L'ambizione sfrenata del Lugano e il cuore di Dario Zuffi diviso a metà

Le motivazioni saranno portate all’estremo. Da una squadra, così come dalla sua avversaria. Ecco perché il match di domenica a Cornaredo promette scintille. La disperazione sportiva prenderà il sopravvento, sì. Con il Lugano a declinarla in un modo e il Winterthur ad attribuirle un senso differente. «È forse la partita decisiva per l’Europa, quella da non sbagliare assolutamente» afferma il tecnico ticinese Mattia Croci-Torti. «Per noi conta ogni gara, ogni punto» replica Dario Zuffi, viceallenatore degli zurighesi e indimenticato attaccante bianconero. Il Crus insiste: «Davvero, è un incontro troppo importante, dal peso specifico. Per l’assalto al 2. e 3. posto in classifica, ma anche in vista della finale di Coppa Svizzera. Al Wankdorf vogliamo raggiungere quota 12.000 tifosi. E se vogliamo riuscirci serve una vittoria. Una vittoria che va provocata. Ai miei uomini non chiederò di essere pazienti. Tutt’altro. Servirà osare, rischiare anche, dribblando, tirando e buttandoci in area con convinzione». Un grido di battaglia. Una minaccia, quasi. Zuffi, però, non si scompone: «Ci aspettiamo un Lugano aggressivo e siamo pronti a soffrire, a essere messi sotto pressione. Lottare, per noi, è la costante della stagione. Il penultimo posto a quattro giornate dalla fine costituisce un miracolo. Prese sulla carta, la nostra rosa e quella della concorrenza non hanno nulla da spartire. Dovremmo avere 10-15 punti di distaccato dal nono».
«Battere i gialloneri? Il Lugano può farlo»
L’ex giocatore del Lugano, va da sé, difende gli interessi del Winterthur. Ne sposa appieno gli intenti rivolti alla salvezza. Eppure, sa esattamente cosa sta passando il Lugano. L’ebbrezza di Sabbatini e compagni, così come l’opportunità di flirtare con la storia e l’immensità sportiva, sono appartenute anche alla sua persona. Alla sua carriera. Nel 1992 e nel 1993, Zuffi c’era. Giocò entrambe le finali di Coppa raggiunte consecutivamente dal club bianconero. Non si diede pace prima, si abbandonò a lacrime di gioia e champagne poi. Come nel 1987, per altro, e guarda caso con la maglia dello Young Boys, grande favorito il prossimo 4 giugno. «Ma non chiedetemi di schierarmi. Il mio cuore è diviso a metà. A Berna sono stato un po’ più a lungo, vincendo anche il campionato. Del Ticino, invece, serbo solo bei ricordi. Sia sul piano sportivo, con quelle due splendide cavalcate, sia a livello personale, considerato che allora nacque il mio terzo figlio Nicola». Vent’anni fa, suggerivamo, Zuffi partecipò al trionfo bianconero contro il Grasshopper, cancellando così l’amarezza per l’ultimo atto perso dodici mesi prima al cospetto del Lucerna. «In questo - racconta - l’attuale situazione del Lugano è diversa rispetto agli anni Novanta. «Lo Young Boys costituisce l’avversario più difficile, certo, ma la formazione di Croci-Torti non parte battuta. Per più ragioni. Noi, nel 1993, non potevamo permetterci di fallire. Con tutte le conseguenze del caso in termini di tensione e aspettative. Il 4 giugno, invece, i bianconeri potranno vivere l’ultimo atto con una certa serenità. Forti del successo nel 2022 e, a maggior ragione, se dovessero aver già blindato l’Europa in campionato. In una partita secca, inoltre, questo Lugano può sconfiggere i gialloneri. Serviranno una prova perfetta sul piano tattico, così come l’intelligenza e la migliore forma dei singoli».



Il «miracolo» di Firenze
Dopo le avvincenti esperienze in giallonero e a Lugano, nell’estate del 1993 e per 5 anni Zuffi sposò la causa del Basilea. E proprio in quegli anni disputò la Coppa Intertoto, antenata dell’attuale Conference League. «L’exploit dei renani a Firenze? A mio avviso si tratta di un miracolo. O meglio, un mezzo miracolo visto che nulla è ancora deciso» sottolinea l’assistente di Bruno Berner. «In passato, l’organico dei renani e la solidità del club spiegavano con maggiore credibilità i grandi risultati nelle competizioni europee. Più che al momento, insomma, caratterizzato da un pizzico di fortuna e dalle difficoltà in campionato. Poco male: il caso del Basilea suggerisce il potenziale internazionale delle squadre al vertice della Super League. Lugano compreso».
Un obiettivo da blindare subito
«Il percorso del Basilea nella competizione dev’essere stimolo e orgoglio. Per il sottoscritto, per il Lugano e più in generale per il calcio svizzero» conferma Croci-Torti. Arrivando terza o vincendo la Coppa, la formazione bianconera si garantirà proprio la fase a gironi della prossima edizione di Conference. «Ma ciò non significa essere già al livello del Basilea. No, traguardi del genere sono figli di un processo. Un processo lungo, che i renani hanno saputo alimentare nel tempo. Forgiando un DNA specifico per le sfide internazionali». Lo sguardo del Lugano, volenti o nolenti, è comunque rivolto verso l’alto. «Giungere alla vigilia dell’ultimo turno a Zurigo con la certezza del 2. o 3. posto non è solo un desiderio» spiega in merito il Crus: «Parliamo, né più, né meno, di un obiettivo. Quello posto dalla dirigenza a inizio anno». Per questo, nonostante le assenze di Doumbia, Valenzuela, Steffen (squalificati) e Hajdari (infortunato), il Lugano deve e vuole vincere domani. Anche il Winterthur ha però ricevuto un chiaro mandato all’alba della stagione. La permanenza nel massimo campionato passa anche da Cornaredo. Da motivazioni che saranno portate all’estremo.