Luciano Pavarotti, una vita da opera
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«Un artista memorabile, geniale Pavarotti, ma soprattutto un essere umano unico e formidabile, dalla personalità complessa, che ha vissuto intensamente e coraggiosamente ogni attimo della sua carriera e della sua esistenza affermando la sua passione per la musica e il canto, ma anche un insaziabile bisogno di amare ed essere amato». Ha esordito così il regista statunitense Ron Howard alla conferenza stampa della Festa del Cinema di Roma dove ha presentato il suo Pavarotti, affascinante documentario fiume sull’indimenticabile tenore italiano. Il viso nascosto dal cappellino da baseball perennemente calcato in testa, accompagnato dal produttore Nigel Sinclair, con il quale ha realizzato anche The Beatles Eight Days a Week, il primo di questa serie di documentari dopo tanti film di successo (A Beautiful Mind, Rush, Apollo 13, Il Codice Da Vinci), Howard ha confessato di essere rimasto colpito dalla fama di Luciano Pavarotti, un mito anche per gente che non lo ha mai ascoltato dal vivo e che poco sa della sua storia personale, e persino della musica lirica.
Un melodramma personale
Ron Howard ha soprattutto raccontato come lui stesso sia rimasto affascinato dalle grandi qualità interpretative del tenore italiano che sulla scena era capace di rendere i suoi personaggi e le grandi storie melodrammatiche della lirica, palpitanti di sentimenti e di emozioni. «Questo mi ha fatto pensare che forse la vita stessa di Pavarotti, come spesso accade a molti attori, in certi periodi avesse rispecchiato quegli stessi problemi e quei dilemmi narrati dalle arie che questo grande interprete aveva cantato nei teatri di tutto il mondo», ha spiegato Howard aggiungendo: «Perciò sono partito da questo punto di vista, avvalorato dai filmati e dai video delle sue performance, per raccontare la sua vita, le sue sfide e le sue scelte di uomo e di grande professionista. Il suo melodramma personale».
![Il regista Ron Howard alla Festa del Cinema di Roma assieme alla vedova di Pavarotti, Nicoletta Mantovani. © Keystone](https://www.cdt.ch/binrepository/1200x838/0c0/0d0/none/798450/EFEX/20191018194700751_1049755_20191028171617.jpg)
I ricordi degli amici
Così dietro ai primi grandi successi di Luciano Pavarotti compare per un attimo un bambinetto biondo nato negli anni della Seconda Guerra Mondiale a Modena, in Emilia, unico maschio, amatissimo, che coltiva sin da piccolo la passione del padre, fornaio con una bella voce, per l’opera lirica. Ma è il cantante di successo che prende subito il sopravvento, anzi i suoi familiari, i suoi collaboratori ed i suoi amici famosi in una lunga sfilata in cui lo ricordano e si raccontano, dalla prima moglie Adua Veroni e le tre figlie Cristina, Giuliana e Lorenza, al suo manager newyorkese Herbert Breslin al promoter londinese Harvey Goldsmith, ai suoi assistenti, ai suoi studenti, tra i quali la sua allieva e sua «fiamma» del primo periodo americano Madelyne Renee, sino alla seconda moglie Nicoletta Mantovani. E poi Placido Domingo, José Carreras e tutti quelli che in un modo, o nell’altro, lo accompagnarono nella sua ascesa trionfale e nell’ambito di una carriera sempre più impegnata anche sul versante dei concerti, sino alla famosa esibizione del 1990 dei Tre Tenori, della quale Pavarotti fu il punto di forza, la grande voce, quello spirito generoso e empatico che lo faceva sorridere al mondo intero e che portò il mondo della lirica a vertici di popolarità mai più eguagliata.
Gli eventi benefici
E poi ci sono gli eventi benefici e i concerti dell’ultimo periodo: i «Pavarotti & Friends» organizzati a Modena con la partecipazione di artisti e gruppi rock e pop tra i più importanti della scena internazionale, nei quali «big Luciano» si metteva in gioco non solo come cantante, come emerge dalla divertente e commossa testimonianza di Bono degli U2. Tuttavia più ci si avvicina alla fine del documentario e più il «grande Luciano» resta misterioso, sorridente e lontano e la sua magnifica voce, celebrata nel mondo intero, relegata in pochi brani famosi, viene sommersa dalle parole degli altri. Il documentario di Ron Howard non svela Pavarotti, lo compara per grandezza a Caruso, ne racconta la passione per la buona cucina italiana, ma non la filosofia di vita, ciò che lo indusse come cantante lirico a fare delle scelte rivoluzionarie portando l’opera negli stadi, deciso a conquistare quel vasto pubblico che non sarebbe mai entrato in un teatro dell’opera. Forse il perché sta in quella frase sfuggita a Ron Howard in conferenza stampa: «Io ho invidiato quest’uomo, così diverso da me. Poi vi spiegherò perché». Ma non ha fatto neppure quello.