L'intervista

«Il caso Alberti è una patata abbastanza bollente»

Il vice-coordinatore della Lega Gianmaria Frapolli mette le mani avanti, ma ammette: «I politici devono essere corretti anche nel privato»
© Pablo Gianinazzi
Andrea Stern
Andrea Stern
18.08.2024 06:00

La Lega dei Ticinesi ha un coordinatore e quattro vice-coordinatori, ma a esporsi sui media sulla vicenda dell’arresto del sindaco di Bioggio Eolo Alberti è sempre e solo uno di loro, Gianmaria Frapolli, ex deputato in Gran Consiglio.

Signor Frapolli, perché fanno parlare sempre lei?
«Nel coordinamento della Lega cerchiamo di dividerci i temi e le responsabilità. Chiaramente in questo caso il consigliere di Stato non si è espresso e così è toccato a me. È una semplice suddivisione dei compiti».

A lei lasciano le patate bollenti?
«Sicuramente questa è abbastanza bollente».

L’impressione è che Alberti sia saltato sul carro della Lega e poi ne abbia tradito la fiducia.
«Intanto è troppo presto per dirlo. Se io faccio un’analisi, vedo che Alberti ha sempre fatto delle brillanti elezioni. Ora c’è un procedimento in corso. È difficile giudicare prima che si sia concluso. Ma deve essere chiaro che non può esserci spazio per chi usa la politica per scopi personali».

Molti cittadini avranno già un giudizio.
«Questo è un problema in Ticino. Il primo processo è sempre mediatico. Il caso Alberti occupa le pagine dei giornali da più di una settimana, si sono lette affermazioni anche pesanti, che a mio avviso nella fase attuale sono premature».

Non è normale che l’arresto di un sindaco faccia scalpore?
«È giusto che ci sia informazione alla popolazione. Ma non si dimentichi che dietro ci sono anche delle famiglie».

Chi fa politica si espone volontariamente.
«È vero. Il caso Alberti deve ricordare a tutti che quando si gestisce la cosa pubblica, bisogna essere irreprensibili anche nelle attività private. Oggi non abbiamo gli elementi per sapere se Alberti ha sbagliato, ma deve essere chiaro che non c’è spazio in politica per chi si rende colpevole di comportamenti illeciti. Noi come Lega l’abbiamo ribadito chiaramente».

Qualcuno si è stupito della rapidità con cui avete reagito all’arresto. Avevate già il comunicato pronto?
«No, abbiamo reagito subito dopo che abbiamo appreso la notizia dai giornali perché riteniamo che sia giusto che un partito prenda posizione in modo chiaro e trasparente».

L’arresto non è stato un fulmine a ciel sereno.
«Circolavano voci di controversie e noi abbiamo incontrato Alberti per capire cosa ci fosse di vero. Lui ha negato l’esistenza di problemi. Noi ne abbiamo preso atto, ma gli abbiamo anche detto che se le voci si fossero confermate avremmo agito di conseguenza, ciò che poi effettivamente abbiamo fatto».

Non stona che Paolo Sanvido abbia voluto precisare di essere stato contrario alla nomina di Alberti nel CdA dell’EOC?
«Questo deve chiederlo a lui. Io conosco Sanvido e so che è una persona razionale. Se dice qualcosa, è qualcosa di ponderato. Tuttavia, pur non avendo partecipato alle discussioni sulla proposta di nomina di Alberti, credo che allora furono fatte delle valutazioni politiche che portarono al suo nome».

L’impressione è che la Lega faccia fatica a trovare nomi presentabili per i CdA e finisca per proporre sempre gli stessi, come lei e Paolo Sanvido.
«Quello che conta sono le competenze. Noi come Lega stiamo cercando di reclutare persone che abbiano i profili giusti per fare parte di un CdA. Se li troviamo internamente, bene, altrimenti li cercheremo fuori. Quello che conta non sono i nomi, bensì le competenze».

In assenza di nomi validi, si può anche rinunciare.
«Ma qualcuno deve pur sedersi a quei tavoli. Spesso la gente crede che partecipare a un CdA sia solo andare alle riunioni e incassare i gettoni. In realtà i membri dei CdA hanno un ruolo sempre più importante nella definizione della strategia aziendale. È un ruolo impegnativo che richiede conoscenze e competenze».

Chi le ha affibbiato il termine «Giangettone»?
«Quel nome è nato una sera, durante una cena. Non so più bene chi l’aveva coniato ma ricordo che si era ispirato a «Giandollaro», il soprannome del compianto Gianfranco Cotti».

Si offende quando la chiamano così?
«No anzi, lo trovo simpatico e mi fa sorridere. Io siedo in 5 CdA, ma se naviga nel registro di commercio trova nomi molto più blasonati del mio che siedono anche in 20 o 30 CdA».

Lei è giovane, può ancora raggiungerli.
«Non è il mio obiettivo. Io ho fatto una chiara scelta, lasciando la politica attiva quando ho assunto la presidenza del CdA delle Autolinee regionali luganesi. Nessuno mi obbligava, ma non volevo portare il doppio cappello. Non si può agire da controllante e controllore. È un’attività sempre più impegnativa ed a mio avviso è difficile sedere in più di 5 o 6 CdA contemporaneamente. Se si vuole farla bene, bisogna dedicare il giusto tempo ed evitare palesi conflitti d’interesse».

Lei perché ha scelto i CdA?
«Mi sembra un modo di mettere a frutto le mie competenze. Io ho studiato economia e mi sono specializzato con formazioni universitarie proprio sui CdA. Questo è il mio lavoro».

Ma li avrebbe ottenuti anche senza la politica?
«Non tutti i miei CdA sono legati alla politica. Comunque sì, è vero, la politica può essere un trampolino di lancio. Ma poi bisogna giocarsela, come tutto nella vita. Bisogna saper gestire le situazioni e lavorare intensamente. Altrimenti non si arriva da nessuna parte».

Lei sarà il prossimo coordinatore della Lega?
«Questo lo sta dicendo lei. Non abbiamo ancora discusso del tema. Io ho accettato di entrare nel coordinamento per contribuire a costruire il futuro del movimento. Abbiamo anche costituito un gruppo di pensiero formato da imprenditori e persone attive nella società civile in vari ambiti per portare proposte dalla base. Siamo tutte persone desiderose di creare valore aggiunto alla politica della Lega».

Non è un periodo facile per la Lega.
«È vero. È anche per questo che ho deciso di mettermi a disposizione quando Norman Gobbi me l’ha chiesto. È proprio in questi momenti che bisogna unire le forze di chi ha voglia di fare bene per il futuro del movimento. Dobbiamo avere voglia di costruire e non di distruggere, evitare i personalismi, dirci le cose in faccia, essere trasparenti e saperci confrontare, internamente e con gli altri partiti».

Quindi non vuole una Lega «barricadera»?
«Oggi non è più pensabile che un movimento, un partito, si posizioni da solo. È necessario che tutti insieme si definisca una strategia per questo cantone. Se no continueremo a fare piccole iniziative che servono a mettere un cerotto da una parte ma aprono una falla dall’altra».

La Lega come quarta ruota del triciclo?
«Direi di no. Vorrei che la Lega guidi questo cambiamento. Dobbiamo rivedere la macchina statale con delle proposte chiare, che siano condivise dai partiti. Dobbiamo smetterla di spararci addosso l’un l’altro o dedicare il nostro tempo a creare sui giornali fumose situazioni che non contano per il Paese. Dobbiamo sederci a un tavolo insieme, da sinistra a destra, ognuno con le proprie sensibilità, ma uniti dalla volontà di fare il bene del Paese».

In pratica, la Lega diventa un partito come gli altri.
«La Lega rimane la Lega, con le sue anime diverse e con chi è più barricadero e chi meno. Quando si diventa però partito di governo non c’è spazio solo per dire no, ma bisogna trovare delle soluzioni. Quando la Lega attaccava, era una Lega che doveva affermarsi. Oggi questo atteggiamento lo si vede più nell’UDC. Anche il Nano è stato molto duro in tanti casi, ma come municipale ha sempre lavorato bene e portato tante novità alla Città di Lugano. La rottura tout-court non porta da nessuna parte, quello che conta è il lavoro che si fa, consapevoli che chi lavora può anche sbagliare».

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