Plan B: Giancarlo Devasini, l'uomo dietro a Tether, tra i più ricchi d'Italia
C'è anche un nome noto alla piazza luganese tra gli uomini più ricchi d'Italia: stiamo parlando del direttore finanziario e principale azionista di Tether, Giancarlo Devasini. Il nome dell'imprenditore italiano è infatti conosciuto in riva al Ceresio per via del protocollo d'intesa firmato dal Comune di Lugano e dall'azienda nell'ambito del Plan B. A eleggere Devasini quarto uomo più ricco d'Italia, e 270.esimo al mondo, è stata la rivista Forbes.
Ma chi è Giancarlo Devasini? Il personaggio non ama stare sotto i riflettori e di lui non si sa molto. A tracciarne il profilo ci hanno allora pensato il Corriere della Sera e il programma d'inchiesta della RSI Falò. Classe 1964, torinese, Devasini vanta, secondo Forbes, un patrimonio di 9,2 miliardi di dollari. L'imprenditore italiano si è laureato in medicina all'Università di Milano e, in seguito, ha lavorato per due anni come chirurgo plastico. Disincantato da un settore che immaginava diverso, abbandona però la professione ed entra nel mondo dell'informatica. Negli anni Novanta fonda quindi Point-G, una società di distribuzione informatica che commercia tra Hong Kong e Taiwan.
Devasini entra poi nel mondo della finanza, più precisamente in quello delle criptovalute, e qui fa fortuna. I pilastri del suo successo sono principalmente due: Bitfinex, un importante exchange di criptovalute, e Tether, una stablecoin, vale a dire una criptovaluta il cui valore è ancorato ad altri beni.
Attorno alla figura dell'imprenditore italiano, tuttavia, ci sono anche delle ombre. I guai iniziano già ai tempi di Point-G. Nel 1995 Devasini è ritenuto tra gli organizzatori di una vasta contraffazione ai danni di Microsoft. Egli patteggia una multa milionaria per evitare il processo e continuare la propria attività. I problemi continuano poi anche una volta passato al mondo della finanza. Devasini ha infatti avuto guai con la giustizia americana e nel 2021 ha dovuto pagare 18 milioni alla Procura di New York in un accordo extra-giudiziale per presunti conflitti d’interesse. Riguardo a Tether, poi, Falò sottolinea come ci siano dubbi sui conti dell'azienda, sui suoi bilanci e sulle sue riserve. Proprio per la mancanza di garanzie sulle coperture della sua criptovaluta, Tether è stata sanzionata negli Stati Uniti.
Il patto con la Città di Lugano
Come accennato in apertura di articolo, la Città di Lugano ha firmato un protocollo d'intesa non vincolante con Tether. Denominato Memorandum of understanding, il documento definisce la collaborazione fra la Città e Tether per la promozione delle criptovalute e della blockchain (registro digitale per catalogare e scambiare beni). Diverse sono le iniziative: la promozione della conoscenza della blockchain, dei bitcoin e delle stablecoin, anche collaborando con le istituzioni accademiche locali e i centri di ricerca; la creazione a Lugano di un terreno fertile per le start-up attive nel settore; la creazione di un fondo, sostenuto dalle parti e da un consorzio di aziende, per offrire prestiti e possibilità d’investimento alle start-up che realizzano sistemi basati sulla tecnologia blockchain; la ricerca di soluzioni per facilitare l’accesso ai crediti, come quelle peer to peer (paritarie, senza l’intermediazione di banche, ndr), l'organizzazione di eventi dedicati alla blockchain e alle criptovalute; la promozione di Lugano come un luogo attrattivo per le aziende e i professionisti del settore sottolineando le condizioni favorevoli esistenti e l’elevata qualità di vita e la partecipazione alla 3Achain, cioè il progetto di blockchain già avviato dalla Città, portando nuove conoscenze. Infine, tramite il Memorandum la Città vuole favorire lo sviluppo di soluzioni tecnologiche basate sulla blockchain per l’amministrazione pubblica, usando Lugano come caso di studio per poi applicare il modello in altri contesti.
Una collaborazione che fa discutere
Riguardo ai guai giudiziari che Tether ha avuto e ai possibili rischi per la Città di Lugano, il sindaco Michele Foletti ha risposto che «chi ha trovato soluzioni con la giustizia di ogni Paese può essere un partner affidabile. Il progetto, per Lugano, è una grande opportunità».
Le rassicurazioni del sindaco non sono comunque bastate e, in riva al Ceresio, il Plan B continua a far discutere la politica. A fine settembre, infatti, una mozione interpartitica dell’area progressista in Consiglio comunale ha chiesto, riassumendo all’osso, di vietare la promozione delle criptovalute private da parte della Città. I firmatari, bollando come «rischiosa» l’operazione, sottolineano che «le criptovalute private sono un mezzo di pagamento che bypassa il controllo degli organi (banche centrali nazionali) istituiti dallo Stato per la gestione monetaria: per questo si prestano al riciclaggio di denaro, al pagamento di operazioni illegali grazie a prestanome, a truffe rese possibili dalla struttura privatistica della creazione e della gestione delle criptovalute». Inoltre, l’accordo concluso «prevede un fattivo impegno della Città e dell’Amministrazione comunale nel propagandare l’uso di criptovalute e nel dare loro un’improbabile patente di rispettabilità, sostenibilità ed eticità attraverso una serie di iniziative concrete».
Anche in questo caso, comunque, Michele Foletti non sembra preoccupato. «La tecnologia Blockchain è trasparente, e permette di controllare la provenienza dei finanziamenti. Basta saper utilizzare questo strumento. Inoltre ricordo che il 99% dei finanziamenti illeciti avvengono tramite monete emesse dalle banche centrali. La tecnologia di per sé è neutra: il problema è l’utilizzo che se ne fa», osserva il sindaco.