Parla lo svizzero sopravvissuto all'affondamento della «Sea Story» nel Mar Rosso
«A quasi una settimana dalla tragedia, devo ammettere che sono ancora in modalità sopravvivenza. La mia priorità è riprendere il controllo della mia vita, che mi è sfuggita sul fondo della barca. È rimettere in forma il mio corpo ferito». A parlare è Michael Miles, uno dei due cittadini svizzeri sopravvissuti al naufragio della Sea Story nel Mar Rosso, il 25 novembre. È appena tornato dall'Egitto e ha affidato il suo racconto a 24 heures: è rimasto semisommerso per 36 ore nella cabina, a dodici metri di profondità.
Michael Miles ha 71 anni (li compirà tra una settimana), architetto di professione, ha collezionato 158 immersioni in tutto il mondo. «Quando ho visto la Sea Story, su cui avrei fatto una crociera di cinque giorni, ho pensato che con i suoi quattro ponti era troppo alta per una barca senza chiglia. Ironia della sorte, avrei dovuto viaggiare su un'altra imbarcazione, ma era stata cancellata poco prima».
Quell'onda enorme
Tutto è pronto e attorno al mezzogiorno di domenica si parte. Una prima immersione su una piccola barriera corallina, poi una seconda notturna. «Due grossi pesci cercavano di nascondersi sotto il guscio di una tartaruga. Non avevo mai visto nulla di simile». Nel cuore della notte tra domenica e lunedì, poi, un'enorme onda colpisce la fiancata della Sea Story. Michael Miles racconta quei concitati momenti: «Condividevo la cabina con un finlandese, sul ponte inferiore. Lui è volato in aria, atterrando sul mio letto. La nave si è ribaltata. Eravamo sottosopra». Miles apre la porta. Il corridoio è già allagato per due terzi. L'acqua entra in cabina. «Abbiamo subito rinunciato a "tuffarci". Avevamo maggiori possibilità rimanendo nella nostra stanza».
L'acqua sale e sposta tutto, un mobile dopo l'altro. «C'erano chiodi che spuntavano dalle assi, e ci entravano nella pelle. L'olio che fuoriusciva dai serbatoi ci faceva girare la testa. E i segnalatori di soccorso sui giubbotti di salvataggio non funzionavano... nessuno aveva messo le batterie».
Ma Michael Miles non ha paura. «Sono entrato subito in modalità sopravvivenza. In momenti come quello, è meglio mettere da parte le emozioni. Ma le ore passavano. Ci sentivamo soli. Nessuno ci cercava. Non sentivamo nulla». Martedì mattina, il vodese registra un messaggio di addio per la moglie e le due figlie.
Finalmente, una luce
Per Michael Miles, la salvezza arriva dopo 36 ore, grazie allo zio di uno dei naufraghi, sulla fregata militare inviata per i soccorsi. «Sommozzatore professionista, ha fatto di tutto pur di salvare suo nipote». Il corridoio è completamente sommerso. «Ho visto il fascio di luce di una lampada attraverso una fessura della porta della nostra cabina. Ho spostato un pesante materasso pieno d'acqua che bloccava l'ingresso, ho tirato la maniglia e ho visto delle bolle. Finalmente i sommozzatori!». Muniti di bombole, il vodese e il suo compagno di disavventura finlandese si infilano in un condotto largo appena 60 centimetri e attraversano un portello rimasto aperto, il tutto nella più completa oscurità. «Alla gente piace il lieto fine, no?», racconta oggi. E assicura che si immergerà di nuovo, senza paura. «Anche nel Mar Rosso».
Quattro morti e sette dispersi
La Sea Story trasportava 31 turisti di varie nazionalità e tredici membri dell'equipaggio. Inizialmente, lunedì sono state tratte in salvo 28 persone. Insieme a Michael Miles, sono state tratte in salvo altre cinque persone. Quattro corpi sono stati estratti senza vita dalle cabine. Sette persone risultano ancora disperse. Le autorità hanno dichiarato che l'imbarcazione era completamente certificata e aveva superato tutti i controlli. Un'indagine preliminare non ha rivelato alcun difetto tecnico.