Mafia

'Ndrangheta, una pena di quasi 5 anni per il «barista luganese»

Sono 56 i mesi di carcere inflitti, a Catanzaro, a uno dei due protagonisti del filone ticinese dell'inchiesta «Nuova Narcos Europea» – Per l'accusa, che chiedeva 17 anni, aveva mosso tonnellate di droga dal Sudamerica all'Italia
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Federico Storni
23.04.2025 06:00

Sono giorni carichi di notizie in relazione al radicamento della ‘ndrangheta in Svizzera e in Ticino. Negli scorsi giorni il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha annunciato il rinvio a giudizio di un 58.enne residente nella Svizzera interna ritenuto dagli inquirenti il referente nel nostro Paese della cosca Anello-Fruci. Si tratta della costola confederata dell’inchiesta italiana «Imponimento», che in questi anni ha visto condannate centinaia di persone tra cui – a quasi undici anni in Appello – un uomo residente nel Luganese che lavorava come operaio comunale e che del 58.enne è parente stretto. Fra le novità emerse dal comunicato dell’MPC vi era che il 58.enne avrebbe puntualmente aiutato anche un altro gruppo criminale di stampo mafioso, la ramificazione elvetica del locale di Fino Mornasco (Comasco), coordinata con il locale di Giffone. Quest’ultimo gruppo era anche stato oggetto di attenzioni italo-svizzere negli scorsi anni: l’inchiesta «Nuova Narcos Europea - Cavalli di Razza» che aveva visto di recente la condanna di alcuni esponenti svizzeri a pene ingenti da parte del Tribunale di Como. Ebbene, anche in questa inchiesta compariva un po’ di Ticino, in quanto due degli indagati lavoravano per un bar di Lugano. Uno, che del bar era il gerente, ha da tempo patteggiato una pena di due anni, mentre l’altro, un cameriere, è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Catanzaro a quattro anni e otto mesi, come si apprende dalla stampa italiana.

La pubblica accusa aveva chiesto 17 anni e 4 mesi, la difesa si era invece battuta per l’assoluzione.

Ruolo ridimensionato?

Le accuse a carico del barista, oggi 45.enne, erano molto gravi. Residente in Ticino da diversi anni, stando all’impianto accusatorio avrebbe avuto un ruolo chiave nella gestione di ingenti traffici di cocaina dal Sudamerica, anche in virtù dell’avere una compagna ecuadoriana, ai porti italiani. Ruolo che avrebbe ereditato dopo l’arresto del coordinatore precedente. La droga trafficata rientrerebbe nell’ambito delle tonnellate, e il suo ruolo sarebbe emerso da intercettazioni telefoniche compiute su ambo i lati dei confini dal «pool» investigativo italo-svizzero. Inoltre, col sessantenne gestore del bar – curiosamente, i ruoli si ribaltavano in ambito criminale – era accusato di aver mosso molto denaro dal Ticino a Zurigo. Soldi necessari a movimentare il traffico di cocaina. Se il sessantenne è stato condannato per favoreggiamento, il 45.enne si professava innocente. Difficile però ricostruire le esatte motivazioni. Il processo, ha ricordato ad esempio nei mesi scorsi laRegione, si è tenuto a porte chiuse. Inoltre il Tribunale di Catanzaro ha sì pronunciato le sentenze di questo filone d’inchiesta, ma non ne ha ancora depositato le motivazioni. Risulta dunque difficile capire cosa abbia convinto i giudici italiani e cosa no. Il suo ruolo, però – a confrontare la sua pena con quelle inflitte ai correi (19, nove le assoluzioni) –, sembra essere stato ridimensionato rispetto a quanto prospettato nell’impianto accusatorio. In tutto l’inchiesta ha interessato oltre cento persone, in gran parte condannate in vari gradi di giudizio, non tutti definitivi.

Quel cambista di Mendrisio

Le tracce ticinesi dell’inchiesta «Nuova Narcos Europea» non si esauriscono peraltro ai due italiani attivi nella ristorazione luganese. Nel 2023 il Ministero pubblico della Confederazione, come reso noto a suo tempo dal giornale Area, aveva infatti emanato un decreto d’accusa (poi cresciuto in giudicato) a tre mesi sospesi con la condizionale nei confronti di un «cambista» di Mendrisio residente in Svizzera francese per aver cambiato, in sette operazioni fra giugno 2020 e marzo 2021, quasi 300.000 franchi in euro a esponenti svizzeri della cosca di Fino Mornasco, sempre al miglior tasso di cambio del giorno, per un guadagno non meglio specificato. Il tutto senza allestire nessun tipo di documentazione, come invece richiesto oltre la soglia dei 5.000 franchi dagli operatori finanziari. Tra i suoi clienti vi erano i principali indagati «svizzeri» del processo «Cavalli di Razza», in particolare Pasquale e Michele Larosa, condannati in Appello a Como lo scorso anno a dieci anni di carcere ciascuno. 

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