L'inchiesta

«Fragola», «mortadella» e i soldi nascosti nel divano

Cosa hanno trovato gli inquirenti nella «base» di contrabbando in un appartamento a Chiasso, in corso San Gottardo
© CdT / Gabriele Putzu
Andrea Bertagni
Davide Illarietti
Andrea BertagnieDavide Illarietti
02.03.2025 09:00

Una Porsche, un’Audi, una Smart e una Toyota in un garage sotterraneo possono essere solo quattro auto ma anche quattro mezzi di trasporto per occultare e trafugare oro e contanti. Ed era quello che facevano secondo gli inquirenti tedeschi gli appartenenti all’organizzazione internazionale che ha contrabbandato e smerciato illegalmente sette tonnellate di oro dall’Italia alla Svizzera, dalla Svizzera al Liechtenstein, dal Liechtenstein all’Austria e alla Germania. Quella stessa organizzazione al cui vertice, secondo l’inchiesta di alcune settimane fa delle Dogane svizzere, c’è stato un 65enne italiano che ha abitato a Chiasso e a Soazza, è stato condannato in passato in Italia per contrabbando e presto potrebbe essere a processo in Ticino perché accusato del medesimo reato.

Il garage sotterraneo dal quale, secondo i giudici tedeschi - che nel 2023 hanno condannato e giudicato il ramo teutonico dell’organizzazione, in tutto 4 persone - entravano e uscivano le quattro auto fa parte di un complesso residenziale di via San Gottardo a Chiasso. «C’erano almeno tre-quattro persone che andavano e venivano spesso da quell’appartamento», ricordano i vicini. Alcuni vicini c’erano anche nel marzo 2021, quando i doganieri svizzeri - che nel frattempo avevano aperto un’altra indagine parallela - sono piombati nell’appartamento e hanno fermato i sospetti. Tutti, a eccezione del 65enne, nel proseguo dell’indagine sono stati scagionati. L’avvocato Pierluigi Pasi, che si è occupato della difesa di uno di loro, precisa: «Gli investigatori di Lugano dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza hanno fatto un lavoro puntiglioso, per giungere alle conclusioni hanno ricostruito i fatti meticolosamente con un’indagine internazionale articolata e complessa. Alla fine, dopo un’attenta valutazione della sua posizione il mio cliente giustamente è stato ritenuto estraneo ai fatti imputati, il procedimento nei suoi confronti è stato abbandonato».

I nascondigli

I vicini dell’appartamento, quel mese di marzo del 2021, erano lì quando i doganieri hanno perquisito l’appartamento trovando decine e decine di mazzi di banconote e oro. È il dispositivo della sentenza - un atto pubblico - del Tribunale di Stoccarda a riportare quanto scovato nel dettaglio. «Sette spesse pile di biglietti da 50 e 100 euro erano state nascoste nella cappa aspirante della cucina. Altro denaro - sette pile di banconote da 100 e 200 euro - era occultato nella sottostruttura di un divano». In una stanza gli inquirenti hanno anche trovato «una cassaforte con dentro 4 chili di oro e contanti. Sul balcone, sotto una piastrella, è stato inoltre trovato un sacchetto di plastica con un disco rigido esterno». Durante le perquisizioni sono stati sequestrati anche numerosi documenti. Tra questi «figuravano numerose note scritte a mano» che rimandavano all’oro, giacché vi erano appuntate «informazioni sul peso e il prezzo d’acquisto». Annotazioni ma anche tabelle fatte in casa, nelle quali vi erano riportate «peso lordo, contenuto dell’oro e quantità totale». Annotazioni e tabelle sono ovviamente servite agli inquirenti per rendersi conto dello smercio e del guadagno prodotti dalla banda.

I pizzini

Era insomma un vero e proprio covo, quello affittato in via San Gottardo a Chiasso da un’insospettabile società con sede nei Grigioni. Che aveva chiesto e ottenuto di cambiarne la destinazione, da residenziale ad amministrativo. Un covo che però a un certo punto è saltato e si è rivelato un’autorete per l’organizzazione, giacché è proprio grazie alle informazioni che sono state trovate al suo interno che le forze dell’ordine sono riuscite a ricostruire il sistema messo in piedi dalla banda. Informazioni scovate anche su dei banali, ma solo a prima vista, pezzi di carta. Che hanno permesso agli investigatori di raccogliere alcuni indizi «sul modo di comunicazione tra il 65enne e i suoi fornitori a monte», cioè in Italia, Paese dal quale l’oro è sempre arrivato secondo gli inquirenti illegalmente. Questi fornitori, scrive il Tribunale, comunicavano mediante telefoni cellulari, ma anche email e usavano anche abbreviazioni o soprannomi insospettabili, come «fragola» e «mortadella». E si cautelavano usando anche strumenti di comunicazione criptati e di messaggistica come Telegram.

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