Il divieto di adottare all’estero «rischia di spostare il problema altrove»
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Alla fine, il Consiglio federale ha optato per la soluzione più dura, decidendo di andare verso lo stop per le adozioni internazionali. Una scelta dettata dalla convinzione che neppure un diritto più severo in materia è in grado di escludere il rischio di abusi. In passato, soprattutto tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, sono stati migliaia i casi di irregolarità nell’ambito delle adozioni internazionali. Traffico di bambini, documenti falsificati e procedure illegali che hanno coinvolto non solo lo Sri Lanka, ma anche Paesi come il Bangladesh, il Brasile, il Cile, il Guatemala, l’India, la Colombia, il Libano e la Romania. «Un fenomeno dalle dimensioni scioccanti», come lo ha definito il consigliere federale Beat Jans, «e che non deve più ripetersi». «Non c’è un diritto all’adozione e non c’è un diritto ad avere un figlio. Ma esistono i diritti dei minori, in particolare per quanto concerne la loro protezione», ha chiarito Jans. Ora spetterà al Dipartimento federale di giustizia e polizia elaborare - entro la fine del 2026 - un progetto di legge da porre in consultazione. Le procedure internazionali di adozione già in corso non saranno invece toccate dal provvedimento.
Lacune da colmare
«La scelta del Consiglio federale segue il trend adottato dai Paesi Bassi, e altri Paesi nord europei stanno comunque riflettendo sull’introduzione di regole sempre più stringenti», spiega Sabina Beffa, a capo dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione del DSS. Ciononostante, le implicazioni saranno molteplici. «Ora che il Governo ha scelto di bloccare completamente la possibilità di adottare all’estero, la Confederazione dovrebbe però anche chinarsi sugli altri metodi verso cui le coppie in cerca di un figlio probabilmente si indirizzeranno maggiormente. Posso ipotizzare, ad esempio, che il ricorso a soluzioni come la maternità surrogata - vietata in Svizzera ma consentita in altri Paesi - sarà ancora più frequente». Il punto, sottolinea Beffa, è che il divieto di adottare all’estero, voluto per scongiurare possibili derive, rischia di spostare il problema altrove. «La legislazione attuale in materia di procreazione assistita merita quindi di essere oggetto di un approfondimento alla luce della decisione odierna».
Numeri in calo: in Ticino 7 bambini nel 2023
In Svizzera, negli ultimi anni, le adozioni sono in costante calo, come ha ricordato il «ministro» della Giustizia. Sono stati soltanto 19, nel 2023, i bambini arrivati dall’estero. In questo contesto, il Ticino non fa eccezione: nel 2023 sono stati adottati da altri Paesi 7 bambini, mentre solo dieci anni prima erano stati 23. «Le ragioni che hanno determinato questo trend sono molteplici», dice Beffa. «Innanzitutto, l’applicazione della Convenzione internazionale dell’Aia ha introdotto una serie normative a tutela dell’interesse del minore: oggi i Paesi di origine sono tenuti a privilegiare le soluzioni interne, piuttosto che quella dell’adozione internazionale. Questo ha fatto sì che, negli anni, siano diminuiti i bambini resi adottabili».
A questo si aggiungono poi motivi di ordine politico e organizzativo legati ai Paesi di origine. «Ad esempio - spiega Beffa - Haiti era un Paese con cui la Svizzera collaborava in materia di adozioni, ma l’instabilità politica degli ultimi anni ha reso il processo delle adozioni poco sicuro, di conseguenza la Confederazione ha deciso di introdurre una moratoria, sospendendo le procedure». Anche la pandemia e gli sviluppi della medicina hanno però giocato un ruolo importante. «Il COVID ha determinato un stop nei flussi legati all’adozione i cui strascichi permangono probabilmente ancora oggi. In più, i progressi nel campo della procreazione medicalmente assistita hanno forse spinto le coppie che prima si sarebbero interessate all’adozione verso altre possibilità».
Ma tra i fattori che possono condizionare i potenziali genitori figurano anche la lunghezza delle procedure e l’età dei bambini. «La durata dell’iter è variabile, di solito dai tre ai sei anni, e può certamente essere un fattore deterrente», spiega la capoufficio. Rispetto al passato, poi, i bambini di pochi mesi rappresentano ormai un’eccezione. «Innanzitutto perché il Paese di origine, come detto, è tenuto a privilegiare in primis le soluzioni interne, e finisce per destinare alle adozioni internazionali i bambini più grandicelli o con problemi di salute. In seconda battuta, oggi le coppie che si candidano all’adozione spesso non sono più giovanissime. La legge, tuttavia, prevede che non ci possano essere più di 45 anni di differenza tra figlio e genitore, e questo determina l’età del bambino adottabile». Con tutte le conseguenze del caso: «Un conto è accogliere un bebè, un altro è crescere un bambino con un trascorso alle spalle, fatto magari anche di traumi pregressi».