L'appello

«Siamo frustrati dai danni del lupo, vogliamo che la politica ci ascolti»

Lo sfogo del settore primario dell’Alta Vallemaggia: «Non ce la facciamo più, ci serve aiuto» – Gli attacchi del grande predatore mettono sotto pressione gli animali al pascolo, ma anche gli alpigiani e le loro famiglie
Un incontro corale per lanciare l’appello alla politica, che «spesso sembra ignorare la nostra realtà»; nel tondo, un'immagine del lupo scattata in zona il 7 agosto 2022
Jona Mantovan
28.08.2024 19:00

Gli agricoltori dell’Alta Vallemaggia hanno lanciato un grido di allarme durante una tavola rotonda a Lodano. «Ci sentiamo bistrattati dalla politica. Non ce la facciamo più». E, ancora: «Nessuno ci aiuta. Dobbiamo investire parecchi soldi, milioni, e seguire regole severe che sono aggiornate di continuo. Tutto questo per cosa?», si chiedono. Al centro, lui. Il predatore silenzioso, il lupo. I recenti attacchi, solo di pochi giorni fa, hanno convinto Valerio Tabacchi a riportare a valle l’intera mandria di capre. «Ho 64 anni, sono un veterano. Questo lavoro mi piace», racconta con frustrazione al Corriere del Ticino. «Ma da qualche anno è diventato un incubo. Vedere ogni mattina animali smembrati è scioccante. Le capre sopravvissute sono impaurite, scappano chissà dove e ti tocca recuperarle fino a 2.500 metri, dove non c’è nulla da brucare. Si nascondono, non mangiano. Quando sono in basso, al pascolo, dopo un po’ si riprendono, ma solo perché sei insieme a loro».

L’ultimo capitolo

«Ci voleva un segnale forte nei confronti di chi lavora tutto il giorno negli uffici, a chilometri dalla nostra quotidianità. Con il mio gesto, scrivo l’ultimo capitolo di questo settore, e fa molto male».

Con il lupo «che fa quel che vuole» a rischio non c’è solo la produzione del formaggio Vallemaggia, realizzato con latte di mucca e di capra. Secondo Katia Ambrosini, «svanisce una tradizione della valle. Gli animali creano un ecosistema ricco di biodiversità. E non dimentichiamo il turismo», aggiunge la 50.enne, che abita nel Piano di Peccia. «Questa regione è conosciuta per i suoi villaggi pittoreschi e per la natura meravigliosa di cui sono circondati. Se nessuno se ne prende cura, però, nel giro di poco tempo diventeranno luoghi impervi e addio anche agli amanti della montagna e alle ricadute positive sull’economia locale».

Suo figlio, Matteo, da qualche anno ha proprio scelto di imparare questo mestiere: «Nel 2022 caricavo 125 capre all’alpe, ma dall’anno prossimo non voglio più avere a che fare con queste situazioni. Ho intenzione di vendere i capi di mia proprietà», ammette amareggiato il 26.enne.

Ho perso soldi, sono pure stato male psicologicamente e il latte che mungevo era la metà del solito
Matteo Ambrosini, agricoltore, 26 anni

La piaga degli esaurimenti

«Psicologicamente sono stato male e anche il latte che ho munto era la metà del normale. Ho perso molto denaro, ho perso in salute e mi sono accorto che non ce la facevo più», continua. Un mestiere già di per sé molto duro e faticoso, complicato dagli attacchi del grande predatore. Così, tra animali feriti da curare (con ulteriori spese non da poco) e protezioni inefficaci, ecco la piaga nascosta degli esaurimenti nervosi. «Con la differenza che difficilmente puoi permetterti di smettere di lavorare, se devi curare decine di animali che pascolano sull’alpe», rileva Athos Tami, vicepresidente dell’Alleanza patriziale ticinese.

Segnalazioni «ormai inutili»

Omar Pedrini, presidente dell’Unione contadini ticinesi, sottolinea come siano in molti a riferirgli di trovare inutile la segnalazione dei capi predati dal lupo per ottenere dei risarcimenti. «Dicono di avere l’impressione di perdere soltanto tempo. Ed è vero che se non si trova la carcassa, ed è una cosa tutt’altro che rara, non si riceve nulla. Ma lancio l’appello affinché non ci si arrenda».

I dati ufficiali forniti dal Cantone sui primi otto mesi dell’anno parlano di 11 casi di predazione del lupo confermati nell’intero distretto di Vallemaggia, che potrebbero arrivare a 13 dato che si attende la risposta di altri due esami genetici. Nel 2023, le predazioni sono state cinque. Di conseguenza, il numero di capi predati dal lupo si assesta a 21 (27 in caso di conferma delle analisi del DNA), mentre in tutto il 2023 erano stati 17. È sempre Pedrini ad aggiungere una seconda chiave di lettura alle statistiche che vedrebbero il numero di capi predati in calo rispetto al 2022, quando erano stati quasi 300.

«Uno dei motivi sta proprio nel fatto che ci sono meno animali all’alpeggio. Dobbiamo resistere e fare in modo che la legge, fino all’ultimo paragrafo, sia sfruttata per far riflettere sulla soluzione al problema». Tradotto in soldoni, l’abbattimento di qualche esemplare del famigerato predatore.

«Previsioni avverate»

«Non è un’attività che sconsiglio ai giovani. Ma dico loro di pensarci bene. Non è tutto rose e fiori già normalmente, figuriamoci con il lupo intorno», aggiunge il 42.enne. Gli fa eco Armando Donati, presidente dell’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori: «Le nostre previsioni, fatte una decina d’anni fa, si sono avverate. E molto peggio di quel che pensavamo», conclude il 79.enne.

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