La sentenza

La Corte silura l'accusa: «Gli abusi? Uno, non 17»

Condannato a 31 mesi in parte sospesi l'uomo del Luganese accusato di aver picchiato e abusato della moglie – Per il giudice Marco Villa, mancano elementi sufficienti per decidere
© CdT/Gabriele Putzu

«Non sto dicendo che lei non abbia commesso i fatti; è che non è possibile stabilirlo». È con queste parole che il presidente della Corte delle Assise criminali, il giudice Marco Villa (a latere Fabrizio Monaci e Giovanna Canepa Meuli), ha sostanzialmente assolto da quasi tutti i capi di imputazione principali il 52.enne del Luganese alla sbarra da mercoledì con l’accusa di aver abusato, una quindicina di volte, e picchiato la moglie nel settembre dello scorso anno. Oltre a ciò, le avrebbe anche appoggiato la canna di una pistola contro la fronte per spaventarla.

Nei suoi confronti, lo ricordiamo, la procuratrice pubblica Margherita Lanzillo aveva chiesto la condanna a 8 anni e 11 mesi di carcere per violenza carnale (in parte ripetuta), ripetuta coazione sessuale, tentate lesioni gravi (subordinatamente lesioni semplici), ripetuta coazione e ripetuta infrazione alla Legge federale sulle armi. La Corte ha deciso altrimenti: 31 mesi, 15 dei quali da scontare e la parte restante sospesa per 5 anni. E questo perché, ha motivato Villa, è stato possibile provare un solo episodio di coazione sessuale in virtù del principio in dubio pro reo. Ma la vicenda è probabilmente destinata a finire in Appello.

Critiche pesanti

La Corte ha duramente criticato l’operato del Ministero pubblico, smontandone in sostanza l’impianto accusatorio, ritenendo di non avere sufficienti elementi per decidere sulla base degli atti che le sono stati presentati. In estrema sintesi, non è stato possibile circostanziare ognuno dei presunti episodi a causa di «una violazione del principio accusatorio». L’atto d’accusa parla di «svariate occasioni, al massimo circa 17 volte». Una formulazione – ha affermato Villa durante la lettura della sentenza – «che non può essere accettata», poiché non permette di stabilire «quale sia stata l’esatta sequenza fattuale degli atti sessuali e il loro esito». Una limitazione, ha proseguito Villa, «che ha impedito alla Corte di soppesare le dichiarazioni della vittima (accusatrice privata e rappresentata dall'avvocato Benedetta Noli) o di contrastarle con dichiarazioni dell’imputato». Per la Corte delle Assise criminali, occorreva cioè analizzare e descrivere singolarmente tutti i presunti 17 casi; invece, «si è partiti dall’idea che i fatti si siano svolti sempre nello stesso modo». Essendo stato un dibattimento indiziario, molto è dipeso dalla credibilità della vittima: le sue dichiarazioni – ha stabilito Villa – «sono state non sempre ma spesso non univoche, con contraddizioni che andavano chiarite con nuovi verbali o interrogatori».

Pugni e schiaffi

Anche per quanto riguarda gli episodi di violenza fisica – l’imputato, difeso dall’avvocato David Simoni, ha ammesso di aver colpito la donna un paio di volte con un manganello e con degli schiaffi, ma non di averla stuprata – la Corte non ha confermato in pieno l’impianto accusatorio, escludendo le lesioni gravi e riconoscendo l’imputato colpevole di lesioni semplici in parte con un oggetto pericoloso. Tuttavia, la Corte stessa «non ha creduto all’esposizione riduttiva fatta in aula dall’imputato sulle lesioni inferte alla moglie. Agli atti ci sono invece prove di violenze avvenute a più riprese, addirittura antecedenti il periodo di settembre 2023». 

«Il minore dei mali»

Come detto, dunque, la Corte ha riconosciuto un solo atto sessuale: una sera, il 52.enne aveva picchiato la donna con un manganello e il giorno dopo i due avevano avuto un rapporto sessuale. Villa ha stabilito che la moglie, quei giorni, «si era svegliata con una pressione tale e con la paura di essere picchiata di nuovo che ha accettato il rapporto carnale. Per lei era il minore dei mali, rispetto all’essere nuovamente picchiata» ed questo «configura il reato di coazione sessuale». L’uomo è stato di contro prosciolto dall’episodio della pistola. Anche in questo caso, la Corte non ha ritenuto di avere la certezza che lo stesso si fosse effettivamente verificato.

«Stia lontano da lei»

In conclusione, la pena comminata al 52.enne è stata nettamente inferiore a quella prospettata dall’accusa. Ma non per questo il suo agire è stato meno grave. Anzi. «La colpa dell’imputato è da considerarsi grave», lo ha ammonito Villa. «Anche se ridotti, i reati commessi sono stati odiosi per il loro carattere violento e reiterato». Oltre alla pena detentiva, la Corte ha disposto anche un trattamento ambulatoriale (vi è un rischio di recidiva) oltre all’obbligo per 5 anni di mantenere una distanza di 500 metri dalla moglie, dal suo domicilio e dai luoghi che lei frequenta. Oltre, beninteso, al divieto di contattarla. Inflitta infine anche una pena pecuniaria sospesa per l’infrazione alla Legge federale sulle armi: il 52.enne aveva trovato delle armi in varie cantine da sgomberare che aveva invece tenuto per sé.

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