«È stato lo stesso copione dei femminicidi»
Terzo giorno di processo davanti alla Corte delle Assise criminali per il dramma di Solduno, avvenuto il 21 ottobre di due anni fa. Alla sbarra il 22.enne sangallese che quella sera sparò alla ex compagna dopo che lei aveva deciso di troncare la relazione con lui e ne aveva intrapresa una nuova. Questa mattina è stato il turno degli accusatori privati, gli avvocati Manuela Fertile e Carlo Borradori, in aula come patrocinatori della vittima e del suo attuale fidanzato.
«Uccidere dentro e fuori»
«Non voleva che la sua ex potesse decidere per sé stessa, che prendesse una decisione autonoma, e che riprendesse in mano la sua vita. Lui voleva toglierle la libertà, sottometterla e, infine ammazzarla». Sono le parole scandite davanti alla Corte con calma e chiarezza dall'avvocato Manuela Fertile, patrocinatrice della giovane donna. «L'imputato è dotato di un'intelligenza criminale che gli ha permesso di essere lucido nel suo agire e di mettere in atto un comportamento misto di cinismo e crudeltà. Di certo non l’amava, voleva solo dominarla come se fosse sua proprietà esclusiva. Insomma, ha attuato lo stesso copione che vediamo nei femminicidi». E ancora: «Dapprima l’ha umiliata, isolata, poi l’ha controllata, manipolata, sottomessa, ha distrutto la sua autostima e la sua dignità: la sua ex è arrivata persino a pensare di meritare tutto questo, ma perché lui la faceva sentire in colpa come se fosse stata lei a sbagliare». L'avvocato Fertile ha descritto come la vittima si sentisse sola e in preda al terrore: «Sapeva che lui diventava violento, conosceva la sua rabbia e la sua brutalità. Da qui la difficoltà di lasciarlo. Era intrappolata in una dinamica perversa da cui non sapeva come uscire, si vergognava a dire quello che stava succedendo. Lui minacciava di uccidere lei e tutta la sua famiglia». Trascinando la donna in una spirale sempre più negativa: «Più lei cercava di allontanarsi dal suo controllo, più lui diventava violento. È la stessa dinamica che ha portato all’uccisione di Giulia Cecchettin. L'imputato è un manipolatore violento, di una violenza che prima ti uccide dentro e poi fuori». In conclusione, la legale ha chiesto il massimo della pena per l'imputato, «per la vittima, che chiede giustizia, ma anche per tutte le altre donne vittime di violenza».
Lo spiraglio di luce
«Voleva solo vendicarsi, è andato lì per quello. È stata una spedizione punitiva. Tutti gli oggetti che si è portato in quell'appartamento erano lì per fare male, se non per uccidere, il resto serviva per cancellare le tracce. Se non siamo qui a parlare di morte, lo dobbiamo anche alla reazione che ha saputo avere l'altra vittima, il compagno della donna, mantenendo la calma» ha ribadito con forza l'avvocato Carlo Borradori, suo rappresentante come accusatore privato. «L'imputato non accettava che la sua ex si fosse rifatta una vita con il mio assistito, anche quest'ultimo era un suo target: aveva portato apposta quattro paia di manette, due anche per lui». Una vicenda molto tragica, nella quale però l'avvocato Borradori ha rilevato una piccola nota positiva riferita alle due vittime dell'aggressione: «In questa storia gonfia di odio, di prevaricazione e di egoismo, siamo di fronte anche a uno spiraglio di luce. Questa luce ce la danno le vittime, due persone che sono riuscite a non farsi mangiare da un assurdo quanto comprensibile senso di colpa reciproco, che si sono sorretti l’uno all’altro, seguendo un percorso di psicoterapia. Noi oggi vediamo la luce di chi ha saputo reagire. I loro sentimenti reciproci hanno prevalso e ora, a due anni di distanza da quella tragedia, formano ancora una coppia».
I fatti
L'imputato quella tragica sera aveva fatto irruzione nell'appartamento della donna immobilizzando la coppia, minacciandoli con il fucile carico e con un coltello a uncino, esponendo la loro vita a pericolo, prima di inseguire la ex compagna (che era riuscita a liberarsi con uno stratagemma mentre andava a tranquillizzare il suo cane) giù per le scale per poi spararle all'addome con un fucile a pallettoni mentre stava uscendo dal palazzo. «Proiettili usati per la caccia, per uccidere i cinghiali», ha rilevato ieri in aula il procuratore pubblico Roberto Ruggeri. «L'imputato le ha sparato nel punto di rottura, quando ha capito che lei gli stava definitivamente sfuggendo. Ha sparato nell'ultimo momento utile che aveva per fermarla, quando lei era a un passo dalla libertà e dalla salvezza».