Gigante giallo

La Posta: «Bisogna concentrarsi sui servizi, non sulle quattro mura dell'ufficio»

I vertici della Posta rispediscono le critiche al mittente: la strategia prosegue come previsto – Christian Levrat: «Se teniamo il passo, finiremo come in Danimarca, dove il recapito è stato abbandonato» – Roberto Cirillo: «Abbiamo trovato delle buone soluzioni insieme ai Comuni»
© KEYSTONE/Peter Schneider
Luca Faranda
14.03.2025 06:00

«Tutti dicono di voler mantenere l’ufficio postale, ma poi nessuno ci si reca». Il consigliere federale Albert Rösti, martedì, ha illustrato i problemi delle filiali: il volume delle lettere si è dimezzato (nel 2024 è diminuito di un ulteriore -5,5%) e i pagamenti in contanti agli sportelli postali sono diminuiti di tre quarti (- 10,7% tra il 2023 e il 2024).

Ieri, i vertici della Posta hanno illustrato i dati annuali, ma hanno anche risposto alle critiche mosse nei confronti dell’azienda. Abbiamo incontrato il presidente del cda, Christian Levrat, e il CEO dimissionario Roberto Cirillo, che lascerà la carica alla fine di questo mese. «La Posta non si può fermare», hanno più volte ribadito i due manager. La strategia, dunque, verrà messa in atto quanto prima. A partire dalla «trasformazione» di circa 170 filiali sulle 765 attualmente esistenti in Svizzera. In Ticino sono venti.

La moratoria

Il Consiglio degli Stati, martedì, ha bocciato la proposta di una moratoria che avrebbe imposto alla Posta di sospendere i piani di riorganizzazioni e smantellamento. Non sono mancate le critiche. Le posizioni tra la Posta e la politica sono così distanti? «No, abbiamo avuto un forte sostegno. Il Consiglio federale sostiene la nostra strategia, così come la maggioranza degli Stati. Ma non siamo sordi. Sappiamo bene che soprattutto in alcune regioni ci sono delle voci critiche. È anche segno dell’attaccamento delle persone alla Posta», spiega Levrat, che vuole mettere l’accento soprattutto sui servizi: «Le persone vogliono inviare lettere, ricevere pacchi, fare dei pagamenti e nei Comuni in cui si sta discutendo della trasformazione della rete, proponiamo alternative», aggiunge l’ex consigliere agli Stati ed ex presidente del PS, citando ad esempio le agenzie nei negozi e il servizio a domicilio. Tuttavia, le agenzie non possono essere equivalenti al lavoro di un ufficio postale. «I clienti possono regolare il 97% delle operazioni postali nelle filiali in partenariato».

Il paradosso e il mito

Ma le filiali in partenariato sono apprezzate tano quanto gli uffici postali? «I sondaggi sulla soddisfazione della clientela confermano che queste alternative funzionano, sia le filiali in partenariato che il servizio a domicilio sono apprezzati dai clienti». Eppure, tra petizioni, lettere e telefonate le chiusure delle filiali non sono particolarmente apprezzate né dalla popolazione, né dai Comuni. In particolare in Ticino e in Romandia. «È il paradosso del servizio pubblico», sostiene Levrat, secondo cui le abitudini della popolazione - sia i giovani, sia gli anziani - stanno cambiando e le persone non frequentano più gli uffici postali come un tempo. «La Posta è vista un po’ come un mito» e «alle persone non piacciono particolarmente i cambiamenti».

«Ho parlato con molti sindaci e a tutti ho detto la stessa cosa: siate esigenti con la Posta, chiedete che vengano proposte soluzioni per tutte le fasce della popolazione. Chiedete di verificare regolarmente se la soddisfazione dei clienti è sufficiente, anche nel vostro comune, e chiedete che vengano prese misure correttive in caso contrario».

Il dialogo con i Comuni

I Comuni sono messi di fronte al fatto compiuto? Levrat rimanda la palla nel campo delle autorità comunali. «In generale troviamo delle soluzioni, a meno che i Comuni rifiutano il dialogo». In quel caso, entrano in gioco le regole della Commissione federale delle poste (PostCom). In ogni caso, Levrat ritiene che si debba trovare una soluzione regionale, basata su un dialogo onesto. I Comuni, tuttavia, lamentano una mancata comunicazione e di essere messi di fronte al fatto compiuto. «Assolutamente no», si giustifica il presidente del cda della Posta. «La politica ha stabilito delle regole e noi le rispettiamo. Stiamo cercando di trovare soluzioni e di essere più vicini ai nostri clienti». Poi aggiunge: «Credo sia preferibile non concentrarsi solo sulle quattro mura degli uffici postali, ma sui servizi che i cittadini hanno il diritto di aspettarsi, sull’accessibilità di questi servizi e sulla facilità di accedervi».

Nessun rallentamento

La Posta è finanziariamente sana. L’utile del gruppo, attestatosi a 324 milioni, è aumentato di 70 milioni rispetto al 2023. Con questi numeri non è possibile rallentare la trasformazione, in particolare laddove la resistenza dei cittadini e dei Comuni è maggiore? «Purtroppo no. Non mi riferisco solo agli uffici postali: dobbiamo accelerare il processo di trasformazione dell’azienda, perché i venti contrari a cui siamo esposti stanno diventando sempre più forti. Il calo dei volumi postali sta accelerando e dobbiamo aspettarci che il declino continui. Se non teniamo il passo, finiremo come i danesi. In Danimarca è stato appena annunciato l’abbandono della consegna fisica della posta. Si tratta di un terzo dei posti di lavoro che scompaiono: se lo applicassimo alla Svizzera, sarebbero 15 mila posti di lavoro persi», afferma Levrat.

Ci saranno licenziamenti nell’ambito della trasformazione della rete? «Per quanto riguarda i posti di lavoro, evitare i licenziamenti è e rimane un punto chiave per noi. Anzi, per motivi demografici (presto molti collabiratori andranno in pensione, ndr) dovremo addirittura assumere nuovo personale».

Cirillo: «Abbiamo trovato delle buone soluzioni insieme ai Comuni»

Dopo sei anni, è tempo di bilanci. Qual è la sua autocritica?
«Sulle grandi decisioni strategiche sono convinto che la direzione e le decisioni che abbiamo preso sono state corrette. Sicuramente ho sottostimato la necessità di spiegare molto di più e di comunicare molto di più, sia a livello politico che con la popolazione, qual è la realtà di questa azienda e di conseguenza di quello che stiamo facendo e perché lo facciamo. Avremmo potuto farlo di piû...».

In Ticino e in Romandia la resistenza contro la chiusura degli uffici postali è maggiore. La Posta ne è consapevole?
«La grande differenza è che le soluzioni che adottiamo non vengono condivise come in altre regioni. Al giorno d’oggi abbiamo 1.250 filiali in partenariato e funzionano bene, perché sono molto apprezzate dai clienti. Di questa soddisfazione non si parla in Ticino e in Romandia e di conseguenza la popolazione si immagina che una volta perso l’ufficio postale gestito dalla Posta perderanno i servizi. Ma non è affatto così! Al contrario, la Posta vuole mantenere molta vicinanza con la popolazione. L’accesso ai servizi è sempre garantito, è solo la forma che cambia. La realtà è che sempre meno gente entra in una filiale della posta».

I Comuni, in particolare, non sono soddisfatti delle modalità di comunicazione. I vertici della Posta hanno fatto autocritica?
«Ho sempre trovato molto più produttivo quando la Posta e i Comuni si siedono a un tavolo per cercare la migliore soluzione comune, che corrisponde a un’evoluzione necessaria ma che allo stesso tempo è coerente con la situazione locale. Da Berna non possiamo sapere qual è la migliore soluzione per la regione, perciò ricerchiamo il dialogo con il Comune».

In Ticino 20 uffici postali potrebbero «essere interessati da una trasformazione». La decisione è irrevocabile?
«In due o tre casi ci sono ancora situazioni in cui il Comune ha deciso di non entrare formalmente nel dialogo e di rivolgersi alla PostCom. È un’opzione che i Comuni hanno e che di conseguenza noi rispettiamo. Le migliori soluzioni si trovano più facilmente se ci si siede al tavolo insieme. Pertanto, sarebbe meglio farlo dall’inizio. Nella maggior parte dei casi però posso confermare che abbiamo trovato delle buone soluzioni insieme ai Comuni. In certi casi, il Comune, o addirittura dei partner si sono proposti per riprendere l’attività postale all’interno delle loro strutture».

In questo articolo:
Correlati