Gran Consiglio

Se l’autogestione cercherà casa, a trovargliela non sarà il Cantone

No alla mozione che invitava il Consiglio di Stato a cercare soluzioni «concrete e attuabili» e ad aprire un dialogo – Praticamente Lugano dovrà vedersela da sola, ammesso che voglia ancora chinarsi sul tema – Vitta: «Possiamo fare la nostra parte, però...»
© CdT/Gabriele Putzu
Nico Nonella
19.11.2024 17:00

Palazzo delle Orsoline chiude la porta all’autogestione: nessuna soluzione cantonale entro o al di fuori dei confini luganesi, nessuna ricerca di una sede e, va da sé, nessun dialogo. È quanto ha deciso il Gran Consiglio, espressosi su un tema che tanto ha fatto discutere in riva al Ceresio ma che era rimasto nei cassetti della politica cantonale per oltre un decennio. Più in dettaglio, il Parlamento ha dovuto decidere sul ruolo del Cantone, chiamato in causa nel 2012 da una mozione interpartitica che nel corso degli anni ha vissuto un iter travagliato: prima «dimenticata», poi oggetto di svariati rapporti, poi ripresa dal deputato Tiziano Galeazzi (UDC) e infine approdata in aula con due visioni politiche opposte.

Da un lato il rapporto di maggioranza della Commissione sanità e sicurezza sociale stilato dalla relatrice Laura Riget (PS) – e sottoscritto, oltre che dai socialisti, da PLR, Verdi e Più donne – che invita «il Consiglio di Stato ad avanzare soluzioni concrete, realistiche e attuabili entro un arco temporale ragionevole». Questo non significa solo «fornire un luogo» (che, viene precisato, deve essere in una zona urbana e accessibile dai mezzi pubblici) ma anche creare le condizioni «affinché questo tipo di realtà possa operare sul territorio». Dall’altro, invece, la posizione della minoranza con il rapporto della leghista Sabrina Aldi, firmato da Lega e Centro, secondo cui «non è compito dell’ente pubblico forzare un gruppo di persone che ha dimostrato ripetutamente di non aver nessuna intenzione di intavolare discussioni o mediazioni a trovare un accordo».

Ed è stata proprio questa linea ad aver fatto breccia in Parlamento: il rapporto di maggioranza è stato infatti bocciato con 41 no, 31 sì e 3 astenuti, mentre quello di minoranza è stato approvato con 42 voti favorevoli, 26 contrari e 3 astensioni.

Animi caldi

Il tema, come prevedibile, ha scaldato gli animi e diviso la politica, anche all’interno degli schieramenti. Partiamo da quello vincitore, ossia il fronte composto da PLR, Centro, Lega (sostenuto anche da Avanti con MTL ed HelvEthica), che ha sostanzialmente puntato su due aspetti giuridici. Il mancato rispetto delle regole da parte degli autogestiti e il fatto che loro stessi non si siano fatti avanti con il Cantone per aprire un dialogo. A nome del PLR, gruppo schieratosi a larga maggioranza a favore del rapporto di... minoranza, la deputata Roberta Passardi ha ricordato come questa realtà abbia «affrontato diversi problemi nel corso degli anni», ossia «conflitti con l’autorità, incertezze legali sulla permanenza nell’ex Macello e problemi di integrazione. Se già ci sono problemi locali di dialogo e trasparenza e di mancato rispetto delle normative – ha chiosato Passardi –, come si può pensare che la questione sia risolvibile a livello cantonale?».

Sulla stessa lunghezza d’onda la Lega. Per Aldi «non è possibile costringere al dialogo chi non vuole farlo. Il Molino è stata una zona franca senza leggi tollerata per troppo tempo. Se gli autogestiti volessero dialogare con un portavoce e garantendo una convivenza pacifica con i cittadini e il rispetto delle leggi, ben venga. Ma oggi i rapporti sono talmente compromessi che non è giusto né opportuno intavolare alcuna discussione». «Con la demolizione dell’ex Macello si è chiusa una fase che per troppo tempo ha generato tensione e divisione. Non possiamo legittimare forme di occupazione illegale», le ha fatto eco il collega di partito Stefano Tonini.

«La mozione chiede di cantonalizzare l’autogestione, ed è una contraddizione», ha dal canto suo affermato il capogruppo del Centro, Maurizio Agustoni. «Per quanto riguarda gli spazi pubblici, spetta al Comune metterli eventualmente a disposizione e il Cantone, in un contesto di sussidiarietà, può dare un contributo finanziario o logistico». Insomma, «una collaborazione ci può essere, ma va richiesta; ad oggi ciò non risulta e non si capisce perché il Cantone debba stimolarla o addirittura forzarla».

Un’insolita «alleanza»

Passando dall’altra parte della barricata, gli sconfitti sono un insolito fronte PS-Verdi-UDC (sostenuti da Più Donne, Verdi liberali e PC). Ma se per le forze progressiste l’autogestione è una realtà che va riconosciuta e incentivata – secondo la deputata luganese Tessa Prati (PS) è un’opportunità da esplorare perché «rappresenta un’alternativa necessaria agli spazi culturali tradizionali, che dà voce a chi altrimenti resterebbe ai margini», mentre a detta di Giulia Petralli (Verdi) «è una voce importante, che anni fa è stata messa a tacere (con le demolizione dell’ex Macello, ndr) a favore della parità politica e culturale» – per i democentristi il sostegno alla posizione della maggioranza ha basi differenti. «L’autogestione è come un incendio che cova sotto, la cenere; possiamo ignorarlo, ma prima o poi le fiamme divampano. Succede da anni, ma solo sulle rive del Ceresio, e questo alla maggior parte di voi (deputati, ndr) questo non interessa e il Cantone si è girato dall’altra parte». Insomma – lo ha rilevato il mozionante Tiziano Galeazzi nel suo intervento – «parliamo di un problema che oltrepassa i confini di Lugano, e il Cantone ha delle responsabilità. Adesso la situazione è di calma piatta, ma se un domani tornassimo alle occupazioni sarebbe bene avere pronto un piano B».

Ma se per l’UDC il tema va oltre i confini luganesi perché «il Cantone deve assumersi le sue responsabilità», per Prati, intervenuta a nome del gruppo socialista, «definire l’autogestione solo luganese vuol dire sminuirla». Come rilevato da Danilo Forini (PS), che ha preso la parola in sostituzione della relatrice Laura Riget, «l’unica vera questione che ci è stata sottoposta oggi è: il Cantone deve avere un ruolo più attivo o ci si limita a dire che Lugano deve arrangiarsi?». Secondo il deputato socialista, «per affrontare il tema è necessario un approccio diverso. Bisogna coinvolgere tutte le voci: quella degli autogestiti, quelle dei Comuni e quelle dei cittadini. L’autogestione ha più espressioni e per questo riguarda tutto il cantone».

Questione di sussidiarietà

Non sarà così: il plenum ha come detto sposato le conclusioni della minoranza. Sul tavolo restano le rassicurazioni del presidente del Governo Christian Vitta, il quale ha ribadito la posizione già espressa dal Governo nel 2021, quando si era detto contrario alla mozione Galeazzi: «L’autogestione è un fenomeno luganese che non si può cantonalizzare. Ciò non significa che il Cantone non possa fare la sua parte: è disponibile a collaborare, ma in un’ottica di sussidiarietà».

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