La ricerca

La Svizzera guarda a Locarno per capire il futuro dei boschi

Una ventina di esperti da tutta la Confederazione fanno il punto sulle piantagioni di prova: «Studiamo come la vegetazione reagisce ai cambiamenti climatici»
Kathrin Streit, che dirige il progetto del WSL (l'istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio); sullo sfondo, una delle superfici in esame a Locarno (Ronco sopra Ascona)
Jona Mantovan
19.06.2023 06:00

Sono arrivati a Locarno un po' da tutta la Svizzera. Dal canton Svitto al canton Friburgo, dal canton Grigioni ma anche da Berna. E, ovviamente, da Birmensdorf, canton Zurigo. Dove ha sede il quartier generale del WSL, acronimo dell'Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio. In tutto una ventina di persone. Tutte con scarponcini, pantaloni lunghi in tessuto tecnico, cappellini con i loghi degli enti per quali lavorano. Il motivo di questo martedì così speciale? Capire il futuro dei boschi e lo stress che devono affrontare con i cambiamenti climatici. Le foreste, infatti, mostrano segni di difficoltà. Cedimenti e morìe di alberi mettono in pericolo la biodiversità. «Ma non solo quella», sottolinea Damian Caminada, 46 anni e forestale dell'8° circondario, settore Pizzo Leone. «La natura non ha bisogno di noi. Non a caso, però, questi si chiamano boschi di protezione. Dobbiamo curarli e mantenerli. Altrimenti, tutto quanto sta a valle, intendo case, strade, persone... rischia di subire danni importanti». La memoria corre a inondazioni, frane e scoscendimenti. O anche alle recenti alluvioni in Emilia Romagna. Se non si tutela con attenzione il paesaggio, finisce male. Insieme a lui c'è anche Kathrin Streit del WSL, che ha in mano la direzione dell'intero progetto: «Abbiamo 57 aree sotto esame in tutta la Confederazione, tre di queste a Locarno», dice l'ingegnere forestale 45.enne. «Sono piantagioni sperimentali collocate in punti con caratteristiche differenti. Qui teniamo sotto osservazione lo sviluppo delle piante e cerchiamo di capire quali saranno le migliori per i prossimi decenni». Il panorama del verde su colline e montagne, insomma, rischia di cambiare parecchio.

Il panorama dell'area di prova a Ronco sopra Ascona è mozzafiato: si vede il delta del fiume Maggia, il lago e quasi tutta la piana di Locarno. L'aria è fresca e la giornata limpida. «Qui abbiamo dieci specie di alberi differenti», spiega la scienziata, che in passato si era formata al Politecnico di Zurigo. Il perimetro, grande suppergiù come un campo da calcio, è difeso da una recinzione con un cancello chiuso da un lucchetto. Una serie di pali alti quasi due metri sono ben distanziati uno dall'altro. Ai piedi di ciascuno, un'etichetta con un codice e una serie di indicazioni. Le prime piantine si stanno già sviluppando. Di altre, però, nemmeno l'ombra.

Abbiamo 57 aree sotto esame in tutta la Confederazione, tre di queste a Locarno. Sono piantagioni sperimentali collocate in punti con caratteristiche differenti
Kathrin Streit, 45 anni, direzione del progetto Bosco del futuro, WSL

La minaccia dei mutamenti climatici

«Queste varietà sono, per gran parte, già presenti nei boschi che stiamo gestendo oggi», sottolinea Caminada. «Siamo nella faggeta alta, esposta a sud». Il gruppo, tuttavia, si era trovato prima in un altro sito, a Losone. «Quella era una situazione molto differente da questa a Ronco. Eravamo quasi in pianura e avevamo un'esposizione nord. È stato importante per i ricercatori del WSL scegliere un ventaglio di condizioni variate, affinché si possa davvero capire come si comporta la vegetazione». Streit, che sta osservando le condizioni di alcune specie, dice che una delle aree è nel punto più a sud della Svizzera, proprio sulla zona di frontiera.

Ma come sarà il bosco di domani? Cambierà tanto rispetto a quello che conosciamo oggi? Risponde Adrian Oncelli, anche lui forestale, capufficio selvicoltura e organismi pericolosi canton Ticino. «Il cambiamento più classico è quello di una specie che si sposta verso l'alto, perché nelle quote più inferiori aumenta la temperatura. Penso per esempio al faggio, o all'abete rosso, che sono due specie iconiche per la Svizzera. Ecco, vediamo che nelle fasce più basse hanno, man mano, sempre più problemi e in futuro avranno un ruolo solo nelle fasce più alte».

Il trentenne, però, fa astrazione e mette in campo una serie di ipotesi. «Non dobbiamo sottovalutare il potenziale delle specie che popolano le foreste in Svizzera, perché hanno un bagaglio genetico che permette loro di superare anche una serie cambiamenti. In ogni caso, questo adattamento non si svolge da un anno all'altro. I mutamenti climatici avvengono in maniera quasi troppo rapida per la capacità del bosco di adattarsi».

I mutamenti climatici avvengono in maniera quasi troppo rapida per la capacità del bosco di adattarsi
Adrian Oncelli, 30 anni, forestale e capufficio selvicoltura e organismi pericolosi canton Ticino

Un'altissima mortalità

L'imponente ricerca, avviata nel 2016, servirà ad avere dati certi per capire gli scenari dei prossimi decenni. «Per ora non abbiamo conoscenze empiriche—ammette sempre la capoprogetto—, abbiamo alcune conoscenze teoriche e abbiamo delle idee su come e quali alberi potrebbero trovare il loro habitat nei nuovi scenari generati dal cambiamento climatico. Ma non sappiamo se è veramente così. Queste piantagioni sperimentali ci permettono di scoprire gli habitat dove nel futuro gli alberi potrebbero trovarsi bene. Ci sembra molto importante, perché rileviamo che nell'habitat naturale attuale c'è un'altissima mortalità. Ci saranno spostamenti e rivoluzioni. Vogliamo capire quali potrebbero essere».

Oppure, sempre secondo Oncelli, «si tratterà di pazientare alcuni decenni per poi capire che quelle piante che oggi muoiono avevano solo bisogno di qualche tempo per adattarsi». Per Caminada, uno degli scenari potrebbe essere quello dell'estensione della superficie a beneficio di precise specie. «Piante che fino a poco tempo fa andavano bene in alcune zone ristrette,  potrebbero avere un potenziale anche per molte altre superfici».

La natura non ha bisogno di noi. Non a caso, però, questi si chiamano 'boschi di protezione'. Dobbiamo curarli e mantenerli. Altrimenti, tutto quanto sta a valle, intendo case, strade, persone... rischia di subire danni importanti
Damian Caminada, 46 anni e forestale dell'8° circondario, settore Pizzo Leone

Ancora parecchi decenni

L'incontro di oggi è utile anche a scambiare esperienze e strategie per gli anni a venire. «Ci serve una risposta fondata alla domanda: quali specie di alberi hanno futuro in Svizzera? Questa ci permetterà di formulare alcune idee utili ai forestali per gestire il bosco di domani», precisa Streit.

Uno studio che andrà avanti ancora parecchi anni, comunque. «Già, le superfici di studio le abbiamo contrattate, a seconda dei casi, tra i 30 e i 50 anni. Potremo così, per tutto questo lasso di tempo, condurre in maniera continuativa tutte le osservazioni. Il progetto è ancora giovane, non si può dire scientificamente quali piante sopravviveranno in futuro e dove. Non abbiamo in mano abbastanza dati».

Le fa eco Oncelli: «Il bosco si sviluppa su cicli che attraversano anche più secoli, mentre noi cerchiamo spesso di risolvere le nostre questioni nell'arco di pochi anni o pochi decenni», conclude il giovane. Come dire, occorre pazientare. E tanto. Le visite sui siti delle piantagioni sperimentali si avviano alla conclusione e la comitiva si sta già organizzando sui vari furgoni bianchi con il logo del canton Ticino. Prima di ripartire ognuno verso la sua destinazione, però, c'è ancora un momento conviviale. Un pranzo 'tipicamente ticinese' più a valle.

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