Ecco la riforma della Giustizia: «correttivi, non rivoluzioni»
Tutto liscio, come da programma. Dopo l’approvazione, martedì, del divieto di «presidenze a vita» per le Sezioni del Tribunale d’appello, oggi il Gran Consiglio ha dato il via libera anche agli altri due dossier che componevano il «pacchetto» di riforme per la Giustizia ticinese. Nel dettaglio, ha approvato pressoché all’unanimità la risoluzione proposta dalla Commissione giustizia e diritti, con una serie di ritocchi praticamente in tutti gli ambiti della Magistratura, e pure l’iniziativa che mira a dare maggiori poteri all’organo di controllo, il Consiglio della Magistratura (si veda l’articolo in basso).
Luce verde, dunque, e a larghissima maggioranza nonostante qualche frecciatina in aula, a una riforma che da più parti è stata definita «un primo passo nella giusta direzione» e non certo «una rivoluzione».
Dalla frecciatina...
Partiamo, come detto, dalla corposa risoluzione a cui ha lavorato quest’estate la Sottocommissione coordinata dalla deputata del Centro Sabrina Gendotti. Una risoluzione che, come detto, va a toccare quasi tutti gli ambiti della Giustizia. E che, ha rimarcato Gendotti lanciando nuovamente una stoccata all’indirizzo del Dipartimento delle istituzioni diretto da Norman Gobbi, «è stata voluta per gettare le basi di una riforma che la Giustizia ticinese attende senza successo da 10 anni». Dieci anni di attesa «poiché, anche se è vero che il Ticino è restio ai cambiamenti, dall’altra nemmeno il Dipartimento, tranne sulle Autorità regionali di protezione, ha sottoposto riforme al Parlamento o al popolo». Insomma, di nuovo al centro delle critiche c’è stato l’immobilismo del Dipartimento. Poiché, ha aggiunto la deputata, «le riforme vengono colte se si collabora e se si trova un consenso. Consenso che la Commissione ha trovato, tra i suoi membri, tra i partiti, e anche con le autorità giudiziarie. Ma non con il Governo».
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Al netto delle polemiche, la deputata è poi entrata nel merito delle modifiche proposte e auspicate. Partendo dai correttivi per il sistema di nomina dei magistrati, «consci del fatto che un sistema perfetto non esiste». Su questo punto, ad esempio, la risoluzione chiede di modificare la composizione della Commissione d’esperti indipendenti che seleziona i candidati, in modo da inserirvi almeno una persona specializzata in gestione delle risorse umane. Verrà inoltre introdotta la possibilità per la Commissione di far fare un «assessment» ai candidati. Così come viene auspicata l’introduzione di un«periodo di prova» per i magistrati. In generale, inoltre, nel processo di selezione occorrerà dar peso non solo alle competenze giuridiche del candidato, ma anche a quelle caratteriali.
La risoluzione propone poi maggiore autonomia gestionale e amministrativa per il Ministero pubblico, così come un potenziamento per lo stesso tramite la reintroduzione della figura dei sostituti procuratori pubblici. Un potenziamento è poi previsto per la Pretura penale e per la Magistratura dei minorenni: in quest’ultimo caso, sul corto termine tramite una delega al segretario giudiziario per poter svolgere in particolare i picchetti; a medio termine con la creazione di un’ulteriore «colonna» (formata da un nuovo magistrato, un sostituto e un segretario).
Viene poi suggerita una maggior professionalizzazione delle Giudicature di Pace. Ma anche la creazione di una vera e propria prima istanza amministrativa indipendente (che sostituirebbe l’attuale Servizio dei ricorsi del Consiglio di Stato).
Infine, viene pure creato un «piano carriera» per i magistrati. Senza dimenticare un punto sottolineato da molti, anche alla luce delle recenti vicende che hanno toccato il Tribunale penale cantonale, la creazione di un Codice etico per la Magistratura ticinese.
Il poco tempo a disposizione
Tutte proposte che, ha spiegato Gendotti in aula, «rappresentano dei correttivi al sistema, non delle rivoluzioni». Ma, ha aggiunto, sempre guardando metaforicamente al Dipartimento delle istituzioni, «l’auspicio è che questi miglioramenti possano essere attuabili in poco tempo».
Già, perché appunto, le proposte delle risoluzione (allo stato attuale) rappresentano unicamente degli auspici. Il compito di concretizzarle spetterà ovviamente al Governo. Su questo fronte le tempistiche indicate nell’atto parlamentare sono però chiare: entro fine anno l’Esecutivo dovrà prendere posizione e poi, eventualmente, licenziare i relativi messaggi governativi entro giugno 2025. «Il fatto che tutti i membri della Commissione abbiano sottoscritto la risoluzione – ha affermato in tal senso la deputata Cristina Maderni (PLR) – dimostra l’esistenza di una visione condivisa sulla necessità di intervenire con urgenza». Un intervento fatto di precisi correttivi, ha sottolineato invece la deputata Roberta Soldati (UDC), «poiché la Giustizia non ha bisogno di grandi rivoluzioni, bensì di risposte puntuali».
A prendere le difese del Dipartimento ci ha poi pensato il leghista Alessandro Mazzoleni, il quale ha invitato i colleghi a «evitare inutili critiche per concentrarsi, invece, su quello che è bene per la Giustizia». Anche lo stesso Gobbi, nel suo intervento, ha invitato tutti ad abbassare i toni e ad evitare di strumentalizzare la Giustizia, perché altrimenti a rimetterci «è la fiducia dei cittadini nel terzo potere dello Stato». Il direttore del Dipartimento ha quindi poi rispedito al mittente le accuse di «immobilismo»: «Accuse che non posso accettare». Ma, al netto di tutto ciò, il consigliere di Stato in chiusura ha voluto aprire al dialogo con il Legislativo. «Il Governo si determinerà sulle proposte nei prossimi mesi, d’intesa con le autorità giudiziarie. Come direttore prendo atto con soddisfazione dell’attenzione posta (ndr. dal Parlamento) sul buon funzionamento della Magistratura». E soprattutto, ha chiosato, «per esperienza vi dico che solo con la condivisione tra i tre poteri dello Stato riforme simili possono concretizzarsi». Una «condivisione che necessita di tempi più lunghi, ma che porta a un risultato più solido».
L'altro dossier: più poteri all'organo di controllo
Il «caos» creatosi all’interno del Tribunale penale cantonale (TPC) negli ultimi mesi non è stato citato spesso durante il dibattito in aula. Tuttavia, va da sé, ha fatto da sfondo a tutta la discussione.
Già, perché la vicenda ha sicuramente avuto un ruolo nell’accelerare le proposte del Parlamento. Lo ha fatto per la risoluzione di cui parliamo nell’articolo principale. E soprattutto lo ha fatto per l’altro dossier, quello della modifica della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), approvata oggi sempre pressoché all’unanimità, con cui si concederanno maggiori poteri al Consiglio della Magistratura, ossia l’organo di vigilanza che si sta occupando (anche) delle «beghe» tra giudici all’interno di Palazzo di Giustizia.
Non a caso, citando il filosofo Telmo Pievani, il liberale radicale Matteo Quadranti ha affermato: «Gli errori, le omissioni, le lacune, i vuoti nello spazio del possibile, sono spiragli di verità. Si impara per assenza». Già, perché in questo caso specifico, il Consiglio della Magistratura ha imparato che c’è una lacuna nel poter intervenire in casi come quello che sta avvenendo al TPC. E lo ha fatto sapere alla Commissione che, concretamente, ha proposto tramite l’iniziativa di colmare quella lacuna.
La misura più importante, non a caso, è quella di permettere al CdM di sospendere un magistrato anche in via cautelare dal momento in cui è stato aperto un procedimento disciplinare (oggi possibile solo con un procedimento penale). Ma non solo, come spiegato nel dettaglio da Quadranti, sono anche state introdotte (o inasprite) alcune sanzioni, oppure la possibilità di destituire dalla carica di presidente.
«Quanto emerso negli ultimi mesi dal TPC – ha detto dal canto suo la deputata socialista Daria Lepori – getta un’ombra su questa importante istituzione. Tra accuse di mobbing, querele fra giudici e foto scandalose, è una situazione intollerabile che richiede un chiarimento». E, nel contesto della proposta, Lepori ha quindi sottolineato che le normative vigenti «hanno chiaramente dimostrato i loro limiti» nella situazione al TPC. In generale, dunque, «l’obiettivo dell’iniziativa è quello di evitare il ripetersi di situazioni simili».
Si poteva fare di più?
Dal canto suo, il consigliere di Stato Norman Gobbi ha criticato la troppa celerità dei lavori parlamentari, sottolineando un altro aspetto: visto che il Parlamento ha voluto trattare questa iniziativa con urgenza, il Governo non ha avuto la possibilità di presentare degli emendamenti. Emendamenti che avrebbero potuto prendere spunto dalla presa di posizione del CdM stesso, che lo scorso venerdì 11 ottobre ha suggerito una serie di modifiche che avrebbero potuto rendere ancora più incisivo l’intervento del Gran Consiglio, concedendo strumenti ancor più «forti» all’organo di controllo.
Ad esempio? In situazioni eccezionali prendere misure cautelari o supercautelari anche in assenza di un procedimento disciplinare, oppure rendere più vincolanti le norme di comportamento, introducendo sanzioni in caso di violazione. Insomma, Gobbi ha suggerito che, aspettando qualche settimana in più, si sarebbe potuto fare di più. Ma, ha aggiunto in chiusura, «stiamo alle regole del gioco e non chiederemo una seconda lettura», ossia il Governo non chiederà al Parlamento di tornare a esprimersi sull’iniziativa.
Sia come sia, anche in questo caso l’iniziativa è stata adottata dal Parlamento all’unanimità. Il «pacchetto» sulla Giustizia, dunque, è servito.