L'intervista

Anto Grgic: «Mentre il Lugano evolveva, a Sion si accumulavano errori»

Il nuovo centrocampista bianconero parla per la prima volta dal ritiro in Val Venosta: «È vero, nel 2018 preferii i vallesani a Cornaredo, ma negli ultimi anni le cose sono cambiate parecchio»
L'ultimo arrivato in casa bianconera. ©CdT/Gabriele Putzu
Massimo Solari
05.07.2023 16:15

Anto Grgic è un giocatore che si nota. Anche in allenamento. Fisico longilineo, piedi educati e tanta personalità. A dieci giorni dalla firma in bianconero, lo abbiamo incontrato nell’ambito del ritiro in corso in Val Venosta. Ecco cosa ci ha raccontato l’ex centrocampista Sion.

Signor Grgic, secondo Mattia Croci-Torti – suo nuovo allenatore – il colpo più importante del mercato estivo in Super League sin qui è stato il suo arrivo a Lugano. Concorda?
«Beh, sentire parole di questo tipo fa senz’altro piacere. Sono felice, davvero, di poter fare parte del club bianconero. Un club che mi ha voluto fortemente. E la fiducia è la cosa più importante. Va da sé, spero di ripagarla al meglio, cercando di ritagliarmi un ruolo prezioso in squadra».

Da quanto tempo il Lugano le faceva la corte?
«Diciamo che le cose si sono fatte serie non appena chiusa l’ultima stagione, quando la mia situazione al Sion è cambiata. Avevo ancora un anno di contratto ma pure una clausola d’uscita in caso di retrocessione in Challenge League. Il club, quindi, non ha tardato a mostrarmi il proprio interesse sincero e un progetto che mi ha convinto in poco tempo. Per questa ragione ho firmato subito. A fronte delle ottime sensazioni provate, tergiversare e spingere le trattative a oltranza, non aveva alcun senso».

La sua squadra del cuore, però, è lo Zurigo, club dove ha lanciato la carriera: un ritorno al Letzigrund era un’opzione sul tavolo?
«In realtà no. Personalmente, quantomeno, non vi sono stati contatti con la mia ex squadra. Forse se ne è occupato il mio agente, con cui tuttavia i patti sono chiari: approfondiamo insieme solo le offerte concrete. E, ribadisco, dopo il primo, convinto approccio del Lugano non vi sono stati dubbi circa la destinazione da raggiungere».

Ho parlato solo con il club bianconero, che mi ha voluto fortemente: tergiversare le trattative non avrebbe avuto senso

Piccola provocazione, tornando alla prima domanda: se Anto Grgic può essere definito come uno dei migliori trasferimenti del momento, perché negli ultimi anni – a Sion – la sua carriera ha conosciuto più delusioni che gioie?
«È un’ottima domanda. Purtroppo in Vallese sono andate storte molte cose. Troppe cose. E ripensare soprattutto all’ultima stagione, con il suo amaro verdetto, mi fa male al cuore. Spero che la discesa nella lega cadetta, al Tourbillon, possa trasformarsi in un’occasione per correggere i diversi errori commessi negli scorsi anni. Un’occasione di ripartenza. Vera».

In passato, complice l’intera trafila con le selezioni giovanili della Svizzera e il passaggio a Stoccarda con tanto di promozione in Bundesliga, era considerato uno dei centrocampisti più promettenti del Paese. Poi cosa è successo?
«Innanzitutto devo fare autocritica: io per primo mi aspettavo qualcosa di più dall’esperienza a Sion. Non sempre, invece, sono stato in grado di esprimermi sui livelli attesi. Quando nel gennaio del 2018 ho firmato con i vallesani la squadra era ottima e, non a caso, siamo passati dall’ultimo al sesto posto. Credevo che su queste basi fosse possibile progredire ancora, ma non è successo. Puntualmente, e bisogna sottolinearlo, abbiamo perso per strada i migliori elementi e – a livello qualitativo – i sostituti non sono mai stati all’altezza. Le cose, di conseguenza, si sono complicate. Anche sul piano mentale. Quando ci provi e però i risultati non arrivano mai, può farsi largo la frustrazione».

E perché lei, fra gli elementi più in vista a Sion, non è mai partito? Non ritiene, magari, di essersi seduto in una società che non bada a spese per i suoi pupilli?
«Non dimentichiamo che per partire servono delle offerte allettanti o, perlomeno, congrue. Come accennato, le mie prestazioni non sono sempre state sufficienti. E, di riflesso, non ho contribuito a generare opportunità migliori di quella vallesana. Da un punto di vista finanziario, inoltre, il presidente Christian Constantin non era disposto a svalutare l’investimento fatto con me. Insomma, le opzioni favorevoli all’uno e all’altro non si sono presentate e dentro di me – sportivamente parlando – ho sperato sino all’ultimo che ogni stagione potesse essere quella della svolta».

A proposito di star e flop al Tourbillon. Quanto le ha fatto male perdere la fascia di capitano a favore di Mario Balotelli, durante l’ultima stagione?
«Non è stato facile e, certo, si è trattato di un fatto inusuale. Questa, comunque, è stata solo una delle cento situazioni infelici vissute dal club lo scorso campionato. Tra l’altro, l’ho accettata senza alcuna polemica, senza attribuirle un peso eccessivo. Di più: sono persino dispiaciuto che le cose con Mario non siano andate come auspicato. Forse non siamo stati abbastanza uniti e complici per permettergli di fare la differenza in Svizzera».

Rinunciare alla fascia di capitano a favore di Mario Balotelli non è stato facile. Ma ho accettato la decisione del Sion senza alcuna polemica

Ma lo sa che due dei momenti più belli della sua carriera li ha festeggiati a discapito del Lugano? Il primo gol in Super League, nel 2015, e la finale di Coppa Svizzera del 2016 vinta con la maglia dello Zurigo.
«Interessante... (ride, ndr). E per certi versi incredibile. Non ci avevo pensato. Contro il Lugano, oltretutto, ho segnato spesso. Cinque volte se ricordo bene. Beh, direi che è arrivato il momento di sdebitarmi».

Anche perché aveva la possibilità di firmare per il Lugano già a inizio 2018. Preferì il Vallese. Sì, deve decisamente farsi perdonare qualcosa agli occhi dei tifosi...
«L’ho suggerito in precedenza. Quando devo trasferirmi, la prima cosa che valuto è la qualità della squadra che bussa alla mia porta. All’epoca, banalmente, il potenziale del Sion mi era parso più importante e promettente. Del Lugano così come di altre società interessate ad acquistarmi. Nel frattempo le cose sono cambiate. La mia prospettiva è cambiata. E l’attuale Lugano, formato da ottimi giocatori, fautore di uno stile di gioco affine alle mie caratteristiche e non da ultimo ambizioso, si è trasformato nell’occasione da non perdere».

Ha citato le ambizioni del club. Se possibile, quelle dell’allenatore Mattia Croci-Torti vanno pure oltre. Di recente, per esempio, il Crus ha parlato di titolo, di farsi pronti in caso di passi falsi dei vari YB e Basilea. La pensa allo stesso modo?
«La penso allo stesso modo, sì. Mattia ha ragione. Il Lugano deve affrontare la nuova stagione di Super League con questa mentalità vincente. Tutto e possibile, a maggior ragione con una società, una rosa e un allenatore capaci come quelli che ho trovato. Poi, come sempre, parlerà il campo. Ma l’ambizione, se il successo non dovesse presentarsi in questo o nel prossimo torneo, non dovrà comunque venire meno».

Come è cambiata, nell’ultimo periodo, la percezione dell’FC Lugano? Per esempio al Tourbillon.
«A suggerirci lo sviluppo positivo dei bianconeri è stato innanzitutto il campo. Quando venire a capo di un avversario si trasforma in una missione vieppiù complicata capisci che qualcosa sta succedendo. Fuori dal terreno da gioco, poi, hanno fatto rumore alcuni movimenti di mercato, così come il rendimento di determinati acquisti. Penso in particolare a Renato Steffen. O ancora a Ignacio Aliseda e Zan Celar. L’evoluzione del club ticinese è diventata un fatto incontestabile. E ciò al contrario di quanto avveniva a Sion».

Croci-Torti parla di titolo? Ha ragione. Il Lugano deve affrontare il campionato con questa mentalità: tutto è possibile

Quanto è stato forte, nella piena maturità calcistica, il richiamo dell’Europa?
«Lo definirei un bonus, ma non la ragione principale del mio trasferimento. Certo, il palcoscenico continentale costituisce una chance enorme».

Il Lugano ha puntato su di lei per trovare, con un pizzico di ritardo, il sostituto di Sandi Lovric, quest’anno esploso in Serie A, sponda Udinese. Pressione?
«Sinceramente? No. Non mi sono posto la questione. Naturalmente lavorerò per contribuire a mia volta al successo della squadra. Il tutto, però, nel quadro di una rosa mutata. Quello che si sta per aprire, detto altrimenti, è un nuovo capitolo».

Per lei il pallone è anche una questione di cuore. Il difetto cardiaco col quale ha dovuto convivere all’alba della carriera come l’ha condizionata e, forse, condiziona tutt’ora?
«Non è più un problema. Non lo è mai stato in realtà. Semplicemente, avendo come molti altri calciatori un cuore un po’ più grande e che pompa più sangue, è capitato di dovermi sottoporre a test aggiuntivi. Il team medico è a conoscenza della questione. Fisicamente e a livello cardiaco, ad ogni modo, posso allenarmi normalmente. Come i miei compagni».

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