
I cittadini britannici, volenti o nolenti, hanno imparato a palleggiare termini e frasi proprie dei broker. I rendimenti dei Gilt, i titoli emessi dal Regno Unito, sono diventati una preoccupazione. Al pari del famoso, e famigerato, spread fra i titoli italiani e i Bund tedeschi. E questo perché influenzano la quotidianità: il mutuo, le pensioni, volendo anche l’umore delle persone. Perfino Ryanair, con ironia, ha fotografato il momento difficile che stanno vivendo i britannici.
Dov'è la crescita?
C’è, infine, la questione della crescita. Che, nel Regno Unito, è davvero bassa. Quantomeno, rispetto agli standard cui ci aveva abituato il Paese. Se la crescita è bassa, manco a dirlo, è perché la politica, proprio come in Italia, deve lottare o, meglio, destreggiarsi fra crisi di governo e cambiamenti.
In tutto questo, i parlamentari conservatori sono apparsi frenetici e, ancora, incoerenti. Si pensi al voto sul fracking e alla telenovela che, in queste settimane, ha accompagnato la caduta di Truss, divenuta – ha scritto l’Economist – l’equivalente del gatto Larry, il famoso inquilino di Downing Street che, al di là delle simpatie, non può esercitare alcun potere.
La domanda, a questo punto, è una: riusciranno i conservatori a proporre un nome per la successione capace di unificare le varie fazioni interne? Difficile, hanno risposto gli esperti.
Fra Brexit ed elezioni
Lo spettro, all’orizzonte, è quello di elezioni generali anticipate. Uno spettro che i più vedono lontano, poiché è difficile pensare che i parlamentari conservatori si autocondannino in favore di un futuro governo laburista. Certo, se il parlamento non fosse capace, una volta di più, di disegnare un governo funzionante e, ribadiamo, stabile, di soluzioni ne rimarrebbero ben poche. Peggio, o meglio, la voce degli elettori rimarrebbe la sola opzione sul tavolo.
L’Italia, con le recenti elezioni, non ha risolto i suoi guai. Al contrario, la litigiosità del centro-destra e il ruolo, scomodo, di Silvio Berlusconi sono diventati un caso. Nel Regno Unito, l’ingovernabilità parrebbe legata esclusivamente al Partito conservatore. Colpa della Brexit, o dei famosi cicli che si esauriscono. La crescita, per dirla con Truss, rimane il problema principale del Paese. Ma, banalmente, dipende da un governo stabile. Dall’unità. Qualità che questa Britaly, concludendo, non ha saputo esprimere.