Pro Helvetia abbandona Venezia
Pro Helvetia, la fondazione svizzera chiamata a sostenere e a promuovere le culture del nostro Paese, intende dunque separarsi da una delle sue sedi storiche più belle architettonicamente e prestigiose, il Palazzo Trevisan degli Ulivi di Venezia. Da quello che si è potuto apprendere il commiato avverrà in due fasi: con l’abbandono delle attività culturali, dapprima, entro due anni, e inevitabilmente con la vendita dell’immobile, poi (appartiene alla Confederazione), dato che è inimmaginabile pensare che si voglia tenere in ibernazione una proprietà pure bellissima nell’attesa di ideare qualcosa di nuovo e che comunque richiederebbe investimenti non da poco e a lungo termine.
Ricordiamo innanzitutto che Palazzo Trevisan, oltre che centro di cultura, è stato la sede del Consolato svizzero nella città lagunare poi retrocesso, ai primi del nuovo millennio, a Consolato onorario. Il palazzo cinquecentesco si affaccia sul canale della Giudecca e si trova a due passi dall’Accademia. Gode pertanto di una posizione davvero invidiabile e basta un quarto d’ora per raggiungerlo a piedi dalla stazione ferroviaria.
Dobbiamo immaginare che la decisione sia il frutto di una ponderata valutazione. I costi di gestione, da un lato, sono certamente importanti. Dall’altro non possiamo certo ignorare il fatto che le politiche culturali, da qualche decennio in qua, non disdegnano di perseguire il successo immediato, spesso maritato con l’effimero, e nulla più di un palazzo antico in una città che non ha certo i caratteri di una metropoli moderna è più lontano da quelli che sono i nuovi miti di chi gestisce (più dagli uffici che dalle officine che creano, questo va detto, ahimè) la cultura. Pertanto Pro Helvetia dice sì alla Biennale e no alla sua sede fissa. Non basta naturalmente lamentare l’accaduto e augurarsi che possa succedere qualcosa di buono.
Palazzo Trevisan deve continuare a vivere attraverso una trasformazione progressiva che lo faccia diventare un centro dinamico. Come sempre succede, non bastano le parole ma occorre unire le forze perché tutto possa funzionare a pieno ritmo. Ci vogliono idee innovative, ci vogliono più mezzi e più personale (se non siamo male informati il centro culturale veneziano dipende oggi nella gestione dall’Istituto svizzero di Roma), servono sinergie.
La questione, prima di tutto, non è culturale, né finanziaria, ma (ci si permetta la parola) di carattere manageriale o per meglio dire di management della cultura. Certo, non si può immaginare che Palazzo Trevisan degli Ulivi possa limitarsi a ospitare concerti, conferenze, incontri e qualche studioso svizzero che pernotta a Venezia; bisogna trasformarlo, progressivamente ma in fretta, in un centro culturale, di studi, di convegni più dinamico e attivo, tenendo conto degli spazi, che sono grandi, del fascino di Venezia, dell’importanza economica e culturale di Regioni come il Veneto e di altre vicine come la Lombardia, il Friuli, l’Emilia Romagna.
Su un’isoletta veneziana è attiva per esempio la Fondazione Cini, scientificamente molto prestigiosa, e molto attiva. Questo per dire che, progettando seriamente, lavorando con capacità culturali e volendo politicamente, i risultati si ottengono. È chiaro pertanto che la questione, oltre che culturale, è di natura gestionale e politica e c’è davvero da augurarsi che anche il consigliere federale italofono, insieme a tutte e a tutti coloro che lavorano per promuovere la cultura elvetica al di fuori dei patrii lidi, si impegni a fondo per trovare una soluzione meno drastica, anzi drammatica, che certo non fa onore al nostro Paese.
Renato Martinoni, già membro del Consiglio di Fondazione di Pro Helvetia e professore invitato all’Università Ca’ Foscari di Venezia