«Napoli si è risvegliata come dopo una notte d'amore»
![](https://naxos-cdn01.gruppocdt.ch/cdt/stories/2023/05/05/1920x1080/9027febd-6993-4d34-8f34-4bd136ec10ae.jpeg)
«Come si è risvegliata Napoli? Come dopo una notte d’amore». Marino Niola usa parole sognanti. Non potrebbe fare altrimenti, lui che in questa fantasia è immerso da giorni. Ci sono però volute le ultime ore e la solita zampata di Osimhen per rendere il tutto dannatamente reale. Per colorare d’azzurro anche il cielo buio e trasformare una città in un’opera d’arte. Sì, qualcosa che va oltre lo sport e uno scudetto - il terzo - cucito sul petto. «È magia, identità, passione e persino religione» spiega Niola, antropologo della contemporaneità attivo all’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, dove insegna antropologia dei simboli. «D’ora in avanti i napoletani saranno più felici. E la felicità è come un lievito, che fa crescere e osservare la realtà con occhi diversi».
La partita celeste di Diego
Guardando la tv o scorrendo le home dei principali social network, ieri era possibile perdersi. Senza parole, estasiati dalle immagini e il tramestìo di una città sottosopra. Napoli, d’altronde, è mille culure. Un laboratorio sociale, con le sue bellezze e i suoi eccessi. «L’attaccamento dei napoletani - osserva Niola - ha contagiato anche gli stranieri. Un milione e mezzo di persone hanno invaso la città per la festa scudetto. E fra loro, appunto, ho intravisto tanti, tantissimi turisti, giunti apposta per entrare in questa specie di grande corpo esultante. Per essere toccati da questo calore e, di riflesso, partecipare a un’esperienza ai confini del sovrannaturale. Si è così creata una corrente condivisa, migliaia di cuori che battono all’unisono in una forma d’appartenenza speciale. Il Napoli non è solo una squadra di calcio: rappresenta la città intera, chi la abita e pure chi la cerca. Un totem, ecco». Che spiega altri fenomeni, individuali e al stesso tempo collettivi. Comunitari, anche. «Qui, e ovviamente penso a Maradona, i giocatori possono diventare dei santi» sottolinea Niola. «L’argentino, a differenza dei due precedenti scudetti, non ha calcato il rettangolo verde. La sua figura, però, c’era lo stesso. Mentre gli uomini di Spalletti pareggiavano con l’Udinese, Diego disputava la sua partita celeste». Insomma, è stato il primo scudetto senza il Pibe e però anche il terzo frutto della sua intercessione. Tutti riuniti in un’unica, grande fede, all’ombra di due murales. «È come se stessimo assistendo a una religione allo stato nascente» indica l’antropologo napoletano. «Ciò che sta succedendo attorno alla figura di Maradona, a cui vengono attribuiti prodigi anche dopo la morte, è tipico dei fenomeni religiosi di massa. Una sorta di canonizzazione dal basso». Va da sé, nella speranza di poter ottenere in cambia altrettanta grazia. È successo a livello sportivo. Ma non solo. «Dall’alto l’argentino ha fatto piovere una miriade di assist. Trasformati in gol dalla squadra e in una clamorosa opportunità di sviluppo turistico dalla città» evidenzia il nostro interlocutore.
![](https://naxos-cdn01.gruppocdt.ch/cdt/system/icons/quote.png)
![](https://naxos-cdn01.gruppocdt.ch/cdt/system/icons/quote.png)
«La rivincita del Sud? No, il calcio come fattore di sviluppo»
Eppure, sovrapporre gli scudi maradoniani a quello di fresca cristallizzazione sarebbe un errore. Niola concorda: «Nel 1987 e nel 1990, gli scudetti avevano un nome e un volto: quello di Maradona appunto, che in campo faceva miracoli. Questa volta è diverso. Perché il successo è figlio di una lunga preparazione, di una fine costruzione imprenditoriale. Il presidente Aurelio De Laurentiis e il direttore sportivo Cristiano Giuntoli ci hanno lavorato per anni. E, ora, non si tratta più di un semplice trionfo sportivo. No, il successo si trasforma nel cosiddetto “soft power” e si riverbera sull’intera città. Ripeto: il calcio come fattore di sviluppo. L’indotto economico che sta nascendo attorno al Napoli è notevole. Così come la fortuna turistica di Barcellona, per fare un paragone, iniziò negli anni Ottanta proprio grazie ai risultati dei blaugrana».
L’antropologo e divulgatore scientifico Marino Niola parla di progresso. Altri, invece, preferiscono sbandierare il concetto di rivincita. La rivincita del Sud. «Non so. È una lettura che non accentuerei. Di certo, lo scudetto del Napoli contribuisce a mostrare le grandi potenzialità del meridione. Il club ha approfittato di un presidente - De Laurentiis - che ha saputo scorgere quelle giuste. Adesso va imitato e, a quel punto, sì, il Sud avrà la possibilità di far valere le proprie ragioni con rinnovato vigore».
Il disprezzo e uno scudetto che comunque unisce di più
Purtroppo, non solo lacrime, abbracci e fuochi d’artificio hanno accompagnato l’impresa di Di Lorenzo e compagni. Alla Dacia Arena, subito dopo il triplice fischio finale, l’invasione di campo dei tifosi napoletani è stata trasformata in guerriglia da parte degli ultras dell’Udinese. Nei giorni precedenti la sfida, altre città - come Varese - avevano invece messo al bando qualsivoglia forma di festeggiamento. Soprattutto se napoletano. Disprezzo e finanche razzismo, detto altrimenti, non smettono di ammantare il tifo partenopeo. «A fare da contraltare a frange di imbecilli - da lasciare al proprio destino - vi sono tuttavia migliaia di persone che, dal nord, si sono riversate su Napoli. Proprio per vivere questa gioia popolare» tiene a ricorda Niola. Di più. Le celebrazioni, la scorsa notte, hanno trovato terreno fertile nelle piazze di numerose metropoli sparse per il mondo. «Rispetto a quelli precedenti, in effetti, è uno scudetto maggiormente democratico, che unisce di più» rileva Niola. Per poi fare un nuovo salto all’indietro: «Dopo tutto, Maradona era una figura fortemente provocatoria, in grado dunque di attirare anche molte antipatie. Diego non rappresentava solo il sud Italia. Ma - complice tutta una serie di amicizie e legami politici - il sud del mondo. Era punto di riferimento per i dimenticati». Già. Che poi, fa venire i brividi pensare come a precedere lo scudetto del Napoli sia stata la Coppa del Mondo conquistata dall’Argentina.
![](https://naxos-cdn01.gruppocdt.ch/cdt/system/icons/quote.png)
![](https://naxos-cdn01.gruppocdt.ch/cdt/system/icons/quote.png)
Un trionfo poco napoletano
Napoli gonfia il petto, dunque. Il terzo sigillo della sua storia, però, è poco napoletano. Le firme principali sono quelle di un romano - il presidente De Laurentiis - e dei fiorentini Giuntoli (ds) e Spalletti (allenatore). Per tacere dei trascinatori Osimhen e Kvaratskhelia. Niola va oltre: «Al fine di fare il definitivo salto di qualità, la società ha ritenuto necessario separarsi dal simbolo napoletano della squadra, Lorenzo Insigne. I tifosi, consapevoli di cosa serviva veramente, non hanno per altro protestato. Volendo utilizzare un anglicismo, questo Napoli ha sfruttato l’essere più “glocal”. E credo che grazie a questa connotazione il successo possa e debba essere replicato in futuro». È l’obiettivo dichiarato apertamente da De Laurentiis, con cui - tuttavia - la piazza non ha sempre avuto un rapporto idilliaco. Anzi. «Perché i tifosi amano i presidenti-tifosi, noncuranti dei bilanci e disposti a indebitarsi. Alla Massimo Moratti, per intenderci. Aurelio, da parte sua, ha sempre ostentato il fatto di essere un imprenditore. E solo dopo un tifoso. Ha avuto ragione e potrebbe averne anche in prospettiva». Napoli non aspetta altro.