Quel Maometto all’Inferno che resiste alle minacce e alla cancel culture
Mica te lo dicono che a Bologna c’è Maometto all’Inferno. Religiosi e appassionati di arte ne sono certamente a conoscenza. I bolognesi lo sanno bene, ma ne parlano poco. Tanti invece sono all’oscuro di tutto, perché quella raffigurazione non viene pubblicizzata. Si trova all'interno della Basilica di San Petronio, in piazza Maggiore. È Pasqua e la Santa messa attira i fedeli, tutti in fila all’ingresso, come formichine. Un luogo speciale, con misure speciali: due militari armati e con metal detector osservano la fiumana di gente. Ogni tanto fermano qualcuno. L’attenzione è cresciuta in seguito all’11 settembre e dal 2015, dopo gli attacchi terroristici in Francia, la Basilica è sorvegliata speciale. È finita nel mirino dei jihadisti, proprio per quell’immagine, quel dantesco Maometto che non viene neppure citato nella brochure fornita ai visitatori. Anche le audioguide sorvolano: visti i tempi, è un particolare che è meglio omettere.
San Petronio in piazza Maggiore
La Basilica di San Petronio, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 1390, è la sesta chiesa più grande d’Italia: è lunga 132 metri, larga 60 e ha un'altezza della volta di 44,27 metri (sulla facciata tocca i 51 metri). Domina piazza Maggiore a Bologna ed è caratterizzata da una facciata incompiuta, divisa a metà: la parte inferiore, marmorea, appare chiara, mentre quella superiore, in materiale laterizio, è più scura. Al suo interno vi sono 22 cappelle, tra cui, sulla navata sinistra, quella dei Magi (voluta dal mercante di seta e benefattore Bartolomeo Bolognini). L’intera raffigurazione della Cappella dei Magi venne affidata a Giovanni da Modena, che ne realizzò gli affreschi tra il 1410 e il 1420. Sulla parete in fondo sono rappresentati episodi della vita di San Petronio, su quella di destra le storie dei Magi, descritte nel Vangelo di Matteo, mentre sulla sinistra è raffigurato il Giudizio Universale. Al centro dell’Inferno svetta Lucifero, intento a masticare Giuda Iscariota nella sua bocca centrale. Tutti i dannati presenti negli inferi sono puniti secondo lo schema della Divina Commedia di Dante Alighieri: fu proprio il Sommo Poeta a collocare Maometto all’Inferno.
Maometto, il «seminatore di discordie»
Nell’opera di Dante, il profeta e fondatore dell'Islam si trova tra i seminatori di discordie della IX Bolgia dell'VIII Cerchio dell'Inferno. Maometto, nella rappresentazione di Giovanni da Modena, è sdraiato su una roccia, nudo, con la pancia gonfia, le mani legate dietro la schiena. Ha un’espressione sofferente e viene tirato per il collo da un diavolo. Il profeta, per non lasciare spazio all’immaginazione, è indicato a chiare lettere con la scritta «Machomet». Nell’opera dantesca la scena è più truculenta: Maometto, condannato in quanto esponente scismatico della discordia con la Chiesa romana, viene mutilato da un diavolo armato di spada e si presenta tagliato dal mento all'ano, con gli organi interni che gli pendono tra le gambe.
La minaccia islamista
La Basilica di San Petronio è già finita nel mirino dell’ISIS ed è considerata un luogo sensibile. Il Messaggero ricorda come nel 2002 venne scoperta una decina di marocchini e tunisini residenti a Milano che stavano organizzando un piano terroristico. Gli uomini facevano parte di una cellula del Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento, ed erano fuoriusciti dal GIA, Gruppo Islamico Armato. Nel 2014, in un articolo del Giornale, il capo dei servizi segreti marocchini rivelò di aver impedito a una cellula di jihadisti di colpire San Petronio: «Abbiamo sventato una serie di attentati alla metropolitana di Milano e alle Basiliche di Bologna e Padova. La cellula era marocchina e interagiva con alcuni fiancheggiatori in Italia. Siamo riusciti a fare un buon lavoro. Il gruppo è stato messo nelle condizioni di non nuocere». Nel 2015, dopo gli attentati avvenuti a Parigi, il livello di allarme è stato elevato ulteriormente, con militari, transenne e controlli tramite metal detector all’ingresso della chiesa.
E la «cancel culture»?
«Non c'è niente di offensivo o irriverente nell'affresco» sosteneva nel 2015 monsignor Oreste Leonardi, primicerio della Basilica, sulle pagine di Bologna Sette, l’inserto domenicale allegato ad Avvenire. Secondo il religioso, infatti, «il riferimento a Maometto è l'indicazione del fatto che egli avrebbe infranto l'unità della Chiesa, e ora è la sua stessa persona che viene lacerata nella sua integrità». E ancora: «È la tragica rappresentazione di una umanità destinata a perdersi, se non recupera il senso vero della propria vita». Insomma, una rappresentazione che va contestualizzata all'epoca dell’affresco, il 1400, ma soprattutto inserita nell'ambito della Divina Commedia, cioè un poema allegorico composto circa un secolo prima del dipinto. Oggi la questione è decisamente più spinosa rispetto a qualche anno fa: non c’è solo il terrorismo di matrice islamista, ma anche l’esplosione di discutibili atti di revisionismo, inquadrabili nel fenomeno definito «cancel culture». Basti pensare a chi è arrivato ad abbattere statue di Cristoforo Colombo o a voler oscurare classici del cinema, chiaramente figli del loro tempo. Senza contare chi, in nome del politicamente corretto, modifica i testi di scrittori quali Roald Dahl, Ian Fleming e Agatha Christie perché possano essere accettati da tutti. Oggi sorprende che nessuno abbia puntato il dito contro Dante Alighieri o chiesto la rimozione del Maometto raffigurato in quel modo all'interno di una chiesa cattolica. Forse fanno bene i bolognesi: meglio parlarne il meno possibile, ché tanto di tesori culturali da scoprire l'Italia ne è piena.