«Il coronavirus? Molto dipende dalle nostre scelte»
È alla testa dell’IRB da quasi due anni e mezzo. Un periodo segnato dalla pandemia, ma anche da importanti cambiamenti. Alcuni già attuati (come la nuova sede), altri previsti nei prossimi anni, soprattutto per quanto riguarda i futuri professori e i rapporti con l’Unione europea. Il CdT ha intervistato il direttore Davide Robbiani.
L’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB), fondato nel 2000, è cresciuto fino a raggiungere 13 gruppi di ricerca che si occupano primariamente di immunologia e discipline affini. Nelle scorse settimane è stato aperto il concorso per l’assunzione di un nuovo «group leader», vale a dire un capogruppo di ricerca. Quali prospettive si possono intravedere per l’istituto che lei dirige dall’agosto 2020?
«L’IRB sta per affrontare un ricambio generazionale importante, visto il pensionamento del professor Marcus Thelen e di tre altri group leader che raggiungeranno l’età pensionabile tra il 2024 ed il 2026. Per sostituire chi ha contribuito alla crescita dell’istituto negli anni passati dobbiamo riuscire ad attirare nella Svizzera italiana talenti che sviluppino programmi di ricerca innovativi e tecnologicamente all’avanguardia in ambiti legati all’immunologia, la disciplina per cui l’IRB è noto a livello internazionale».
Di cosa si occuperà concretamente il futuro «group leader» e quando entrerà in carica?
«Si occuperà di ricerca fondamentale, quindi ricerca per capire come funzioniamo in salute e malattia, su temi come i meccanismi di difesa dell’organismo contro malattie infettive o quelli legati al riconoscimento e distruzione di cellule tumorali. La seconda è un’area dove intendiamo crescere scientificamente assieme all’Istituto oncologico di ricerca (IOR), con il quale da un anno conviviamo nel nuovo stabile Bios+ a Bellinzona. La nuova, o il nuovo, group leader potrebbe entrare in funzione già nel corso del 2023».
Fondamentale, per chi opera nel campo della ricerca, è la possibilità di stringere collaborazioni con altri partner, sia nazionali sia, soprattutto, internazionali. L’IRB da questo punto di vista non è da meno. In questo settore ed in quello dell’innovazione la cooperazione fra Svizzera ed Unione europea è stata sempre molto proficua e vantaggiosa per entrambi. Come sappiamo la Confederazione è stata ora esclusa dal programma di ricerca «Orizzonte Europa». Quali conseguenze ha ed avrà per l’IRB questa decisione? Le misure transitorie adottate dal Consiglio federale sono sufficienti o bisogna fare di più per non pregiudicare il prezioso lavoro svolto dai ricercatori a tutti i livelli? Quali soluzioni/alternative, dal suo punto di vista, sono immaginabili?
«Le collaborazioni internazionali sono essenziali. Negli anni l’IRB ha partecipato a molti programmi europei che hanno contribuito, da un lato, a far conoscere l’istituto e, dall’altro, a stringere collaborazioni che ancora oggi sono importanti per alcuni dei nostri programmi di ricerca. Purtroppo con l’Europa ora è difficile, e potrebbe restarlo per alcuni anni. Proprio per questo stiamo puntando a rafforzare alleanze anche con atenei extra-europei, soprattutto negli Stati Uniti, dove dei colleghi sono interessati a delle collaborazioni con l’IRB ad esempio nel campo delle malattie infettive. La prossimità geografica aiuta, ma al giorno d’oggi non è indispensabile, mentre sono fondamentali le collaborazioni che possono permettere anche gli scambi di ricercatori per creare legami forti e duraturi».
All’Istituto di ricerca in biomedicina continuate a studiare il coronavirus. Cosa aspettarsi dall’inverno alle porte?
«Difficile fare previsioni. Questo virus ci ha sorpresi più volte in passato. Esistono motivi per essere ottimisti: i medici conoscono bene la malattia, l’arsenale di medicamenti è ben fornito e in molti, soprattutto tra anziani e fasce della popolazione fragili, hanno già fatto il richiamo vaccinale. Tra gli aspetti preoccupanti vi è la diffusione di nuove varianti del coronavirus (ad esempio BQ.1 e XBB) che stanno prendendo piede un po’ ovunque e sono capaci di ridurre la protezione conferita da vaccino e altre terapie. Preoccupa anche la probabile crescita dei casi di influenza (un’altra malattia virale facilmente trasmissibile), visto che oramai in pochi utilizzano la mascherina sui trasporti pubblici e nei luoghi affollati. Inoltre, allo sviluppo di sintomi, in molti non si testano e vanno comunque a scuola oppure al lavoro. Come sarà l’inverno forse dipenderà più dalle nostre scelte che non dal COVID».