Il personaggio

«Il tabù dell’esaurimento nervoso nel mio film per il grande schermo»

La storia del cineasta di Locarno Filippo Demarchi, che a 36 anni ha deciso di raccontare il suo percorso di redenzione in fuga dal «buco» che l'ha costretto per settimane a starsene chiuso in casa
Un fotogramma tratto da «Osteria all'undici»; nell'adesivo in primo piano, il regista del mediometraggio, Filippo Demarchi, di Locarno, 36 anni
Jona Mantovan
30.01.2025 06:00

Ha avuto un esaurimento nervoso, trascorrendo un periodo buio: per mesi nel suo «buco», senza più uscire di casa. Un giorno, il ricovero (volontario) e la successiva ripresa. Poi l’idea, coraggiosa, di raccontare l’esperienza in un film. Oggi, il 36.enne cineasta Filippo Demarchi, di Locarno ma un po’ «giramondo», ne parla in maniera aperta: «Sono riuscito a coinvolgere in questo progetto altre persone con un percorso simile al mio».

«Ho dovuto superare i miei pregiudizi sul mio stesso disagio psichico, diagnosticato in clinica», racconta il regista del mediometraggio (62 minuti, prodotto da Picfilm e coprodotto da RSI con il sostegno di Teleproduktions-Fond GmBH, Repubblica e Cantone Ticino, FilmPlus della Svizzera italiana, Ticino Film Commission, Swiss Films e Focal) «Osteria all’undici» in collegamento da Berna, suo attuale luogo di lavoro a tempo pieno come ricezionista in un ostello.

«Questo mi ha permesso di andare oltre la stigmatizzazione e di dire: “Sì, può succedere, ma non per questo bisogna essere emarginati”. E, come spiega un personaggio, “Non è perché non hai una gamba che non puoi essere utile alla società”. È interessante permettere allo spettatore di compiere il viaggio dall’ombra alla luce, dall’internamento in una struttura alla “realtà esterna”, da un momento buio a uno in cui ci si reintegra e si trova di nuovo un impiego. La pellicola ha un tono ottimista, non ci si vuole piangere addosso o sottolineare quanto dura possa essere la vita. Attraverso momenti ironici, ho cercato di dare un senso positivo, di unione e solidarietà tra di noi, nonostante tutto». Una storia vera, con «attori» veri, che hanno vissuto la situazione sulla loro pelle e che non hanno problemi a metterci nome e volto: «Abbiamo messo in scena le situazioni che avevamo passato. È un approccio che ho preferito rispetto al classico “documentario” nel quale la trama si sviluppa attraverso una serie di interviste legate al tema, magari chiedendo il contributo di specialisti. Lo scopo era mostrare cosa accade, e come, attraverso i nostri occhi, all’altezza del nostro sguardo».

Il mio isolamento si è rivelato essere una preparazione a quanto ho realizzato dietro la cinepresa
Filippo Demarchi, cineasta di Locarno, 36 anni

Due anni senza intoppi

Una produzione andata avanti senza intoppi nell’arco di un paio d’anni - da fine 2022 - e appena presentata alle Giornate del cinema di Soletta.

«Entrambe le proiezioni sono state ricevute da calorosi applausi. Non abbiamo vinto premi, tuttavia è stato bello partecipare. C’erano molti ticinesi e varie persone sconosciute mi hanno avvicinato per raccontare la loro esperienza. Mi ha fatto piacere che la mia evoluzione potesse entrare in contatto con altre». L’opera, che porta il nome del ristorante bellinzonese luogo della «redenzione» grazie al laboratorio protetto che lo manda avanti, è ambientata anche nella Regina del Verbano, proprio come alcuni titoli precedenti del giovane autore.

L’importanza dei legami

«È una bella città. Qui sono cresciuto e ho molti legami, maturati frequentando, come chiunque, i suoi luoghi, conosciuti e non. Ed è merito del suo Festival se ora sono qui, con un “piede” nella settima arte. Sono uno spettatore già dall’adolescenza».

Una passione che ha portato Demarchi da Bruxelles a Parigi, da Ginevra a Zurigo, collezionando titoli di studio in vari campi vicini ai suoi interessi artistici, come pure innumerevoli periodi di assunzione retribuita a vari livelli.

Un cammino partito da lontano, addirittura nel 2004, con la fondazione di un club cinefilo nella sua scuola, il Collegio Papio, organizzando conferenze nelle quali personalità erano invitate dare la loro testimonianza. «Organizzavamo appuntamenti dedicati a temi diversi, presentando lungometraggi che si abbinassero agli argomenti. Era bello proporre queste attività, non mi interessava se c’erano solo tre o quattro iscritti ogni pomeriggio. Sentivo che era qualcosa di speciale. Oltretutto, già a 15 anni ero interessato alla mediazione culturale».

Uscire dalla prigionia

Da allora, di tempo ne è passato, incluso il periodo più oscuro della prigionia autoinflitta. Settimane e settimane trascorse assorbendo in totale isolamento capolavori della letteratura firmati da personaggi dalla condizione simile alla sua. «Già, una sorta di “preparazione inconsapevole” a quel che poi è arrivato in seguito, rinunciando all’enfasi e premiando l’autenticità di fronte alla macchina da presa». E uscendo finalmente alla luce.

«Osteria all'undici» è un film prodotto da Picfilm e coprodotto da RSI con il sostegno di Teleproduktions-Fond GmBH, Repubblica e Cantone Ticino, FilmPlus della Svizzera italiana, Ticino Film Commission, Swiss Films e Focal.

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