Media

Washington Post di nuovo nella bufera, si dimette la vignettista Ann Telnaes

La storica illustratrice, fumettista del giornale dal 2008 e vincitrice del premio Pulitzer, aveva realizzato una vignetta che critica, tra gli altri, il proprietario Jeff Bezos per avere tentato di «conquistare i favori» di Donald Trump
© Ann Telnaes
Red. Online
05.01.2025 16:46

Il Washington Post è (di nuovo) al centro della polemica. Ann Telnaes, storica vignettista della testata e vincitrice del premio Pulitzer, si è dimessa dopo il rifiuto da parte della direzione di pubblicare una vignetta satirica che criticava, tra gli altri, il proprietario del giornale Jeff Bezos per avere tentato di «conquistare i favori» di Donald Trump.

Bezos è raffigurato insieme ad altri magnati inginocchiati mentre porgono sacchi di denaro a una statua del presidente eletto. «Finora non ho mai visto un disegno rifiutato» a causa dell'argomento che avevo scelto, ha scritto Telnaes, fumettista del Washington Post dal 2008. «La vignetta censurata critica i padroni della tecnologia e dei media e i miliardari che fanno tutto il possibile per ingraziarsi il presidente eletto».

Il fondatore del colosso del commercio online Amazon è in buona compagnia: con lui ci sono il fondatore di Meta, Mark Zuckerberg, Sam Altman di OpenAI e il proprietario del Los Angeles Times, Patrick Soon-Shiong. Ma c'è anche Topolino: un riferimento al fatto che ABC News, di proprietà della Disney, lo scorso mese ha accettato di pagare 15 milioni di dollari per risolvere una causa per diffamazione intentata da Trump.

«In tutto questo tempo non ho mai visto una vignetta uccisa a causa di chi o cosa ho scelto di colpire con la penna. Fino ad ora», ha precisato Telnaes su Substack, spiegando la satira contro «questi uomini con lucrosi contratti governativi e un interesse nell'eliminare le normative».

La spiegazione del giornale

Il rifiuto del Washington Post di pubblicare la vignetta, ha detto l'illustratrice, è un «punto di svolta pericoloso per una stampa libera». David Shipley, il direttore della pagina editoriale del giornale, ha spiegato di avere deciso di non pubblicare la vignetta per evitare ripetizioni, non perché colpiva il proprietario del giornale. «Rispetto Ann Telnaes e tutto ciò che ha dato al Post. Ma devo dissentire dalla sua interpretazione degli eventi. Non ogni giudizio editoriale è il riflesso di una forza maligna», ha commentato. «La mia decisione – ha aggiunto – è stata guidata dal fatto che avevamo appena pubblicato un articolo sullo stesso argomento della vignetta e avevamo già programmato la pubblicazione di un'altra rubrica, questa volta di satira. L'unico pregiudizio era contro la ripetizione».

Quel (non) editoriale indigesto

Lo scorso 25 ottobre, il Washington Post annunciava che non avrebbe sostenuto Harris o Trump nelle elezioni americane. In un'opinione, l'editore e amministratore delegato William Lewis spiegava lo storico mancato endorsement al fine di creare uno «spazio indipendente» e, al contempo, segnare un «ritorno alle origini» per il giornale che, in passato, evitava appunto di schierarsi. Secondo i più, invece, dietro alla decisione c'era Jeff Bezos, soprattutto i suoi interessi miliardari attorno ad Amazon.

Lo stesso, seppur in sordina, aveva fatto il miliardario Patrick Soon-Shiong, proprietario del Los Angeles Times, il quale proprio come Bezos aveva detto niet a un endorsement già previsto per Kamala Harris. Gli analisi avevano quindi legato la decisione al fatto che Soon-Shiong è a capo di un impero farmaceutico ed è molto amico di Elon Musk.

William Lewis, lo ricordiamo, aveva liquidato la lunga tradizione di endorsement del Washington Post e agganciato la non scelta «ai valori per cui il giornale si è sempre battuto». Descrivendo, infine, ciò che il Post spera di vedere in un leader: «Carattere e coraggio al servizio dell'etica americana, venerazione per lo Stato di diritto e rispetto per la libertà umana in tutti i suoi aspetti». I lettori, al riguardo, si erano chiesti (e avevano chiesto al quotidiano) se questi valori fossero compatibili con un'eventuale vittoria di Donald Trump (che è poi arrivata). Di qui le tante disdette inoltrate e «pubblicizzate» via social. A quel punto Jeff Bezos aveva provato a rimediare, dicendo che gli endorsement editoriali creano una percezione di parzialità in un momento in cui molti americani non credono ai media, e non fanno nulla per far pendere la bilancia di un'elezione. «Porre fine a questi progetti è una decisione di principio, ed è quella giusta», aveva scritto, giurando di voler preservare l'indipendenza del giornalismo.

In questo articolo:
Correlati