Chiesti sei anni di carcere per un presunto raggiro da oltre nove milioni
Discendente della corte di Etiopia? Collezionista di orologi di lusso? Uno dei più importanti giocatori d'azzardo in Europa? Oppure ancora un consulente finanziario con importanti agganci nel mondo fiscale? O addirittura un amico del primo ministro del Giappone? O magari Alberto Rossi, capo agente fiduciario per la Banca d'Italia, attivo al Ministero delle finanze? Per la procuratrice pubblica Chiara Borelli non ci sono dubbi: l'uomo comparso oggi davanti alla Corte delle assise criminali è un truffatore incallito, «abile a indossare un vestito diverso a seconda dell'interlocutore che si trovava di fronte».
Lui, l'imputato, è un 55.enne italiano in carcere dal luglio 2023, accusato di truffa per mestiere per aver raggirato un cittadino americano, attivo nel mondo della finanza. Tutto questo agendo in correità con un avvocato italiano del Luganese già condannato in primo e secondo grado a tre anni e mezzo di carcere e a 8 anni di espulsione per aver partecipato a una truffa internazionale da 20 milioni di dollari ai danni di cinque cittadini statunitensi. Tornando al 55.enne, difeso dall'avvocato Andrea Lenzin, Borelli ritiene che in poco più di tre anni (dal settembre 2016 al novembre 2019) sia riuscito a impossessarsi di oltre 9 milioni di dollari e di circa 500 mila franchi. Nei suoi confronti, la procuratrice ha chiesto una pena detentiva di 6 anni oltre a 15 anni di espulsione dalla Svizzera. Di contro, l'imputato si è professato innocente.
Versamenti da sbloccare
Il modus operandi della presunta truffa – la Corte presieduta dal giudice Amos Pagnamenta pronuncerà la sentenza domattina – è simile a quella già contestata all'avvocato luganese e si basa principalmente (ma non solo) su una grossa eredità lasciata da un parente morto. In questo caso, la presunta vittima – costituitasi accusatrice privata e rappresentata dall'avvocato Andrea Gamba – sarebbe stata agganciata via e-mail e telefonicamente e ingannata con documenti falsi di finti istituti fiduciari e bancari lussemburghesi, i quali l'avrebbero avvisata di un'eredità di ben 40 milioni di dollari da incassare. Per entrarne in possesso, il cittadino americano avrebbe dovuto appoggiarsi al sedicente (il nome si è rivelato essere falso) Alberto Rossi. Dottor Rossi – il quale altro non era che il 55.enne imputato, presentatosi sotto falso nome a suo dire per «tutelarsi» – che, nella sua funzione di facilitatore nella transazione (grazie anche alla collaborazione con Maurizio Draghi, un falso nipote di Mario Draghi), prospettava alle vittime la necessità di acquistare una società con sede e conti bancari in Svizzera.
Ed è qui che entrava in scena l'avvocato citato poc'anzi, il quale aveva messo a disposizione le sue società dormienti per varie operazioni finanziarie. Alla vittima sarebbe infatti stato chiesto di acquistare una società in Svizzera e di pagare ingenti somme per sbloccare delle transazioni. Per esempio, le sarebbe stato proposto di gestire il patrimonio di un ricco cittadino nipponico, anticipando però i costi di sblocco del conto. Secondo l'accusa, sarebbe poi iniziato «un valzer di intoppi e ritardi alle transazioni». Fino ad arrivare al 2020, anno in cui la vittima ha sporto denuncia dopo aver versato, come detto, oltre 9 milioni di dollari.
«Il denaro è confluito nelle tasche dell'imputato, il quale lo ha utilizzato per acquistare orologi o per fare dei viaggi», ha argomentato Borelli. Almeno 3 milioni sono stati versati a una carta di credito «indiscutibilmente collegata al 55.enne e ai suoi spostamenti. Altri bonifici sono stati fatti a una società tunisina di cui l'uomo «è l'avente diritto economico», altri ancora alle società dell'avvocato del Luganese. Il legame tra i due uomini – il 55.enne in aula oggi e l'avvocato già condannato – è stato accertato dalla Corte di appello e revisione penale la quale, ha definito il 55.enne «l'ulteriore slancio nell'edificazione del castello di menzogne» imbastito dal legale (il quale, va detto, ha impugnato la sentenza al Tribunale federale).
«Fiducia carpita»
Centrale, nel dibattimento odierno, è stabilire se vi sia stata una truffa per mestiere, ossia un reato che richiede un inganno astuto nei confronti della vittima. Per il legale di quest'ultima, l'avvocato Gamba, sì: «La sua fiducia è stata carpita poco a poco. Si è trattato di un lavoro sull'arco di molto tempo, fatto da professionisti. Il mio cliente non si è tuffato acriticamente nel raggiro, ma il castello di menzogne è stato supportato da una cospicua documentazione, rivelatasi falsa».
«Verifiche? Non ne ha fatte»
Di diverso avviso il patrocinatore del 55.enne. Per l'avvocato Lenzin non c'è stata alcuna truffa: la presunta vittima «ha effettuato questi versamenti per costituire fondi neri a scopo fiscale». Dagli atti «mancano verifiche e riscontri oggettivi sul fatto che i sedicenti rappresentanti di fiduciarie e banche lussemburghesi siano effettivamente falsi, così come è assente un nesso di causalità tra i versamenti e l'indebito profitto che sarebbe stato ottenuto». Insomma, a suo dire l'inchiesta è stata carente ed è sfociata in «semplici congetture» e in un atto d'accusa poco dettagliato. Ma c'è di più. Secondo il difensore, non si potrebbe neppure parlare di truffa per mestiere, appunto un reato che richiede un inganno astuto e l'assenza di elementari verifiche da parte della vittima. Il cittadino americano, ha affermato Lenzin nell'arringa, «non è uno sprovveduto. Ha sempre lavorato in ambito finanziario, ma nonostante questo acquista una società senza fare verifiche? Qualche domanda se la doveva fare. Ha agito con superficialità e faciloneria, in contrasto con l'accortezza e la diligenza che si deve pretendere da un professionista come lui». Insomma, «si è reso corresponsabile della presunta truffa disattendendo l'obbligo di verifiche minime». Mancando gli elementi costituitivi del reato ipotizzato dall'accusa, Lenzin ha chiesto il proscioglimento dell'imputato oltre a un indennizzo quasi 100 mila franchi.