Truffa del vino, quattro condanne e un proscioglimento
Quattro condanne e un’assoluzione al termine del processo in primo grado per la grande truffa del vino per cui sono state vendute a distributori soprattutto d’oltralpe oltre settantamila bottiglie di barbera spacciato per vino più nobile (Tignanello, Sito Moresco, Amarone). Tanto ha deciso oggi la Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta.
La piena più alta, tre anni (sei mesi da scontare), è stata inflitta a colui che è stato il fulcro della truffa, perlomeno in territorio ticinese (per la stessa fattispecie una ventina di persone - fra cui gli imputati odierni, è stata rinviata a giudizio anche in Italia): il titolare di fatto di una società del Luganese (oggi in liquidazione), un 68.enne del Mendrisiotto attivo da tempo nel settore. «Ha agito con spregiudicatezza e determinazione per un facile guadagno - ha detto Pagnamenta -. Era un intenditore, non poteva non considerare sin dall’inizio che quel Tignanello acquistato a basso prezzo dalla Germania potesse non essere autentico». Poi, dopo essere riuscito a piazzarne diverse bottiglie fra il 2016 e il 2017, «si è attivato per diversificare l’offerta con altri vini». I finti Gaja e i finti Terre dei Pola. Vini venduti per circa un milione e mezzo di franchi in totale. Soldi solo in minima parte restituita ai danneggiati.
Il 68.enne era anche accusato di essersi intascato oltre 300.000 franchi che sarebbero spettati alla società, ma da questa accusa è stato prosciolto. È probabile che siano stati usati per pagare in nero il vino contraffatto (che peraltro veniva fatto entrare in Ticino senza dichiararlo in dogana).
Pareggiato il proscioglimento
Quanto ai suoi correi, due anni e mezzo (sei mesi da scontare) sono stati inflitti a un 62.enne del Luganese, che ha finanziato parte della truffa. Dei cinque imputati è l’unico che non era ancora stato in carcere (era riuscito a sottrarsi al momento degli arresti nel 2018): dovrà farlo ora, ricorsi permettendo. Da notare che nel processo italiano è stato assolto. A mente della Corte ticinese, invece, «emerge in modo incontrovertibile che fosse pienamente coinvolto: le chiamate di correità sono quattro e sono coerenti, logiche, disinteressate ed esenti da collusioni».
Sapeva, ma è stato assolto
Pene più leggere per il gerente di fatto della società (un 64.enne del Luganese: per lui 16 mesi sospesi) che all’inizio non sapeva ma poi ha scelto di ignorare la cosa, e per un 54.enne napoletano che si è prestato per compiere parti della truffa (due anni sospesi senza espulsione: gli è stato riconosciuto il caso di rigore). Prosciolto invece suo figlio: sapeva della truffa, ma la sua non è stata complicità, bensì un tentativo di complicità. E questo non è reato. È quindi stato confermato in grandissima parte l’impianto accusatorio della procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, che aveva però chiesto pene più alte (4 anni tutti da scontare per il 68.enne, ad esempio).
Non è finita
Per gli imputati, fatta eccezione per il 62.enne già assolto, vi sarà ora anche da affrontare il processo italiano, che ruota attorno al produttore del vino poi spacciato per più pregiato di quanto non era: un enologo dell’astigiano. Quanto al lato ticinese, lunedì prossimo, nella formula del rito abbreviato, un sesto imputato (colui che vendeva il vino al 68.enne del Mendrisiotto) apparirà di fronte al giudice Pagnamenta. Una settima persona coinvolta è nel frattempo deceduta e per un’ottava, che è riparata da tempo in Italia, l’accusa ha prospettato un decreto d’abbandono.
Vino all’asta
La Corte, oltre a giudicare nel merito gli imputati, doveva anche decidere cosa fare dell’ingente massa di vino sequestrata, in parte presso l’Ufficio reperti della Polizia cantonale, in parte nei magazzini di un grande distributore. Non avendo trovato soluzioni, la procuratrice Rigamonti ne prospettava a malincuore la distruzione. La Corte, però, ha deciso di salvarlo. Affermando di aver trovato un accordo con il Cantone, il vino sarà messo all’asta dopo averlo trasferito in bottiglie generiche (o dopo averne strappato l’etichetta): “Così non verranno smaltite decine di migliaia di litri di quello che comunque rimane un buon vino”. Tanto da aver ingannato anche qualche esperto. Anche una delle cantine truffate l’ha definito “buono, ma banale”.