Ticino

I docenti senza impiego? «Quel caso è la punta dell’iceberg»

Un gruppo di 62 docenti prende posizione sui giovani neoabilitati insegnanti di italiano che non avranno ore di insegnamento, spiegando che il problema è più generalizzato – La direttrice Marina Carobbio-Guscetti: «Al via un monitoraggio per capire come siamo giunti a questa situazione»
© CHRISTIAN BEUTLER
Paolo Gianinazzi
21.03.2025 20:15

Il caso dei tredici aspiranti docenti di italiano del medio superiore a cui, nonostante l’abilitazione, non saranno assegnate ore d’insegnamento «non è affatto un unicum». Anzi, «in realtà, non fanno che aggiungersi a una lista d’attesa che va misurata nell’ordine delle decine». E dunque, il caso recentemente emerso rappresenta solo «la punta dell’iceberg». È quanto scrive, in estrema sintesi, un gruppo di 62 docenti tramite una lunga presa di posizione inviata alle redazioni, con la quale hanno pure avanzato una serie di domande rivolte sia al DECS che al DFA.

Oltre al ben noto caso dei tredici aspiranti docenti nel medio superiore, vengono infatti riportati altri concreti esempi di disfunzionamento nei percorsi di formazione-abilitazione-assunzione dei futuri docenti ticinesi. Tra questi, sono citati docenti sempre di italiano, ma per le scuole medie, oppure docenti d’inglese e di storia. Diverse decine di persone che, dunque, stando alla presa di posizione hanno conosciuto (con varie sfumature) la stessa sorte dei tredici docenti già citati.

La situazione, inoltre, secondo quanto riporta il gruppo di 62 docenti, era nota da tempo. «È legittimo chiedersi, dunque, perché i numerosissimi campanelli d’allarme siano stati sistematicamente ignorati», si legge nella nota. Il gruppo, parlando di precariato, critica poi le nuove disposizioni cantonali – dovute ai tagli alla spesa recentemente approvati – «che impediscono la trasformazione delle supplenze lunghe in incarichi limitati». Ma non solo: biasima pure la mancata trasparenza dei concorsi d’assunzione. Venendo al dunque, il gruppo pone una serie di quesiti al DECS. Tra questi: «Quali soluzioni avete intenzione di adottare, affinché i neoabilitati in stato di precariato trovino aiuto e sostegno?; Come intendete rispondere dell’inefficacia dei calcoli elaborati negli ultimi anni?; Acconsentirete, d’ora in avanti, a rendere noti i dettagli intorno all’assunzione dei nuovi docenti, allo svolgimento dei concorsi e all’elaborazione delle stime sul fabbisogno di docenti?». Altre domande, poi, sono rivolte direttamente al DFA: «Avete intenzione di reimpostare i percorsi d’abilitazione per evitare realmente di formare un numero eccessivo di docenti, anziché riproporre una modalità organizzativa evidentemente inefficace?».

I diretti interessati

Sempre oggi, inoltre, a prendere posizione sono stati direttamente pure i tredici aspiranti docenti citati all’inizio. In una lunga nota criticano diversi aspetti. A partire dalla comunicazione del DFA, giudicata troppo tardiva malgrado i segnali fossero presenti da tempo. E, più in generale, dunque, una mancata trasparenza. «Non si intende ora mettere in dubbio l’esistenza di fattori che possano comportare una variazione nelle stime effettuate, tuttavia ci sembra inammissibile che questa comunicazione non sia giunta repentinamente (dato che la situazione doveva apparire chiara già a giugno 2024 e avrebbe potuto dunque essere illustrata a settembre) e, soprattutto, che ci sia un tale divario tra il numero di docenti ammessi alla formazione (13) e i posti per i quali si potrà concorrere (0)», si legge nel documento.

I tredici aspiranti docenti criticano poi alcune dichiarazioni dei vertici del DECS e del DFA. In particolare la giustificazione fornita secondo cui il diploma è valido in tutta la Svizzera, non solo in Ticino. Ma – fanno notare gli aspiranti docenti – «per italiano la possibilità di far valere il proprio diploma oltralpe è esclusa, perché l’abilitazione concerne unicamente l’insegnamento dell’italiano come L1 (cioè come lingua madre), mentre nel resto della Svizzera viene insegnato come L2». Viene poi biasimata anche l’idea che il percorso al DFA rappresenti unicamente una tappa della propria formazione. Non, dunque, un percorso che garantisce l’entrata nel mondo del lavoro. «Ma chi, ora più che mai, deciderebbe di sospendere la propria attività lavorativa o di ricerca e di impiegare uno, due o tre anni dovendone sostenere i costi, per ottenere un’abilitazione se sapesse che le prospettive professionali sono nulle oppure presenti solo oltre Gottardo?». E ancora: «Ci sembra che la realtà dei fatti sia un’altra: chi si iscrive al DFA lo ha sempre e solo fatto – come abbiamo fatto noi – per poter poi insegnare in una scuola ticinese, e non certo per un’esigenza formativa che il DFA sarebbe in grado di soddisfare». Infine, anche i tredici aspiranti docenti (così come i 62 docenti citati prima) sottolineano che «il discorso, purtroppo, non riguarda solo il medio superiore (e non solo italiano), ma coinvolge anche le scuole medie».

La reazione

Da noi raggiunta per un commento, la direttrice del DECS Marina Carobbio Guscetti parte da una premessa: «Capisco le preoccupazioni espresse tramite le lettere e le prendo sul serio. Infatti, negli ultimi mesi ho avuto più incontri con persone neoabilitate e in abilitazione, le quali mi avevano scritto esprimendo preoccupazione per il loro futuro». Questi incontri, aggiunge la consigliera di Stato, «ci hanno portato a fare diverse riflessioni e anche a discutere con il DFA sulla possibilità di offrire percorsi di abilitazione diversi, valutando quanto viene già fatto in altri Cantoni. Oltre a ciò, già alcuni mesi fa l’indicazione sul fabbisogno ha portato il DFA a non aprire nel settembre prossimo nuove abilitazioni per l’italiano». In questo senso Carobbio Guscetti spiega che il Dipartimento ha «deciso già lo scorso dicembre di avviare un dispositivo di monitoraggio con il DFA e la SUFFP che tenga conto dei dati demografici per meglio identificare il fabbisogno di docenti e le possibilità d’impiego». E i risultati del monitoraggio « potranno essere resi pubblici». Oltre a ciò, aggiunge, «ho chiesto approfondimenti sui temi sollevati dalle lettere, che riguardano le possibilità di impiego e le modalità di abilitazione per le scuole medie e le scuole medie superiori, tra cui le valutazioni che hanno portato nel 2023 a ritenere che per il 2025-2026 e gli anni seguenti ci sarebbero state possibilità d’insegnamento in italiano, ciò che ha portato ad aprire tredici posti di formazione al DFA. Quando avremo queste informazioni nel dettaglio informeremo le persone interessate e l’opinione pubblica, e risponderemo agli atti parlamentari». Anche perché, ammette, la questione non riguarda solo l’italiano. «In questi mesi si è discusso nelle riunioni di coordinamento con il DFA il rischio di avere poche ore d’insegnamento in alcune materie, tra cui l’italiano in particolare nelle scuole medie». Per quanto riguarda le due lettere (che contengono anche aspetti molto specifici), Carobbio Guscetti fa sapere che proporrà «un incontro con i firmatari per discutere i temi sollevati più nel dettaglio». E questo perché, chiosa la direttrice del DECS, «è molto importante essere trasparenti su come vengono svolti i calcoli sul fabbisogno, sulle relative procedure d’assunzione oltre che continuare a cercare soluzioni pratiche per i docenti confrontati con queste situazioni».

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