Il caso

«Ai russi servono pezzi di ricambio per gli aerei? Ci pensa l'America»

Sta facendo discutere, in questi giorni, quanto rivelato dal portale d'inchiesta The Insider: una società di Miami ha dribblato le sanzioni inviando componenti in Russia per migliaia, anzi milioni di dollari
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Marcello Pelizzari
29.08.2024 19:45

Che l'aviazione russa sia problematica, dall'inizio dell'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca, è risaputo. Le conseguenti sanzioni internazionali, infatti, hanno colpito anche questo settore. In pieno, verrebbe da dire. In particolare, da oramai oltre due anni le compagnie aeree della Federazione non possono ottenere nuovi velivoli, parti di ricambio e, ancora, aggiornamenti di software di fabbricazione occidentale. Di qui l'etichetta, scomoda, affibbiata dall'ICAO, l'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile, secondo cui la Russia è uno dei Paesi più pericolosi per volare insieme a Bhutan, Ecuador, Repubblica Democratica del Congo, Liberia e Zimbabwe. Bandiera rossa, se non rossissima.

Bandiera rossa perché, appunto, i vettori russi stanno facendo (sempre più) di necessità virtù. Arrivando, addirittura, a «copiare» i pezzi di ricambio di Airbus e Boeing. Per tacere della strategia legata alle cosiddette importazioni parallele. Sfruttando Paesi terzi o, diciamo, aziende amiche. In questi giorni, come riferisce The Insider, si sta parlando – e pure parecchio – di una società statunitense, Miami Technics, rea di aver inviato in Russia parti di ricambio per i De Havilland Canada Dash 8-400 della compagnia aerea Aurora, basata nell'Estremo Oriente russo. Pezzi che, tuttavia, sarebbero (anzi, sono) soggetti a un embargo da parte degli Stati Uniti. Detto in altri termini: non potevano essere esportati in Russia. E invece... 

The Insider, nel riferire della vicenda, ha citato i registri doganali russi. Spiegando che le due spedizioni effettuate recentemente avevano come luogo di partenza Miami, in Florida, ma indicavano l'Armenia quale «Paese di scambio». Uno stratagemma, mettiamola così, che – allargando il campo – ha consentito finora all'azienda guidata da Albert Poghosyan di far confluire in Russia, nel solo 2024, parti di aeromobili per un valore di 400 mila dollari, inclusi 292 mila di attrezzature, citiamo, soggette a controlli sulle esportazioni. Nel 2023, leggiamo, Miami Technics aveva esportato in Russia parti per un valore di 3,2 milioni di dollari, di cui 1,5 milioni sotto embargo. Il citato Poghosian, 38 anni, di origini armene, ha risposto a una chiamata del portale di inchiesta ma, una volta scoperto che dall'altra parte del telefono c'era un giornalista, ha riagganciato. Nel frattempo, il sito web dell'azienda non è più accessibile online mentre l'azienda risulta liquidata. Probabilmente, si è sentito braccato. 

Le sanzioni internazionali, dicevamo, hanno posto la Russia e l'aviazione civile di fronte a una sfida senza precedenti. Quella di mantenere, in aria, una flotta commerciale dalle dimensioni notevoli. Ma gli sforzi per nazionalizzare il settore, finora, hanno prodotto poco: di certo, quanto fatto finora non è bastato per tenere il passo rispetto alla domanda di componenti sostitutive e nuovi aerei. Le citate sanzioni, ma anche le interruzioni lungo la catena di fornitura e le richieste, crescenti, dell'esercito, detto in altri termini, hanno messo a dura prova, se non in ginocchio, l'aviazione russa. Tant'è che, nel 2023, secondo gli analisti di GlobalData nel Paese il numero di incidenti aerei ha raggiunto livelli record: parliamo di almeno 180 episodi, oltre il doppio di quelli registrati nel 2022.