«Noi americani abbiamo fallito rieleggendo un istigatore d'odio come Trump»
«Noi americani abbiamo fallito come popolo. Abbiamo avuto la possibilità e l'opportunità di riaffermare la democrazia come nostro sistema di governo, mandando a casa una volta per tutte un istigatore d'odio come Donald Trump. E invece lo abbiamo rieletto, è una sconfitta della società civile». È palese la delusione nelle parole di Alan Friedman sul ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Abbiamo contattato il noto giornalista americano a pochi minuti dal discorso al Convention Center di Palm Beach, dove il tycoon ha celebrato la vittoria delle presidenziali americane davanti ai suoi sostenitori. Una vittoria che, alla vigilia, non era data così per scontata.
«Tutti i sondaggi sono stati smentiti, ma la realtà è che non sono mai stati davvero attendibili – spiega Friedman –. Semplicemente perché le persone si rifiutano di ammettere che votano per Trump, nonostante quello che ha fatto e detto e nonostante le sue visioni distopiche sul mondo».
Visioni che tuttavia non sono mai state celate dal presidente neoeletto durante la sua campagna elettorale, né quando stava concorrendo contro Joe Biden né tanto meno successivamente con Kamala Harris. «La campagna più brutta della storia moderna, nella quale Trump si è comportato come un razzista, misogino e xenofobo. Intercettando la rabbia non solo della popolazione senza istruzione, alla base del suo elettorato, ma anche il ceto medio bianco, che ha paura di diventare in pochi anni la minoranza sociale del Paese, cosa che inevitabilmente avverrà nel giro di pochi anni. Un ceto medio che ha creduto alle bugie propinate dal tycoon, che ha alimentato un clima d'odio raccontando che un esercito di migranti è pronto a invadere gli Stati Uniti e che queste persone addirittura mangiano i gatti che trovano per strada. Sembrano assurdità ma è proprio quello a cui hanno creduto le persone che hanno votato per Trump, abilissimo nel suo ruolo di istigatore d'odio in grado di spaccare la coesione sociale».
Qual è però il ruolo che Kamala Harris non è riuscita a interpretare per convincere gli americani a votare diversamente? «Harris ha cominciato bene e i sondaggi sembravano premiare questo cambio di direzione da Joe Biden, un presidente che si è rivelato altamente impopolare. Col tempo, però, non è riuscita a offrire una visione per il futuro soddisfacente e ha proposto una campagna troppo buonista e morbida su temi chiave. E così le donne che dovevano votare per i loro diritti, su tutti quello all'aborto, non si sono presentate alle urne, così come i giovani e tante importanti comunità etniche, che addirittura hanno preferito le proposte politiche di Trump, senza capire quanto siamo a rischio».
E quanto siamo a rischio? «Tanto. La popolazione americana è divisa più che mai e si ritrovano un presidente che sarà ancora più scatenato e meno moderato rispetto al suo precedente mandato. Una versione americana di Viktor Orban, il presidente ungherese che tanto ammira. Questo dovrebbe preoccupare anche l'Europa, visto che con ogni probabilità assisteremo a una guerra commerciale con l'Unione Europea e un raffreddamento dei rapporti con la NATO».
A questo proposito, come cambieranno le strategie americane sui due fronti più caldi della geopolitica internazionale, vale a dire Ucraina e Israele? «Beh, Trump farà di tutto per rispettare le sue promesse. Come quella di terminare al più presto il conflitto in Ucraina, dando al suo grande amico Vladimir Putin tutto quello che vorrà. Ma ancora più contento sarà il leader israeliano Benjamin Netanyahu, che avrà carta bianca totale dal nuovo presidente americano per proseguire la sua guerra contro Hamas, Hezbollah e Iran. Ci aspettano tempi di grande instabilità».