«Oggi i primi diplomi federali, domani l’ospedale universitario»
«I primi esami federali di medicina all’USI». La stessa Università della Svizzera italiana titola così una sua nota pubblicata all’interno del sito. Sì, oggi al Campus Est di Lugano si terranno i primi esami federali di medicina del nostro cantone. Un traguardo, ma anche un nuovo punto di partenza. Il decano, Giovanni Pedrazzini, è orgoglioso nell’osservare il momento, e poi prova a guardare oltre.
Professor
Pedrazzini, che cosa rappresentano questi esami per l’USI e per la facoltà?
«Rappresentano un
momento importante. Stiamo infatti parlando dei primi studenti del Master
ticinese in biomedicina; studenti che riceveranno il diploma federale di
medico. E attenzione: questi esami non sono facoltari, ma nazionali. E allora,
lo stesso giorno, alla stessa ora, gli studenti di tutto il Paese verranno
sottoposti allo stesso esame. Vale per la parte scritta, tenutasi il 10 e l’11
agosto - due sessioni da 150 domande a scelta multipla -, così come per quella
orale».
Parliamo
dell’esame clinico-pratico, l’esame OSCE (Objective Structured Clinical
Examination).
«Esatto. Un esame
che sarà lo stesso per tutti gli studenti in Svizzera, con gli stessi casi
clinici. E allora gli studenti verranno confrontati sull’arco di tre ore circa
a dodici scenari clinici differenti, nei quali incontreranno dodici attori
simulanti. Per ogni scenario, avranno a disposizione tredici minuti. Una vera e
propria full immersion, lungo la quale verranno valutati per le loro competenze
cliniche, per la loro capacità di affrontare situazioni di varia natura, dal
problema neurologico a quello ortopedico, da quello cardiologico a quello
internistico, ma anche per la loro capacità di comunicare e di relazionarsi con
il paziente. Tre ore intense nel contesto di un’unica organizzazione
impressionante. La macchina organizzativa, sia sul piano nazionale che su
quello, per noi, pratico della facoltà, è unica. Al Campus Est ci sarà un
intero piano, quello della Facoltà di informatica, riservato agli esami. Gli
studenti troveranno un medico esaminatore, ma potranno interagire solo con il
paziente: la scena sarà tra loro due, e simulerà le situazioni tipiche dei
contesti clinici che troveranno poi all’inizio della loro attività».
L’assoluta
contemporaneità degli esami in tutta la Svizzera dà il senso del traguardo
raggiunto: essere alla pari con le facoltà di medicina d’oltre San Gottardo.
«È proprio così,
anche perché per tutte le altre discipline e le altre facoltà, gli esami sono
universitari, sono quindi rilasciati dalle singole università. Nel caso della medicina,
il diploma facoltario non ha un valore effettivo. Il superamento degli esami
federali corrisponde invece a un diploma federale, che autorizza i nuovi medici
a lavorare negli ospedali».
Ecco,
concretamente, una volta ottenuto il diploma federale, che cosa si può fare?
«Se uno studente
si limita all’esame facoltario, può scrivere sul suo biglietto da visita
“Master in medicina”. Mentre se supera l’esame federale, può iniziare a
lavorare in un ospedale, con un titolo riconosciuto dall’Associazione svizzera
dei medici e dall’Ufficio federale della Sanità. A quel punto, proseguirà nella
formazione post-graduata all’interno dell’ospedale, fino all’ottenimento del
titolo di specialità, e potrà candidarsi per il titolo di “Dr. med.”, previa
pubblicazione di un lavoro originale».
Ogni singolo
studente è una storia a sé, ma che tipo di medici dobbiamo aspettarci dall’USI?
«Il Master esiste
grazie a un piano straordinario di finanziamento degli studi di medicina varato
dall’allora consigliere federale Schneider-Ammann, con l’obiettivo di
ripopolare i medici in medicina generale sul territorio. La carenza dei medici
di famiglia è tuttora crescente. E allora, aumentando il numero di laureati
svizzeri, da 900 a 1.300, su tutto il Paese, la speranza è che una parte di
loro si indirizzi sulla medicina di famiglia, sulla medicina legata al
territorio. Ora, dei primi 47 studenti del Master dell’USI, da quello che mi
risulta una decina, su per giù, ha già un posto di lavoro in Ticino, mentre gli
altri torneranno probabilmente in Svizzera interna. Poi, pian piano, sono
fiducioso che riusciremo ad assecondare le necessità del territorio. Il
progetto è su più anni, non è legato al breve periodo. La speranza è anche che
sull’arco dei prossimi 10-15 anni i medici formati in Svizzera vadano a
sostituire le risorse straniere nei nostri ospedali, poiché non sappiamo per
quanto tempo ancora potremo contare su di esse. La grande migrazione di medici
dalla Germania e dalla Francia sta già rallentando, per ora non dall’Italia. Ma
potrebbe essere questione di tempo. Il discorso poi è molto più complesso.
Dovremmo infatti darci da fare anche per rendere il Ticino più attrattivo per i
medici svizzeri. E non è cosi semplice, perlomeno non in tutte le discipline».
All’interno di
questo discorso complesso si inserisce l’idea di un ospedale universitario.
Traguardo necessario o utopia?
«Io ci credo, per
due ragioni. Una: quando si parla di ospedale universitario, si crea un punto
di convergenza inclusivo per tutta quella che è la medicina degli ospedali e la
ricerca. La nostra facoltà è di biomedicina, e allora parlare di ospedale
universitario significa creare un concetto futuro integrativo. Due: l’ospedale
universitario non va creato oggi su domani. Dobbiamo però ragionare come si era
fatto per AlpTransit nel 1992: ci esponiamo oggi per creare le condizioni di
quello che potrebbe diventare, tra dieci o quindici anni, l’ospedale
universitario della Svizzera italiana. Certo, è necessario lavorare bene, senza
litigare, senza giochi di potere, in modo da creare una medicina di qualità e
strutture tali da corrispondere al concetto di ospedale universitario. Dobbiamo
quindi capire cosa significhi un ospedale universitario in Ticino, dal punto di
vista sanitario, economico, organizzativo, e poi definire le tempistiche. Non
si tratta di essere a favore o contrari, dobbiamo piuttosto capire se
l’ospedale universitario può essere una prospettiva e entro quando».
Quando dice
«dobbiamo», a quali attori si riferisce?
«A tutti gli
attori sul territorio, al Cantone in primis, e poi agli ospedali,
all’università, a tutti gli stakeholder, insomma. Tutti devono mettersi in
gioco. L’ospedale universitario non sarà mai un progetto del solo EOC, della
sola università, e senza Cantone non si va lontani. Deve esserci una volontà
condivisa. Oggi nessuno sa cosa significhi, lavorare a un ospedale
universitario, né in termini di competenze né di volumi finanziari; è quindi
qualcosa che dobbiamo studiare a fondo, proprio come avevamo fatto con
AlpTransit, creando le basi affinché venga realizzato in futuro».
Quali sono i
traguardi intermedi?
«Il primo, in
assoluto, è consolidare il Master e la facoltà. L’obiettivo, che sembra banale,
ma non lo è, è superare l’entusiasmo iniziale e creare stabilità. All’inizio
spesso è tutto bello, poi magari passa l’innamoramento e affiorano gli aspetti
critici. Ecco, dobbiamo fare in modo - anche perché c’è una grande competizione
- di mantenere alta l’attrattività della nostra università, della nostra
facoltà e dei nostri ospedali, evitando di risultare periferici. E poi
cominciare a lavorare all’interno di un gruppo di lavoro trasversale sulla
visione a lungo termine della biomedicina in Ticino ».
«Questo traguardo è un fiore all’occhiello per la nostra sanità”
Presidente dell’Ordine dei medici del nostro cantone, Franco Denti si dice orgoglioso del traguardo raggiunto dall’USIe dai suoi studenti. «Questi diplomi rappresentano un fiore all’occhiello per la nostra sanità». Ma guarda oltre: «Chissà che, una volta consolidato il Master, non si possa arrivare a una formazione interamente ticinese». Insomma, anche Denti non si vuole sedere sugli allori. E aggiunge: «In quanto membro del Consiglio di direzione SAFMED (il Collegio dei direttori degli istituti di medicina di famiglia svizzeri, ndr), ricevo le reazioni entusiastiche degli studenti. In particolare sottolineano il fatto che, durante gli studi, oltre alla teoria, si fa un grande lavoro al letto del malato. E questo è interessante proprio nel senso di formare medici attenti al paziente, medici di prossimità». Franco Denti poi fa un riferimento chiaro e tondo: «L’obiettivo è arrivare a lanciare un nuovo Istituto di medicina di famiglia in seno alla Facoltà di scienze biomediche. I tempi sono maturi. Direi che ci possiamo arrivare entro fino anno». Sarebbe fondamentale nell’idea di formare medici ticinesi. «Intanto godiamoci questa goccia nel mare: perché, parafrasando Madre Teresa, senza gocce non ci sarebbe il mare».