L'analisi

Dazi, i mercati bocciano Trump: dalle Borse emerge il dissenso

I rimbalzi in singole sedute non possono coprire il fatto che la tendenza dei listini adesso sia al ribasso e non più al rialzo – L’offensiva USA verso la Cina si è fatta più aspra, mentre la tregua di 90 giorni con l’Europa e altre aree sta solo rimandando il problema
©Richard Drew
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
14.04.2025 06:00

Il vento nelle ultime settimane è cambiato sui mercati, questo è chiaro. Dopo due anni, il 2023 e il 2024, con bilanci annuali nel complesso nettamente positivi, le Borse mondiali all’inizio del 2025 hanno cominciato a mostrare oscillazioni. Tra fine marzo e inizio aprile, poi, le cadute degli indici si sono fatte consistenti. E i rimbalzi in singole sedute ora non riescono a coprire quella che appare come una tendenza non più al rialzo bensì al ribasso. Per cercare di capire quanto potrebbe durare questo nuovo quadro, in cui la volatilità e la discesa degli indici borsistici sembrano prevalere, occorre rifarsi alla causa maggiore di questo sommovimento.

L’incertezza

La ragione principale del cambiamento è in tutta evidenza l’estensione della guerra dei dazi voluta dal presidente USA Trump, con il suo protezionismo estremo. La realtà ha fatto cadere le illusioni di una parte dell’economia e della politica su un’azione moderata di Trump. La tregua di 90 giorni poi proclamata dello stesso Trump, dopo le turbolenze sui mercati di azioni e obbligazioni, è stata accompagnata comunque da maxi dazi contro la Cina (che ha risposto con controdazi) e dal mantenimento di un 10% in più di dazi contro l’Europa e altre aree. La tregua ha suscitato sollievo, ma ha solo rimandato il problema e lo stesso dicasi per le esenzioni dai dazi per una serie di prodotti. Occorre inoltre aggiungere che le promesse di Trump su un superamento rapido dei conflitti bellici, e in particolare di quello tra l’Ucraina e la Russia, sin qui non si sono tradotte in fatti. Le tensioni economiche crescono e quelle geopolitiche non diminuiscono. Questo è per ora il bilancio, negativo, della nuova presidenza Trump.

Le Borse non amano l’incertezza e l’Amministrazione Trump non l’ha ridotta, l’ha aumentata a vari livelli. Inoltre, tra gli operatori sono in molti a pensare che i dazi non siano per nulla la ricetta giusta per ridurre il deficit commerciale USA. Dall’insediamento di Trump in gennaio si sono moltiplicati i tentativi dei Governi di negoziare con Washington - anche la Svizzera sta tentando di farlo - ed è auspicabile che trattative ci siano. Ma è un auspicio, per ora il percorso non è chiaro. E poi, ammesso e non concesso che si possano fare accordi equilibrati con gli USA ultra protezionisti di oggi, resta l’incertezza sul futuro, visto che Trump può cambiare rapidamente posizione. I commerci nei prossimi mesi potrebbero subire frenate consistenti e in tale quadro tra gli operatori salgono i timori su una recessione, USA ma anche internazionale, e su una ripresa dell’inflazione, a causa degli aumenti dei prezzi provocati dai dazi.

La discesa

Le Borse avevano superato in tempi brevi gli effetti della pandemia, salendo nel 2020 e nel 2021. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con le sue conseguenze economiche e politiche, insieme ad altri fattori aveva portato alla discesa del 2022. Nei due anni successivi, come detto, bilanci positivi. Il 2025 sembrava poter portare un altro bilancio annuale positivo, nonostante le tensioni geopolitiche, ma gli annunci di Trump hanno mutato il quadro. L’indice borsistico mondiale Msci Acwi in dollari alla chiusura di quest’ultimo venerdì era in aumento ormai solo del 3% rispetto a un anno prima (lontano dai picchi precedenti). La caduta dell’indice mondiale è chiara se calcolata rispetto a inizio 2025 (-6% circa) ed è più ingente in rapporto ai massimi toccati in febbraio (-11% circa).

La Borsa americana è stata molto colpita dai ribassi. Ma anche le Borse europee, che pure erano salite bene sino a marzo, hanno subito in queste ultime settimane l’onda negativa della guerra dei dazi. Le Borse asiatiche, che avevano avuto sino al mese scorso un panorama misto, sono state anch’esse colpite dalle turbolenze provocate da Trump. La Borsa svizzera, parliamo qui dell’indice principale, lo SMI, quest’ultimo venerdì era in discesa di circa il 2% rispetto a un anno prima, del 4% in rapporto a inizio 2025 e del 15% rispetto ai suoi massimi di inizio marzo.

Le prospettive

Vista l’alta volatilità presente, fare previsioni è ancora più difficile. Molto continuerà a dipendere, questo è ovvio, da ciò che farà o non farà l’Amministrazione Trump, soprattutto in tema di dazi e di contrasti geopolitici. Se ci fossero allentamenti delle tensioni su questi due versanti decisivi, le Borse ne trarrebbero beneficio e potrebbero anche riprendere il cammino sostanzialmente positivo che hanno dovuto interrompere bruscamente dopo il ritorno di Trump alla presidenza USA. Se non ci fossero miglioramenti su dazi e geopolitica, la volatilità continuerebbe e la tendenza al ribasso potrebbe chiaramente prevalere ancora e allungarsi nel tempo. La verifica nei prossimi mesi.

Quelle cadute del dollaro e dei titoli di Stato di Washington

Il dollaro USA aveva già cominciato a scendere in precedenza, ma gli annunci dei nuovi dazi di Trump, all’inizio di questo mese, hanno accelerato la discesa. In parallelo, nei giorni scorsi il titolo di Stato americano (Treasury) ha registrato inusuali scossoni, con una parte degli investitori che lo ha considerato meno attrattivo e con una crescita dei tassi di interesse che Washington deve pagare, fattore che segnala che il mercato assegna ora un maggior grado rischio ai titoli USA. La guerra dei dazi voluta da Trump sta facendo aumentare la tensione su due baluardi finanziari degli Stati Uniti. Ai dati della chiusura di questo venerdì, il dollaro rispetto a un anno prima è in perdita di circa il 6% sull’euro. Per 1 euro ci vogliono 1,13 dollari, contro gli 1,08 di dodici mesi prima. È interessante anche vedere come la risalita dell’euro si sia concentrata da fine febbraio a oggi, con il crescere della vicenda dazi. L’euro, che due mesi fa era a 1,03 dollari, ha ripreso quota e ha fatto un balzo in aprile. Discorso analogo, pur meno accentuato, per il cambio del dollaro con la sterlina britannica. Per 1 sterlina ci vogliono ora 1,30 dollari, contro gli 1,24 di un anno fa, con una discesa della valuta USA di oltre il 4%. Il dollaro scende perché è ciò che vuole Trump per aiutare l’export USA? Oppure perché cresce la sfiducia nei confronti delle politiche di Washington? In molti ora pensano che la ragione principale sia quest’ultima. Il dollaro e i titoli di Stato USA hanno intrecci. Il dollaro, che è la maggiore moneta di scambio e di riserva, contribuisce all’attrattività dei titoli statunitensi che sono appunto denominati in dollari. I titoli di Stato americani contribuiscono d’altro canto all’attrattività del dollaro, perché sono considerati in genere ad alta affidabilità e indicati spesso come beni rifugio. Qualche ombra sul dollaro e sui titoli di Stato USA era già comparsa a causa di deficit e debito pubblici statunitensi, ormai cronicamente elevati. Ma in queste settimane si è visto di più, con le discese di valuta e titoli. Per quel che riguarda questa caduta dei titoli Stato USA, sul mercato circola con insistenza l’ipotesi che la Cina - che è al secondo posto tra gli investitori esteri in obbligazioni pubbliche USA, alle spalle del Giappone - abbia accelerato molto le vendite di questi titoli, sull’onda dello scontro sui dazi di Trump. Non ci sono prove, ma l’ipotesi non è priva di fondamento. D’altronde, oltre alla Cina anche altri Paesi potrebbero aver alleggerito le loro posizioni nei titoli USA. C’è il citato Giappone, ma ci sono anche molti Paesi europei (Svizzera inclusa) tra i maggiori detentori di questi titoli. Anzi, sommando le cifre dei Paesi dell’Europa (della UE ma non solo), l’aggregato europeo è al primo posto. Tornando al campo valutario, va detto che il dollaro ha perso terreno sul franco svizzero, ancor più che sull’euro. Alla chiusura di questo venerdì il dollaro era a 0,81 franchi, oltre il 10% in meno rispetto a un anno prima, con una caduta particolare dall’inizio di questo mese. L’euro era a 0,92 franchi, con un ribasso di circa il 5% in rapporto a dodici mesi prima. Le incertezze economiche e geopolitiche, e ora la guerra dei dazi, portano ancor più verso il super franco elvetico molti investitori, sia svizzeri sia esteri. Le stesse incertezze spingono gli investitori verso l’oro, che sta ormai infrangendo record su record. Questo venerdì in chiusura il metallo giallo spot era a 3.236 dollari per oncia, un prezzo che rappresenta un rialzo di ben il 36% rispetto a un anno prima. Anche nel caso del metallo giallo nelle ultime settimane la corsa della quotazione si è rafforzata, solo con qualche piccolo intervallo dovuto alle vendite di investitori che avevano bisogno di mezzi per far fronte alle discese delle Borse dopo gli annunci di Trump. L’oro è molto in alto e la guerra dei dazi evidentemente gli fornisce altro carburante.