Chiesa

L'omelia di Valerio Lazzeri: «Dio non pretende da noi successi da esibire»

La Santa Messa e il saluto al vescovo presso la Cattedrale di San Lorenzo a Lugano: per dare spazio a tutti, anche un maxi schermo nel giardino del Palazzo vescovile
©PABLO GIANINAZZI
Red. Online
23.10.2022 16:30

«Avremo modo di omaggiare nel prossimo periodo il vescovo Valerio Lazzeri con una messa pubblica. Ci sarà un momento di saluto ufficiale da parte della Diocesi». Così si era espresso l'addetto stampa della Curia, Luca Montagner, lo scorso 10 ottobre in occasione della conferenza stampa in cui Monsignor Valerio Lazzeri ha ufficializzato le sue dimissioni. «Ve lo dico a cuore aperto - aveva dichiarato commosso -: non riesco più a immaginarmi nella posizione che finora ho cercato sinceramente e con tutto il cuore di fare mia». La data per i saluti ufficiali è quella odierna. Sotto un cielo grigio e a tratti piovoso, il vescovo Lazzeri si congeda dai suoi fedeli.

La Santa Messa di saluto e ringraziamento per il Ministero episcopale del Vescovo è stata organizzata per le 16.00 presso la Cattedrale di San Lorenzo, a Lugano. Per garantire la partecipazione di molti fedeli e presbiteri, è stato pure allestito nel giardino del Palazzo vescovile uno spazio con uno schermo e dei posti a sedere. Nella cattedrale anche il Vescovo Alain De Raemy, designato da Papa Francesco come amministratore apostolico con sede vacante. Già mezzora prima dell'inizio della Santa Messa la cattedrale era gremita, con tutti i 350 posti a sedere occupati. 

L'omelia di Monsignor Valerio Lazzeri

Carissimi amici, Carissime amiche,

Non è forse privo di significato che, al termine del mio servizio come Vescovo di Lugano, Gesù ci parli nel vangelo di una circostanza che si verifica nel tempio. Proprio qui, infatti, nello spazio pubblico della celebrazione dell’alleanza, appare in maniera visibile la comunione che raccoglie i figli di Dio dispersi. È nell’edificio dedicato alla preghiera, all’incontro tra il Dio vivente e il suo popolo, che, attorno al Vescovo, la Chiesa si rivela nel tempo come organismo ordinato, articolato in vari ministeri, vocazioni e carismi. In particolare, per quel che mi riguarda, è soprattutto in questa Cattedrale di San Lorenzo che mi è stato dato per nove anni di esercitare il servizio episcopale. Mi sono impegnato a compierlo ogni giorno senza spadroneggiare su di voi. Ho sempre coltivato il proposito di operare da fratello, a cui è stato chiesto, per ragioni note fino in fondo solo a Dio, di farvi da pastore e padre. Penso con riconoscenza e commozione alle celebrazioni solenni della Messa Crismale, del Triduo Pasquale, delle grandi feste dell’anno liturgico, delle Ordinazioni presbiterali e diaconali e di tante altre occasioni, in cui ci siamo radunati in questo luogo, ricco di memorie e impregnato di storia; una storia che continua e non si interrompe con l’avvicendarsi dei volti e dei nomi. Oggi, però, ci viene pure ricordato dal Signore che al tempio, anche quando ci si reca per prendere parte a un’azione liturgica collettiva, si va con la propria singolare umanità, con la propria vita personale, con l’atteggiamento esistenziale di fondo che, di volta in volta, la caratterizza. Dio, infatti, non si accontenta mai di aggregare dall’esterno un corpo sociale fra gli altri. Non raccoglie un’associazione che milita per una causa mondana. Attira silenziosamente da dentro, a una a una, le sue creature e cerca di persuaderle a partire dal loro intimo. Non seduce in blocco come chi vuole manipolare, ma affascina il cuore umile, che si lascia disarmare. Il Signore fa vivere e gustare la sostanza dell’unità ecclesiale solo a chi rinuncia a puntellare la propria fragilità con la lista delle proprie riuscite. Nutre nel segreto chi non ha bisogno di farsi forte, convincendosi di essere migliore degli altri. Per questo esiste la Chiesa! Non per promuovere individui, impegnati a costruirsi una buona coscienza a scapito degli altri, ma per favorire in ciascuno la libertà interiore, l’esperienza rigenerante della misericordia, la vita nuova nello Spirito, la capacità di amare.

Dice il fariseo: «Non sono come gli altri uomini». Vi confesso che per me queste parole costituiscono l’espressione più terribile che possa scaturire da un cuore umano. Non riconoscersi nell’umanità altrui; rifiutarsi di vedere sé come un altro; non entrare in relazione da pari a pari con chi condivide la nostra stessa condizione umana. Ecco l’affronto più grande che possiamo fare al Creatore, il gesto con cui maggiormente ci opponiamo allo Spirito di Cristo. Separandoci dagli altri, ci rendiamo sordi alla sua voce, che continuamente attesta in noi il nostro essere figli e quindi fratelli gli uni degli altri. Quando perdiamo la capacità di onorare la nostra stessa umanità in quella dell’altro che ci sta davanti, nessuna pratica di pietà, nessuna osservanza, nessun attivismo missionario o pastorale potranno mai compensare lo sfregio che viene così operato alla Verità e all’Amore. È la scoperta che il fariseo Paolo ha fatto sulla sua pelle, diventando apostolo e testimone privilegiato della possibilità di guarire in noi questa profonda ferita. Lo abbiamo sentito nella seconda lettura. Le sue parole esprimono la consapevolezza a cui ciascuno di noi dovrebbe arrivare al termine della sua vita: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tm 4,7). Non è stata tutta rose e fiori la sua esistenza: «Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito». Addirittura, arriva a dire: «tutti mi hanno abbandonato». Il suo cuore però è sereno. Non c’è spazio, infatti, in lui per il lamento o per il risentimento: «Nei loro confronti, non se ne tenga conto» (2Tm 4,16). Carissimi, è proprio questa la musica, a cui fa riferimento il motto da me scelto, quando sono diventato vostro Vescovo. Non mi sono mai illuso che tutto potesse sempre svolgersi tra noi in maniera idilliaca. Non ho mai ingenuamente pensato che bastasse lasciare suonare ciascuno a modo suo, perché ci fosse unità e condivisione perfetta d’intenti. Ho solo osato credere, e non cesserò mai di farlo, all’unica vera autorità, all’unica exousia, che Cristo ha affidato agli apostoli e, attraverso di loro, alla Chiesa intera: l’inesauribile forza di persuasione dello Spirito Santo, effuso nei nostri cuori, l’efficace tenerezza di Cristo, a noi accessibile nei suoi sacramenti, il desiderio ostinato del Padre di guarirci nel Figlio, di sottrarci a tutto ciò che ci separa da una vita liberata per sempre dalla morte. Che bisogno abbiamo, allora, di fare ancora strepito con noi stessi per darci la convinzione di esistere, di essere migliori degli altri? Che necessità possiamo ancora coltivare di fare l’elenco delle cose che siamo riusciti a fare, mascherando le nostre debolezze, di ostentare i nostri successi, occultando i nostri errori? Possiamo lasciarci raggiungere, anche fermandoci a distanza e senza osare alzare i nostri occhi, dall’infinita benevolenza del Signore, di Colui che, nella sua perfetta innocenza, ha voluto assumere la nostra condizione di peccatori.

Permettetemi di andare un po’ oltre. Quale radice ultima possono mai avere i cosiddetti problemi della nostra Diocesi, le difficoltà della Chiesa o della società complessa in cui viviamo, se non il rumore del nostro ego, il frastuono interiore che ci distoglie dall’ascolto dell’essenziale? Apriamo perciò gli occhi! Apriamo il cuore! Non ci manca nulla per far salire all’Altissimo, qui e ora, la preghiera del povero, la preghiera unanime ed efficace, la preghiera capace di attraversare le nubi e sciogliere le montagne artificiali, con cui, a nostro stesso danno, ci teniamo separati gli uni dagli altri! È con questa convinzione, fratelli e sorelle carissimi, che desidero salutarvi. Voglio dirvi ancora una volta tutto il mio affetto, tutta la mia riconoscenza al Signore, per il tratto di cammino che ci ha concesso di percorrere insieme, con i Vescovi emeriti Ernesto e Pier Giacomo, con i Presbiteri, i Diaconi, i Consacrati e le Consacrate, tutte e tutti voi fedeli di questa Diocesi, autorità, uomini e donne che, anche solo per un momento, ho avuto l’occasione di salutare, di conoscere e di apprezzare. In ciascuno, posso dire, ho sentito l’eco della musica silenziosa che guarisce e «giustifica», ossia, rende giusto il cuore, chiamandolo alla vita piena, oltre ogni chiusura su di sé e ogni meschinità. Grazie, dal profondo, per la vostra preghiera e per la vostra fraternità, per la vostra pazienza verso i miei molti limiti e le mancanze che non ho saputo evitare. Grazie per la vostra compagnia, espressa in molti modi anche in questi giorni non facili, sia per me che per voi! Non pretendo, certo, che tutti capiscano la mia scelta. Comprendo senza difficoltà chi trova da ridire sulle decisioni che, come Vescovo, in scienza e coscienza, sono stato di volta in volta chiamato a prendere in questi anni, segnati per tutti da grande travaglio. So semplicemente che a rendere sicuro il mio e il vostro cuore davanti al Signore non sarà mai una lista di prestazioni riuscite e di risultati raggiunti. Dio non pretende da noi successi da esibire come trofei. Aspetta con fiducia, incrollabile e disarmante, che le nostre vite siano versate in offerta, liberate dalla tristezza, raggiunte nel loro bisogno ultimo di amare e di essere amate. Ci doni il Signore di stare sempre e solo a questo. Non agitiamoci inutilmente per farci sentire e riconoscere più bravi degli altri. Attendiamo «con amore la sua manifestazione». Lasciamo da parte ogni «intima presunzione di essere giusti». Gareggiamo per portarci insieme, gli uni con gli altri, davanti al «Giudice giusto», sempre pronto a perdonare. S’incida in noi, nel profondo, la speranza di ricevere unicamente da lui quella «corona di giustizia», che qui sulla terra è vano tentare di mettere sulla propria testa. L’umiltà di Maria Santissima, che in questa Cattedrale veneriamo come Vergine delle grazie, la carità pastorale di San Carlo, di Sant’Ambrogio e di Sant’Abbondio, la forza invitta di San Lorenzo, di tutti i martiri e di tutti i santi, continuino a essere i punti di riferimento essenziali della Chiesa che è a Lugano. Siatene certi: non s’interrompe il mio desiderio di servirla né di volere bene a ciascuno di voi. Continuiamo a pregare insieme il Signore per arrivare in ogni momento a discernere con lucidità il nostro cammino, nella libertà e per amore. «A Lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (2Tm 4,18).

Il messaggio di Monsignor Alain de Raemy

Caro Vescovo Valerio, Carissimo fratello e amico,

Scusami se parlo di me per parlare di te, ma la colpa è di quelli che scrivono a me e parlano di te. Infatti, ricevo in questi giorni, a essere ottimista, più di un messaggio al giorno! Non ne ricevo tanti come te, ma neanche pochi, ti assicuro. Ma tutti questi messaggi hanno una cosa in comune: quasi ogni persona che mi scrive…pensa di essere stata privilegiata dai modi con qui tu l’hai trattata. Tanti mi fanno l’elogio della tua concretissima cristiana umanità nei loro confronti. Scrive ad esempio una coppia: Noi, in special modo, gli dobbiamo un grazie immenso perché in questi anni ci è stato molto vicino. A lui abbiamo confidato il tragico evento che a ha travolto la nostra famiglia… Abbiamo ricevuto in cambio tanto affetto e vicinanza. Sarà sempre nel nostro cuore e nei nostri pensieri e con la preghiera lo accompagneremo in questo suo nuovo viaggio. «Noi, in special modo». Tanti, infatti, con queste o altre parole, la pensano così: a me, a noi, Valerio è stato in special modo così vicino! Eppure, questo tuo modo speciale che è di per sé riservato, particolare e confidenziale, in verità, all’insaputa di tutti, è proprio universale: è per tutti, ma sempre a uno a uno. Con te, caro Valerio, l’eccezione, l’eccezionale, diventa proprio la regola! Qualcuno ha detto che la tua comunicazione non sarebbe stata buona, che non sapevi comunicare bene. Sai cosa rispondo? Che tu hai proprio saputo comunicare ma senza comunicarlo, senza quel fariseo bisogno di apparire.

Perché il tuo modo speciale di essere con chi ne ha bisogno non è per niente fariseo, ma neanche paolino: il tuo modo rimane nascosto, con grande senso d’insufficienza, d’inadeguatezza. Un modo che non porta mai con sé il bisogno di mettersi in luce, ma bensì di provare tremando o di tremare provando ad essere luce in Cristo. Sì, caro vescovo Valerio, tu sei quello che sempre è in uno stato di «special modo». Per noi, dunque, rimarrai «very special», con il tuo modo speciale di essere con noi. La coppia che ho appena citato aggiungeva: «con la preghiera lo accompagneremo in questo suo nuovo viaggio». Sì, caro vescovo Valerio, ti vogliamo accompagnare, in questo tuo nuovo viaggio. Ci sarà la tappa in Terra Santa, come hai appena appreso…ma sarà per ritornare ancora di più nei modi di Cristo in mezzo a noi! Non so se sarò ancora qui per accoglierti, ma ci sarò sempre per dirti grazie di essere «in special modo» con tutti noi. E scusami se finisco così parlando ancora di me, era solo per parlare di te… ma è proprio impossibile: con te non c’è modo di parlare solo di te! Deo gratias!

Il messaggio di Don Nicola Zanini

Carissime e carissimi tutti, Caro Vescovo Valerio,

Non è facile per me prendere la parola in questo momento, perché nel mio cuore albergano tanti sentimenti. In una orazione «dopo la Comunione» del Messale Romano, la Chiesa ci fa pregare così: «non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l’azione del tuo Santo Spirito». È quanto chiedo al Signore in questo momento. A nome di tutte e di tutti, è mio dovere ringraziare il Signore per questi nove anni trascorsi sotto la Sua guida, caro Vescovo Valerio. Un cammino in cui la nostra Chiesa ha vissuto soprattutto con il primato della Parola di Dio, che è come voce di un silenzio leggero (cfr. 1Re 19,12). Lei, con intelligenza e pazienza, con umiltà e umanità, con profondità e con lealtà, ci ha affidati alla Parola della Grazia, come fece l’apostolo Paolo con gli anziani di Mileto (cfr. Atti 20,32). Rileggo in quel discorso tutto il suo ministero: «Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo tempo» (Atti 20,18), dice Paolo. Ma vi trovo anche le nostre emozioni di questo momento: «Tutti scoppiarono in pianto» (Atti 20,37). Non voglio fare bilanci; ognuno di noi li farà nel silenzio del proprio cuore, soprattutto nei momenti in cui sentiremo, di certo, la Sua mancanza. Lei ci ha insegnato, con la vita e con le parole, che per la fede nel Mistero pasquale, che è esodo di morte e di vita, i cristiani non subiscono gli eventi, ma li riconoscono e, sotto l’azione dello Spirito, li attraversano, nella certezza che per mezzo di essi Dio conduce tutto a un fine di gloria. Sì, Dio è fedele e, perciò, rinnoviamo anche oggi la nostra adesione a Lui, sapendo – con san Paolo – che «tutto concorre al bene per coloro che egli ama» (Romani 8,28). E tutto significa «tutto»: gioia e dolore, luce e ombra; ogni cosa che la persona vive, ora, è bene, cosicché possiamo riconoscere, con san Bernardo, che «i chiodi mi son diventati chiavi per scoprire il disegno di Dio» (cfr. Discorso sul Cantico dei Cantici 61,3-5). Scoperta possibile quando ci si affida al Vangelo e a Gesù Cristo, nel Mistero tanto sbalorditivo – come ci ha sempre insegnato - dell’Incarnazione: Mistero di incontro personale, che Lei ha reso sempre vivo attraverso incontri personali, tanto umani e altrettanto spirituali. Per questo mi sento di smentire chi parla di Lei come di un Vescovo spesso ritirato o poco attento alle relazioni. Lo ha fatto, lo posso testimoniare, nello spirito del Vangelo: quando fai l’elemosina, non suonare la tromba; quando preghi ritirati nella tua stanza; quando digiuni, profumati il capo (cfr. Matteo 6,16-18).

Infatti «Dio desidera solo la nostra dedizione; il successo esteriore è cosa sua». Così intuiva Madre Bernarda, fondatrice delle suore della Santa Croce di Menzingen. Lei, senza nessuna retorica, ci ha detto con sincera umiltà le Sue fatiche; ci ha ringraziati e ci ha chiesto perdono. Anch’io, a nome di tutte e di tutti Le dico grazie per la Sua dedizione e per il suo stile delicato, mai impositivo; Le chiedo pure, a nome di tutte e di tutti, perdono per le nostre omissioni. Ci ha chiesto di pregare per Lei: lo faremo certamente; come siamo certi che Lei continuerà a farlo per questa nostra Chiesa, alla quale ha insegnato, anche con il gesto della rinuncia, di volere bene. Come segno di riconoscenza accolga due semplici regali: un’icona di san Bruno, il monaco a Lei tanto caro, e il dono di un soggiorno di preghiera e di studio, secondo i tempi e le modalità a Lei più consoni, là dove ognuno è nato (cfr. Salmo 87,6): Gerusalemme! Grazie Vescovo Valerio!

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