Se il Lugano è un trapezista senza rete che ora rischia di farsi male

La testa non è ancora sott’acqua. Ma il peso delle sconfitte e delle contingenze sta trascinando il Lugano verso il basso. Con forza e, risultati alla mano, in modo ineluttabile. Il successo ottenuto contro il Winterthur prima della sosta e la sosta stessa sembravano in grado di curare i mali della squadra di Mattia Croci-Torti e invertire la tendenza. I primi, invece, sono così profondi dal rendere oramai allarmante la seconda. Basta osservare la classifica della Super League, nel giro di 24 ore divenuta oltremodo traballante per Steffen e compagni.
A quattro turni dal termine della stagione regolare, il Lugano condivide con lo Zurigo l’ultimo posto al sole. Superato da YB e Lucerna. A -6 dalla capolista Servette, sabato sera passato a Cornaredo grazie a un trattato di realismo. E però, al contempo, a cinque lunghezze dal 7. posto. Sì, il girone per il titolo, che verrà plasmato dopo la scissione della classifica, è in pericolo. E le trasferte di Yverdon (martedì) e Basilea (domenica) preciseranno la gravità della situazione. Oddio, forse - e se lo augurano tutti - la smentiranno, rilanciando la formazione ticinese. La quarta sconfitta nelle ultime cinque uscite di campionato, tuttavia, potrebbe essere stata quella di troppo. La classica mazzata, già, al morale e alle residue ambizioni di grandeur.
«La metà della qualità»
Insomma, il Lugano assomiglia a un trapezista senza rete che rischia di scivolare e farsi male. Una squadra senza reti, anche, considerato che sui quattro rovesci citati, tre hanno visto i bianconeri rimanere a secco. E la musica non cambia, se alla lista aggiungiamo l’infruttuosa trasferta di Celje, nell’andata degli ottavi di finale di Conference League, e la sciagurata eliminazione nei quarti di Coppa Svizzera, sul campo del piccolo Bienne. «Anche con il Servette non siamo stati incisivi negli ultimi 30 metri» ha non a caso affermato a più riprese il Crus, a margine del 2-0 subito tra le mura amiche. Rispetto ad altri kappaò, il tecnico momò è ad ogni modo parso meno affranto. Quasi a Cornaredo si fosse preso definitivamente atto del quadro sfavorevole. E lo scoramento, persino la rassegnazione, percepiti nelle parole di molti tifosi, hanno fatto il paio con l’amara consapevolezza del condottiero bianconero. L’infermeria, offensiva nei numeri e nei profili, lo aveva d’altronde obbligato a scelte eloquenti: un difensore dai piedi ruvidi a centrocampo (Papadopoulos) e come primo cambio - sotto di una rete - un terzino chiamato a vestire i panni dell’ala offensiva (Marques). «Potevo contare su un gruppo con la metà della qualità di cui dispongo in condizioni ideali» ha riconosciuto il Crus. «Lo si è visto in particolare nel finale di gara, quando con caratteristiche differenti non siamo riusciti a produrre le solite fiammate, con forza, apparendo quasi senza mordente».
Torneo finito pure per Belhadj?
Il Lugano, banalmente, doveva vincerla nel primo tempo, giocato con il giusto piglio e segnato dalle nette occasioni fallite da Belhadj e Koutsias. «Ma se non la chiudi prima devi essere perlomeno bravo a non perderla» ha osservato il Crus, ponendo l’accento su una delle principali lacune della sua compagine e togliendolo da un’altra magagna: «Non bisogna ripetere come un mantra che prendiamo troppe reti rispetto all’anno scorso. Il problema è che non riusciamo mai ad andare in vantaggio. La scorsa stagione subivamo meno gol perché segnavamo per primi, poi ci chiudevamo e ripartivamo alla grande. Eccola la grande differenza».
Nel dettaglio, i bianconeri sono finiti 18 volte sotto nel punteggio. 18 su 29 turni! In dieci occasioni sono stati capaci o di ribaltare la partita (sei volte) o di salvare un punto (quattro), mentre 24 punti se ne sono volati via. Tanti, troppi. Eppure, si tratta dello stesso bottino gettato alle ortiche nello scorso campionato. Anche lungo la Super League 2023-24, in effetti, il Lugano aveva perso otto gare messesi in salita. Uno svantaggio iniziale, dopo 29 turni, si era tuttavia verificato «solo» in 13 circostanze. E solo in due gli uomini di Croci-Torti erano riusciti a strappare il successo. Che cosa significa? Beh, che l’allenatore - rispetto all’ultima stagione - ha comunque potuto godere di maggiori risorse in grado di fare la differenza nei momenti critici. Le ultime settimane, oltre che la fiducia, hanno però intaccato oggettivamente il capitale umano a disposizione del mister bianconero, che ora potrebbe aver perso pure Belhadj, la cui tibia ha scricchiolato.
L’anonimato che fa paura
«Ma affermare che serve una scossa, a mio avviso, non è corretto» ha tenuto a precisare il Crus. «Con il Servette non si è vista una squadra passiva, tutt’altro. E non è mettendomi a urlare o prendendo delle decisioni forti che l’efficacia in fase offensiva subirà una svolta. No, dobbiamo essere più affamati e aggressivi là davanti. Abbiamo tirato il doppio dei granata e potuto sfruttare nove calci d’angolo e cinque punizioni in zona interessante. Perdere a fronte di coordinate del genere fa male». E, aggiungiamo noi, certifica altresì il periodo infelice di Renato Steffen, così come l’impossibilità - comprensibile - di dipendere da un attaccante di 21 anni e animato dalle migliori intenzioni. Vivere un finale di campionato nell’anonimato, fuori dalle prime sei, equivarrebbe tuttavia ad annegare dopo aver provato l’ebbrezza del volo.