«Lei ha ereditato 40 milioni»: la truffa che vale cinque anni e mezzo di carcere
Quello messo in piedi dall'imputato è stato «un castello di menzogne talmente sofisticato ed elaborato che anche una persona sperimentata ci sarebbe cascata». La Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (a latere Luca Zorzi e Fabrizio Monaci) non ha avuto dubbi: il raggiro, milionario, ai danni di un cittadino americano c'è stato. Un agire «reiterato e spregiudicato» che ha portato alla conferma integrale dell'atto d'accusa della procuratrice pubblica Chiara Borelli e a una condanna a cinque anni e sei mesi di carcere da espiare oltre all'espulsione obbligatoria dalla Svizzera per dodici anni.
Alla sbarra da mercoledì, lo ricordiamo, c'era un 55.enne italiano, di professione consulente finanziario, in carcere dal luglio 2023 poiché accusato di truffa per mestiere per aver raggirato un cittadino statunitense, attivo nel mondo della finanza, prospettandogli una ricca eredità da incassare. Tutto questo agendo in correità con un avvocato italiano del Luganese già condannato in primo e secondo grado a tre anni e mezzo di carcere e a 8 anni di espulsione per aver partecipato a una truffa internazionale da 20 milioni di dollari a danno di cinque americani.
In base all'atto d'accusa – come detto, confermato dalla Corte – il 55.enne è riuscito a impossessarsi di oltre 9 milioni di dollari e di circa 500 mila franchi in più di tre anni (dal settembre 2016 al novembre 2019) . Nei suoi confronti, Borelli aveva chiesto una pena detentiva di 6 anni oltre a 15 anni di espulsione dalla Svizzera. Di contro, l'imputato si è professato innocente.
«La vittima, al contrario dell'imputato, è credibile e ha rilasciato dichiarazioni lineari e costanti», ha argomentato Pagnamenta nella lettura della sentenza. Quanto all'argomentazione della difesa del 55.enne, ossia che la vittima non ha svolto le verifiche minime richieste dal reato di truffa per mestiere, la Corte ha stabilito che il finanziere americano, «inizialmente, si è dimostrato cauto e ne ha discusso con il fratello e con il commercialista». A far breccia nelle sue difese è stato un viaggio a Roma e un incontro in un ufficio del Ministero delle finanze, organizzato dai truffatori, con un sedicente nipote di Mario Draghi.
La Corte – il dibattimento si è svolto alla presenza degli assessori giurati – ha pure respinto la censura della difesa secondo cui l'inchiesta è stata carente ed è sfociata in «semplici congetture» e in un atto d'accusa poco dettagliato. È certo il ricorso in Appello.
Versamenti da sbloccare
Il modus operandi della truffa è simile a quella già contestata all'avvocato luganese in due gradi di giudizio (ora deve pronunciarsi il Tribunale federale) e si basa principalmente su una grossa eredità lasciata da un parente morto. In questo caso, la vittima – costituitasi accusatrice privata e rappresentata dall'avvocato Andrea Gamba – era stata agganciata via e-mail e telefonicamente e ingannata con documenti falsi di finti istituti fiduciari e bancari lussemburghesi, i quali l'avevano avvisata di un'eredità di ben 40 milioni di dollari da incassare. Per entrarne in possesso, il cittadino americano aveva dovuto appoggiarsi al sedicente (il nome si è rivelato essere falso) Alberto Rossi. Dottor Rossi – il quale altro non era che il 55.enne imputato, presentatosi sotto falso nome a suo dire per «tutelarsi» – che, nella sua funzione di facilitatore nella transazione (grazie anche alla collaborazione con Maurizio Draghi, un falso nipote di Mario Draghi), prospettava alle vittime la necessità di acquistare una società con sede e conti bancari in Svizzera.
Ed è qui che entrava in scena l'avvocato citato poc'anzi, il quale aveva messo a disposizione le sue società dormienti per varie operazioni finanziarie. Alla vittima era infatti stato chiesto di acquistare una società in Svizzera e di pagare ingenti somme per sbloccare delle transazioni. Per esempio, le era stato proposto di gestire il patrimonio di un ricco cittadino nipponico, anticipando però i costi di sblocco del conto. Da lì, ecco quello che l'accusa ha definito «un valzer di intoppi e ritardi alle transazioni». Fino ad arrivare al 2020, anno in cui la vittima ha sporto denuncia dopo aver versato, come detto, oltre 9 milioni di dollari.