Politica

Cassa pensioni, un accordo già appeso a un filo

Sindacati e Governo hanno trovato un'intesa sulle misure di compensazione per gli affiliati all'Istituto di previdenza del Canton Ticino - Soddisfazione tra i sindacati - La Lega però annuncia già l'arrivo del referendum, mentre l'Erredipi assicura: «La mobilitazione continua»
©Chiara Zocchetti

Il destino delle rendite dei futuri pensionati «statali» prende forma, ma resta appeso a un filo. Dopo diversi «round» di trattative, sindacati e Governo hanno trovato un accordo sulle tanto discusse misure di compensazione per gli affiliati all’Istituto di previdenza del Canton Ticino (IPCT). Un’intesa che mira a compensare il taglio delle rendite già deciso dall’istituto, il quale prevede sull’arco di più anni l’abbassamento del tasso di conversione dal 6,17% al 5%. Un’intesa tra le parti che però, come vedremo, è tutt’altro che definitiva. Anzi, lo spettro del referendum popolare è oggi più vicino che mai.

In sintesi, per compensare il taglio delle rendite l’accordo prevede un aumento dei contributi sia a carico dello Stato sia dei dipendenti. Per gli affiliati l’aumento dei contributi sarebbe dello 0,6%, mentre il contributo dello Stato sarebbe di poco più di 14 milioni di franchi all’anno (per i dettagli si veda il box qui sotto).

L'accordo prevede un aumento dei contributi a carico sia dello Stato, sia dei dipendenti. Un accordo che mantiene praticamente invariate le attuali suddivisioni dei contributi ordinari (50%-50%) e totali (60%-40%). A conti fatti, per i dipendenti affiliati alla Cassa pensioni dello Stato l’aumento dei contributi sarà in media dello 0,6% dello stipendio lordo. Il contributo dello Stato, invece, leggermente superiore ai 14 milioni l’anno. Per gli altri enti affiliati all’IPCT l’operazione costerà invece poco più di 7 milioni all’anno. Anche l’IPCT, infine, farà la sua parte. Ma quest’ultima dipenderà anche dall’andamento dei mercati finanziari e quindi dagli investimenti dell’istituto stesso, oltre che dall’evoluzione del livello dei tassi di interesse. È inoltre prevista la trasformazione del contributo di risanamento (pari all’1%, introdotto con la riforma del 2012) in contributo ordinario (che potrà così andare a beneficio del processo di risparmio). Secondo l’accordo raggiunto, questo 1% sarà assunto dal datore di lavoro. Infine, è stato deciso di attenuare, almeno in parte, la diminuzione del tasso di conversione. Lo scenario principale discusso negli scorsi mesi prevedeva infatti una diminuzione dall’attuale 6,17% al 5%, da raggiungere nel corso di più anni. Secondo l’accordo trovato, la diminuzione dovrebbe arrivare «solo» fino al 5,25% entro il 2031.

Un accordo ragionevole

«Si tratta di un accordo ragionevole, ma che resta appeso a un filo», commenta il segretario cantonale della VPOD Raoul Ghisletta. «L’intesa permette di scongiurare il calo delle rendite. Ma l’accordo deve essere ancora approvato dal Parlamento e poi, eventualmente, pure dal popolo». Insomma, tra il dire e il fare, tra l’accordo e la sua definitiva approvazione, c’è di mezzo il mare. E uno scoglio importante da superare potrebbe essere quello delle urne.  

Verso le urne

Come noto, da tempo la Lega dei ticinesi ha annunciato il lancio di un referendum per dare l’ultima parola al popolo sulla questione. Una volontà ribadita anche oggi dal capogruppo Boris Bignasca: «I soldi sono dei contribuenti, la decisione spetta ai contribuenti», spiega il leghista. E i dubbi sull’intesa raggiunta tra sindacati e Governo, dal punto di vista di via Monte Boglia, non mancano. Ancora Bignasca: «La prima domanda che mi pongo è: perché i contribuenti (ossia il Cantone) devono pagare di più degli affiliati, con una ripartizione del 60% e 40%?». La seconda domanda riguarda gli enti affiliati all’IPCT e sussidiati dal Cantone: «Come faranno a finanziare questa manovra? Chiedendo più soldi al Cantone?». Il terzo punto interrogativo riguarda le tempistiche: «Il Cantone dovrà pagare 14 milioni all’anno, ma per quanto tempo? Se fossero 100 anni, si tratterebbe di 1,4 miliardi di franchi». Ma soprattutto, chiosa Bignasca, «questa è l’ultima volta che verranno a chiedere soldi ai contribuenti, oppure torneranno ancora fra 10 anni?». Il lancio di un referendum da parte del movimento è quindi certo. Anche se, va detto, non è escluso che si arrivi al voto popolare senza passare dalla raccolta firme. Già, perché come ricorda Bignasca «c’è anche l’ipotesi del referendum finanziario obbligatorio». Uno strumento introdotto in Ticino nel 2021 che prevede di portare il popolo alle urne (se almeno un terzo del Parlamento è d’accordo) per le spese annuali superiori a 6 milioni. E uno strumento che viene già evocato anche dall’UDC. «Mi sembra chiaro - spiega al CdT il presidente cantonale Piero Marchesi - che l’IPCT sia un vero disastro. E non certo per colpa dei dipendenti, le cui prestazioni, in rapporto a quanto pagano, sono decisamente basse». Detto ciò, «siamo aperti a una discussione, ma vorremmo anche una contropartita per i contribuenti. Occorre aprire un cantiere che rimetta in discussione il sistema attuale di gestione del personale». Ad esempio, dice Marchesi, «vorremmo che si tornasse a parlare di gestione per obiettivi, per migliorare l’efficienza dell’Amministrazione e di una riduzione dei costi a carico dello Stato. Solo così, da parte nostra, sarà possibile sostenere l’operazione. Verosimilmente, comunque, l’UDC chiederà il voto popolare con il referendum finanziario obbligatorio: su un tema così deve esprimersi il popolo».

A settembre ancora in piazza

E se da una parte, a destra dello scacchiere politico, c’è chi pensa al referendum, dall’altra resta ancora da capire quale sarà la reazione dei diretti interessati. «Lavoreremo per fare passare questo accordo. Come sindacati abbiamo previsto un’assemblea il 20 giugno, per spiegare le misure», spiega Ghisletta. «Se non dovesse passare l’accordo - chiosa il sindacalista della VPOD - sarebbe una catastrofe, con un taglio delle pensioni del 40% in vent’anni». Sulla stessa linea anche il sindacalista dell’OCST Giorgio Fonio: «Per noi l’obiettivo era quello di evitare la sciagurata perdita delle rendite del 20%. E questo scenario è stato scongiurato». «Un altro elemento centrale - aggiunge poi Fonio - riguarda l’abolizione del contributo di risanamento a carico dei contribuenti attivi. Una misura che è assolutamente discriminante». Un po’ più di prudenza viene espressa dalla Rete in difesa delle pensioni (Erredipi) che negli scorsi mesi più volte ha portato gli affiliati in piazza a protestare contro il taglio delle rendite. «È ancora prematuro formulare un giudizio», premette il coordinatore Enrico Quaresmini. «Attendiamo di avere un accordo nero su bianco». E in questo senso Quaresmini lancia un avvertimento: «Non incappiamo nuovamente nell’errore del 2012. Anche allora era stato trovato un accordo tra sindacati, partiti e Governo. Sembrava un buon compromesso, ma alla fine gli affiliati hanno perso il 20% delle rendite». E anche per questo motivo l’Erredipi ora chiede al Governo di mettere in consultazione tra gli assicurati le misure previste dall’accordo. E in ogni caso, assicura Quaresmini, «la mobilitazione continua: il 27 settembre saremo ancora in piazza».

Tra favorevoli e contrari

«È un bene che la situazione si sia sbloccata», commenta invece il co-presidente del PS Fabrizio Sirica. «Tuttavia, non possiamo dimenticare che i lavoratori hanno dovuto attendere fin troppo a causa dell’inadempienza della politica. La trattativa andava promossa ben prima della decisione del CdA dell’IPCT di abbassare il tasso di conversione». Per Sirica, ad ogni modo, «una cosa deve essere chiara: per i dipendenti si tratta comunque di un peggioramento in busta paga. Andrà capito esattamente di quanto, ma dalle prime informazioni sembra dello 0,6% del salario». Prima di prendere posizione sulla questione, Sirica preferisce aspettare. «Bisogna vedere come verrà accolto il compromesso dai lavoratori e dalle assemblee dei sindacati. Sulla base delle loro valutazioni vedremo come sostenere al meglio le loro necessità».

Anche il gruppo dei Verdi «è di principio favorevole alle misure di compensazione negoziate a tutela delle pensioni del personale affiliato all’IPCT», dice la co-coordinatrice Samantha Bourgoin. «Coscienti che il Ticino ha un grave problema di salari bassi, l’ente pubblico deve dare l’esempio: salari e pensioni dignitosi sono fondamentali, anche considerando che le pensioni sono un salario differito». E il referendum? «Siamo fiduciosi che la popolazione comprenderà la necessità di salvaguardare le pensioni del settore pubblico di fronte a una diminuzione del 40% delle stesse».

Innanzitutto - sostiene dal canto suo il presidente del PLR Alessandro Speziali - «è positivo che le parti inizino ad avvicinarsi. Cosa sempre auspicabile in un contesto di negoziazione». Detto ciò, per Speziali sono due i punti da evidenziare: «Da un lato, è inutile, oltre che ingiusto, scagliarsi contro i dipendenti pubblici, che oggi si trovano a pagare le scelte e i privilegi del passato». D’altro canto, per i liberali radicali «è fondamentale che la soluzione proposta, oltre che equa, sia anche sostenibile nel tempo. Dobbiamo cioè evitare di ripiombare negli stessi problemi tra pochi anni. Nel rispetto anche del contribuente, ovvero di tutti i cittadini». Non si sbilancia, invece, il presidente del Centro Fiorenzo Dadò: «Si tratta di trattative tra sindacati e datore di lavoro, quindi attendiamo di ricevere il messaggio del Governo e vedere tutti i dettagli. Dopodiché, faremo le nostre osservazioni».

Il prossimo passo

Al di là delle discussioni più prettamente politiche, il prossimo passo formale sarà, appunto, la presentazione del messaggio governativo, con il quale l’Esecutivo entrerà nel dettaglio delle misure. «Era importante raggiungere un’intesa e metterla nero su bianco - commenta il direttore del DFE Christian Vitta - così da poter elaborare i dettagli della proposta in un messaggio e permettere quindi alla politica di pronunciarsi». Un messaggio che, conferma infine Vitta, dovrebbe arrivare prima della pausa estiva, ossia entro la prima metà di luglio.

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