Tutti gli uomini del trafficante: «Giurava di rigare dritto»
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«Mai sentito nominare». Il direttore della fonderia sgrana gli occhi, quando sente il nome del sospettato. «Non siamo coinvolti in questa storia, non ne sappiamo niente». Eppure secondo l’Ufficio federale delle dogane e della sicurezza dei confini (UDSC) è qui che sarebbe finito buona parte dell’oro importato illegalmente in Svizzera da una rete di spalloni italiani. «Avete sbagliato posto».
La vicenda è nota, è stata ricostruita dalla Domenica settimana scorsa. Davanti ai giudici del Tribunale penale cantonale comparirà un 65.enne pluri-pregiudicato, titolare fino al 2021 di un permesso B. Secondo gli inquirenti avrebbe contrabbandato in Ticino qualcosa come 7,7 tonnellate d’oro - provenienti secondo l’accusa da furti e dagli ambienti della malavita nel nord Italia - per un valore di oltre 250 milioni di franchi. I lingotti «sporchi» venivano venduti nel distretto di Mendrisio, il più grande polo svizzero per la raffinazione dei metalli preziosi: da qui uscivano «puliti», fusi e pronti per finire nel mercato dell’oro da investimento.
La sentenza tedesca
Come ha potuto un uomo solo, tra l’altro con precedenti, mettere in piedi un simile meccanismo senza destare sospetti? Il distretto dell’oro ticinese ha investito molto in trasparenza e controlli, per rendersi il più possibile «impermeabile» ai tentativi di riciclaggio. L’associazione di categoria delle raffinerie (ASFCMP) ha escluso in un primo momento «qualsiasi coinvolgimento di propri membri» nella vicenda. È davvero così?
In attesa della sentenza ticinese - l’UDSC non fornisce ulteriori dettagli - una decisione del Tribunale di Stoccarda (che ha molti punti di contatto con il Ticino) aiuta a fare chiarezza. Nel 2023 quattro cittadini tedeschi sono stati condannati per avere trafugato una parte dell’oro - 2 tonnellate su 7 - arrivato in Germania dal Ticino passando per il Liechtenstein. La base di smistamento era un appartamento in corso San Gottardo a Chiasso (vedi articolo a fianco) affittato da una società di Roveredo (GR) che in teoria non si occupava affatto di oro. Lo scopo sociale era «promuovere il teatro e la cultura delle lingue neolatine» si legge a Registro di commercio.
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Diffidata dalle autorità grigionesi nel 2022, ora la società è in liquidazione. In realtà «si occupava di consulenze» e aveva un unico dipendente, l’imputato 65.enne, che ne era anche il proprietario e si auto-versava uno stipendio da 5.500 franchi al mese. «Mi ha detto che aveva bisogno di lavorare e ha giurato che non si sarebbe più occupato di oro», racconta un 78.enne che si occupava dei conti: «Ho accettato l’incarico per arrotondare la pensione, ho sbagliato a fidarmi».
In realtà il 65.enne aveva messo in piedi una rete di tre società che trattavano principalmente oro. In una figura un pregiudicato, che in passato è stato condannato a 6 anni di reclusione per riciclaggio in Italia (nello stesso processo figura anche il 65.enne). Ma non è l’unico amico «impresentabile». Un altro complice è stato condannato a Como a dicembre a tre anni di reclusione, per avere tentato di fare entrare illegalmente in Italia 200mila euro dagli Emirati Arabi. Nello stesso processo (l’inchiesta «Scirocco» conclusasi nel 2017) anche il 65.enne ha patteggiato una condanna.
«Eravamo in buona fede»
Insomma il trio si conosceva da tempo, e gravitava a Chiasso attorno a una rete di indirizzi nel raggio di poche centinaia di metri dal confine, tra le vie Valdani, Bossi e corso San Gottardo. Secondo i funzionari delle Dogane si trattava di società prestanome, che servivano a rivendere l’oro in Ticino e Svizzera interna con finte attestazioni di provenienza. «Ho capito subito che si trattava di un incarico di comodo», racconta un 64.enne di Chiasso, disoccupato e in invalidità, che figura come amministratore di una delle società. «In teoria ero pagato per fare la contabilità, in pratica facevano tutto loro - i tre indagati, ndr. - compresi i pagamenti dell’affitto». Anche in questo caso il prestanome era una persona «inconsapevole dei traffici in oro» e che aveva bisogno di lavorare. «Sono stato preso in giro - lamenta - e adesso mi ritrovo a dover pagare i precetti esecutivi» nella procedura di liquidazione aperta presso la Pretura di Mendrisio.
Ma in tutto ciò l’oro - tantissimo - che fine ha fatto? Le tracce fuori dall’appartamento in corso San Gottardo - ora affittato a una famiglia con bambini, totalmente all’oscuro di questa storia - seguono strade diverse. Una porta a una importante società di trading con uffici nella città di confine. Qui i prestanome del 65.enne avrebbero consegnato, in cinque anni, la bellezza di 4,1 tonnellate di oro semilavorato e sprovvisto di marchi. La società - non indagata - avrebbe pagato in contanti in varie «tranche» una somma che si aggira sui 145 milioni di franchi, almeno secondo quanto ricostruito dall’UDSC.
Abbiamo bussato alla porta del trader, che assicura di avere «agito in buona fede» e di essere stato ingannato da documenti contraffatti. «Chi ci ha fornito l’oro sembrava avere le carte in regola in quel momento», spiega al telefono uno dei titolari. «Per quanto riguarda le persona in sé, non eravamo tenuti a effettuare controlli su eventuali precedenti penali». Considerati i rischi reputazionali, tuttavia, la società assicura che non lo rifarebbe.
Dalla Germania al Ticino (di nuovo)
Un’altra strada porta a una delle tre principali raffinerie del Mendrisiotto, ma fa un viaggio molto più lungo e intricato. Circa due tonnellate di oro (valore commerciale: 70 milioni di franchi) sono arrivate in Liechtenstein passando dal San Bernardino, a bordo di auto «imbottite» di lingotti nascosti. Poi l’oro passa di mano: in parte viene venduto a una società della Svizzera interna, di proprietà di uno degli imputati nel processo tedesco, e in parte contrabbandato in Austria e Germania e qui venduto (sempre in contanti) ad altri intermediari.
Alla fine però l’oro «ripulito» è tornato quasi tutto in Ticino: ad acquistarlo in buona parte - scrivono testualmente i magistrati nella sentenza di Stoccarda - sarebbe stata «la filiale tedesca della raffineria svizzera Argor-Heraeus» (unico nome che emerge dalle carte tedesche), la quale poi «trasferiva il metallo alla casa madre a Mendrisio», evidentemente ignara dei diversi passaggi, per fonderlo e trasformarlo in oro da investimento.
La Argor Heraeus, con cui la Domenica ha correttamente preso contatto per offrire la possibilità di chiarire i contorni della vicenda, ha preferito non commentare. «Non siamo a conoscenza di alcun collegamento tra la nostra azienda e il caso di contrabbando d’oro» uscito sui giornali nei giorni scorsi. Anche i magistrati tedeschi confermano che «non ci sono stati contatti» diretti tra la raffineria e il 65.enne incolpato in Ticino, il quale si sarebbe tenuto nell’ombra per non destare sospetti.
Quest’ultimo - va ricordato - è l’unica persona di cui in Svizzera sono emersi presunti comportamenti di rilevanza penale, secondo gli inquirenti. In effetti, il lungo giro seguito dall’oro dimostra come la barriera di controlli eretta ormai da tempo dalle principali raffinerie ticinesi (oltre a Argor Heraeus, Valcambi e MKS-Pamp) tra rigorose verifiche legali e di tracciabilità, sia difficile da penetrare.
La fonderia «distratta»
Ma non ci sono solo le grandi aziende. La terza e ultima pista conduce a una piccola fonderia nel distretto industriale di Mendrisio. È iscritta anch’essa all’associazione di categoria (ASFCMP) ma non ci sono metal-detector all’ingresso, le misure di sicurezza ricordano quelle di una ricicleria, più che i caveau delle raffinerie patinate. È qui - ha ricostruito l’inchiesta ticinese - che il 65.enne e la sua organizzazione avrebbero consegnato, in più viaggi, oltre 900 kg d’oro come si porterebbero dei rifiuti all’ecocentro, o negli impianti di smaltimento rifiuti che - per altro - circondano la fabbrica. L’imputato era nella lista delle persone autorizzate a entrare nello stabile per effettuare le consegne: ma quando il direttore sente il suo nome, durante una visita della Domenica, nega di conoscerlo.
In realtà non è la prima volta che l’azienda viene coinvolta in inchieste giudiziarie (e giornalistiche). Nel 2019 è stata sanzionata dall’Amministrazione federale per avere acquistato oro importato illegalmente dall’Africa Occidentale, e confiscato all’aeroporto di Zurigo. Nel 2022 invece è stato il Ministero Pubblico ticinese a far visita alla fonderia, sequestrando oro che l’azienda - non indagata, neanche in quell’occasione - aveva acquistato da un faccendiere del Mendrisiotto. Anche allora il metallo proveniva dagli ambienti della malavita del Nord Italia, ed era stato importato in Ticino illegalmente. E anche allora una parte del «tesoro» era stata acquistata dalla stessa importante società di trading di Chiasso, alla cui porta hanno bussato gli ispettori doganali - e la Domenica - sulle tracce del 65.enne. Un’altra coincidenza?
Entrambe le società negano all’unisono di avere «mai acquistato metallo in contanti» anche se l’UDSC sostiene il contrario. Dopo un iniziale spaesamento, il direttore della fonderia ci accompagna in visita nella fabbrica. «Visto? Non abbiamo niente da nascondere», dice alla fine del tour. «Alla prossima, quando volete» saluta all’uscita. Sembra avere ritrovato il sorriso.