«È come se nelle motivazioni di don Lazzeri mancasse qualcosa»
«Soprattutto negli ultimi due anni è andata crescendo dentro di me una fatica interiore che mi ha progressivamente tolto lo slancio e la serenità richiesti per guidare in maniera adeguata la Chiesa che è a Lugano. Ve lo dico a cuore aperto: non riesco più a immaginarmi nella posizione che finora ho cercato sinceramente e con tutto il cuore di fare mia. A tutti chiedo da subito perdono». Così il vescovo Valerio Lazzeri, lunedì, ha informato la stampa e la popolazione ticinese delle sue dimissioni. Mons. Alain De Raemy è stato nominato dalla Santa Sede amministratore apostolico con sede vacante fino alla presa di possesso canonica del vescovo da eleggere. La rinuncia di don Lazzeri era nell’aria o è stato un fulmine a ciel sereno? Ne abbiamo parlato con Markus Krienke, professore di Filosofia moderna e di etica sociale alla Facoltà di Teologia di Lugano e direttore della Cattedra Antonio Rosmini.
Professore, lei se lo
aspettava?
«Che la gestione della Diocesi da parte di Lazzeri, specialmente negli ultimi anni, non fosse tra le più felici e che vi fossero dei limiti non è un segreto, ma attendersi le dimissioni è un’altra cosa. Io credo che – come me – molti siano rimasti sorpresi dalla sua decisione».
Il vescovo si è mostrato in
sincera difficoltà e parecchio sofferente. E ha parlato di una decisione presa
nel mese di giugno.
«Sì, perché l’iter richiede che la domanda venga presentata in Vaticano e ci
vuole un po’ di tempo affinché poi le dimissioni vengano accettate dal Papa. Don
Lazzeri ha parlato di “due anni di sofferenza, di distanziamento interiore, di
enorme fatica” ad affrontare le sfide di questo ufficio. La decisione, nel suo
profondo, è maturata in ventiquattro mesi».
Si può dire che il ruolo del
vescovo non è solo religioso ma vi sono delle incombenze anche “politiche”?
«Quello senz’altro, e l’ho sottolineato anche in altre occasioni. Poi, sulle ragioni della coscienza, alle quali don Lazzeri si è appellato, è sempre
molto difficile giudicare. Ma se consideriamo le altre cose che ha detto in
conferenza stampa, qualche punto interrogativo si pone. Ad esempio, il vescovo
ha parlato della difficoltà della gestione istituzionale, finanziaria e amministrativa.
Ma ha anche aggiunto di essere sato affiancato da “validi e competenti
collaboratori”. È il ruolo che ormai gli pesava, oppure ha scelto male i suoi
collaboratori? Da un lato, poi, ha detto che gli mancava l’aspetto umano, però
ha parlato di nove anni “segnati da tanti incontri felici, tante testimonianze
di fede molto credibili, vicinanza delle persone”. Alla fine, non ci è stata
data una chiave molto chiara sul motivo del ritiro. Oltre, ovviamente, alla questione
di coscienza che solo il Signore può giudicare».
La coscienza, concretamente
la difficoltà personale, non è quindi un motivo sufficiente?
«È stato lui ad accennare ad altro. Allora, in questo caso, penso che sia sua
responsabilità provare a chiarire in maniera concreta ciò a cui fa riferimento.
Faccio un esempio. Nel mese di giugno
dello scorso anno, Reinhard Marx, cardinale arcivescovo di Monaco e Frisinga, ha presentato le dimissioni
a Papa Francesco per il suo ruolo nei casi di abusi sessuali nella Chiesa cattolica in
Germania, che ha definito una “catastrofe”. Ha detto di essersi “sentito
colpevole e responsabile per aver taciuto, per non aver agito in fretta e per
essersi preoccupato in maniera eccessiva di tutelare la reputazione della
Chiesa”. Si è assunto delle responsabilità. Poi Papa Francesco ha respinto le
sue dimissioni. Ma Marx ha dato una motivazione concreta, si è assunto la
responsabilità di questi scandali. Papa Benedetto aveva usato come motivazione
la sua età. Nel discorso di mons. Valerio, invece, non ho trovato una
motivazione di questo genere, per lo meno lunedì, perché magari si esprimerà
ancora successivamente».
Una sorta di responsabilità
nei confronti degli altri, quindi…
«Personalmente mi domando se un prete che magari in questo momento fa un
po’ fatica nel suo ministero, si senta a questo punto orfano di un sostengo. Se
si senta anche lui più esposto, forse spaesato senza quello “slancio” che è
venuto meno a don Valerio. Sono tutte dimensioni di responsabilità connesse a
una scelta assolutamente da rispettare».
Le disposizioni sulla
rinuncia dei Vescovi diocesani, però, prevedono che «degno di apprezzamento
ecclesiale è il gesto di chi, spinto dall'amore e dal desiderio di un miglior
servizio alla comunità, ritiene necessario per infermità o altro grave motivo
rinunciare all'ufficio di Pastore prima di raggiungere l'età di settantacinque
anni»…
«Assolutamente. La motivazione personale non si discute. Lui allude però
indirettamente a “cose diventate sempre più difficili” negli ultimi due anni. Ma
non dice, ad esempio, “io mi assumo la responsabilità per gli scandali intorno
ai preti nella Diocesi”, oppure “io mi assumo la responsabilità per la causa
Chiappini”, oppure “io mi assumo la responsabilità per la situazione finanziaria
della Diocesi”, oppure ancora “io mi assumo la responsabilità per la chiusura
del Giornale del Popolo”. Tutti argomenti che l’opinione pubblica conosce e che sono di una certa importanza. È come se mancasse qualcosa nella comunicazione di una
scelta così importante. E allora sorge la domanda: prima di lasciare sarebbero stati auspicabili un cambiamento nella gestione, un approccio diverso, altri
collaboratori? Dire “non mi sento adeguato” è una cosa, dire “ho sbagliato in
questo e quello e mi assumo la responsabilità e per questo inoltro le
dimissioni” è tutta un’altra cosa».
È giusto dire che la carica di
Alain De Raemy quale amministratore apostolico di Lugano potrebbe durare un mese, un
anno o più di un anno?
«È giusto, anche perché il Vaticano gli ha conferito moltissime competenze. E
il suo primo discorso aveva il carattere di essere qualcosa di più delle parole
di un amministratore. Ha parlato di voler conoscere le persone, andare fino alla
valle più lontana, incontrare tutti. Ha detto di avere già dormito in Curia la
notte prima della conferenza stampa. Ha promesso anche di imparare il dialetto
ticinese. Si è presentato come qualcuno che non si vede come una figura di
amministrazione tecnica, ma che vuole stabilire un legame concreto con la popolazione.
Legami che non si creano in pochi giorni o poche settimane. Le sue parole fanno
pensare a una missione destinata a durare».
Ma è impossibile che diventi
il futuro vescovo, che dovrà
avere un legame di cittadinanza con il territorio ticinese come prevedono
le leggi canoniche.
«In questo momento la regola è questa. La domanda è: cosa accadrebbe se lui
dovesse davvero restare per molto tempo e dimostrasse di possedere le
competenze necessarie? Sappiamo quanto Papa
Francesco sia propenso a rompere certe regole che ci sono soltanto perché esistono
da sempre. Di fronte a questa situazione non credo sia escluso nulla, anche la
possibilità di rompere con questa regola. Una cosa che, magari, tra i fedeli qualcuno auspica. Perché tra i papabili “candidati” ticinesi alla successione ci sono in buona parte gli stessi nomi di cui si parlava nove anni fa per il post don Grampa.
Questo dimostra quanto si faccia fatica in Ticino a pensare a persone veramente
nuove e distaccate da certe dinamiche che si sono create nel tempo. Ovviamente nessuno
prevede il futuro e credo che anche in Vaticano in questo preciso momento ci siano
più ipotesi che certezze. Per ora si ragiona solo per ipotesi».
Papa Francesco ha incontrato
personalmente il vescovo Lazzeri per ascoltare le sue motivazioni?
«Il Papa, per ovvi motivi, quotidianamente si affida alle sue congregazioni. Ma
interviene anche personalmente. Se abbia o meno accolto don Valerio non lo so,
ma me lo auguro. Lugano ha una certa vicinanza con il Vaticano. A Roma si è
coscienti delle attuali problematiche e delle questioni difficili da risolvere.
E credo che in questi casi il Santo Padre metta la propria mano».
Insomma, ai ticinesi non
resta che aspettare.
«Il fatto che se ne parli e che ci sia interesse significa che la Chiesa non è
qualcosa che non interessa più alla società. La gente ha ascoltato le parole di
don Valerio e ha provato del dispiacere. Si domanda cosa sta succedendo. Per me
si tratta di una dinamica sana. Le persone riconoscono il vescovo come figura
rilevante nella società».