Ucraina, Russia e Bielorussia: ecco perché non sono un unico popolo
Si avvicina il triste anniversario di un anno di guerra su larga scala in Ucraina. Il dovere di seguire la cronaca degli eventi fa talvolta passare in ombra le questioni di fondo, quelle che obbligano a prendere posizione e ad andare oltre il necessario ma non sufficiente sentimento di solidarietà verso un popolo che sta rivivendo gli orrori delle guerre mondiali a poca distanza dalle nostre città.
Vi è una questione essenziale: cosa motiva la diversità fra ucraini e russi, mentre Vladimir Putin pretende che siano un sol popolo, insieme ai bielorussi? L’Ucraina, in fondo, non è una parte della Russia?
Sappiamo che l’Ucraina si è resa indipendente separandosi dall’Unione sovietica, pochi mesi prima che quest’ultima finisse i suoi giorni, nel 1991. Sulle origini, però, molti libri di Storia ripetono la lettura dei fatti stabilita da Mosca. Ciò è ancor più evidente in Italia, dove media e accademie hanno sempre avuto un occhio di riguardo per l’Unione sovietica e per l’esperienza del comunismo reale. Questo stato di fatto è presente ancora oggi, nella vicina Penisola, e talvolta condiziona la lettura di queste vicende anche in Canton Ticino.
Un mito da smontare
Per capire meglio dobbiamo guardare a un aspetto che è stato spesso sopraffatto dalle interpretazioni di parte: la relazione tra l’Ucraina e la Russia delle origini e le circostanze in cui l’Ucraina entrò a far parte dell’Unione sovietica, nel 1922. L’adesione dell’Ucraina all’URSS non era affatto scontata come ci sembra oggi.
Vi è un mito da smontare: che la Russia sia «nata dall’Ucraina» e perciò sia la legittima erede dell’antica Rus’, con capitale a Kyiv. Sulle cartine del Medioevo la Rus’ occupa all’incirca il territorio dell’Ucraina odierna, della Bielorussia e di alcune regioni a nord-est oggi russe. Nel momento di maggior splendore, intorno all’anno Mille, a sud sfiora il Mar Nero.
La Rus’ cessa di esistere soffrendo una lunga agonia che gli storici fanno cominciare per convenzione nel 1054. In quell’anno muore il principe Jaroslav II «il Saggio» e lo Stato comincia a sfaldarsi per le lotte tra i suoi successori. Il colpo di grazia lo infliggono le invasioni dei Mongoli. In ondate successive, distruggono la statualità della Rus’. Nel 1240 avanzano sino a Kyiv e saccheggiarono la capitale. Scrivono così la data che la Storia considera come fine formale dell’influente Stato della Rus’.
Avviene qui la svolta che la storiografia sovietica non ha mai accettato, come buona parte di quella europea. Sulle ceneri della Rus’, su quello che era il suo ampio territorio, si sviluppano i tre Stati slavi che conosciamo oggi: uno, la Bielorussia, nello spigolo nord-occidentale, risparmiato dalle invasioni dei Mongoli; l’altro, l’Ucraina, intorno da Kyiv verso sud. Per il terzo, a nord-est, non si parla ancora di «Russia»: il principato che nasce intorno a Mosca, a quel tempo un modesto insediamento periferico, si chiama e si chiamerà ancora per secoli «Moscovia». Dalla scomparsa della Rus’ nascono perciò tre entità distinte, che si sviluppano secondo culture, storie e relazioni diverse.
La Moscovia non si acconenta
La Moscovia, però, non si accontenta. A partire dal regno di Ivan IV «il Terribile» si allarga verso nord-ovest e pretende di sovrapporsi agli altri Stati sorti sul territorio che era della Rus’. Gli ucraini si trovano tra due fuochi: a est la Moscovia, a ovest la Confederazione polacco-lituana. In rivolta contro quest’ultima, l’Ucraina chiede protezione a Mosca e nel 1654 stipula un trattato di unione con la Moscovia. Il fatto stesso che sia esistito tale trattato, e che Mosca, in circostanze precedenti, avesse invece rifiutato di negoziarlo, indica che le due entità erano ben distinte: se la Moscovia fosse stata una sola cosa con l’Ucraina, non vi sarebbe stato bisogno di un atto di federazione così solenne. Il trattato riconosceva autonomie specifiche all’Ucraina (ai cosacchi zaporoghi, che allora ne governavano il territorio). Comincia così il matrimonio fra ucraini e moscoviti. Durerà 337 anni, ma non è sempre la storia felice che i saggisti sovietici raccontano. I russi nutrono per i loro vicini un fastidioso senso di superiorità che dura fino a oggi.
Mosca continua a espandersi. Nel 1721 vince la Guerra del Nord e si impossessa della regione che oggi corrisponde a Lituania, Lettonia ed Estonia, oltre alla Bielorussia. È l’opera di Pietro I «il Grande», che proclama in quell’anno «l’Impero russo». Si ufficializza l’uso del termine «Russia» per indicare i territori di Mosca, che ormai, anche nel nome, si fregia di essere l’unica erede del glorioso passato della Rus’. Dice Kerstin S. Jobst, nella sua agile ma puntuale Storia dell’Ucraina (Geschichte der Ukraine, Reclam, Stoccarda, 2010): «L’idea che la Moscovia fosse l’erede legittima della Rus’ si è rivelata molto persistente, anche se questa visione storica è stata modificata e adattata di volta in volta allo spirito del tempo».
Nella realtà, Ucraina e Bielorussia restano diverse dalla Russia e salvaguardano le loro identità, pur con grande fatica. Lo stesso deve dirsi per Lituania, Lettonia ed Estonia. Nonostante i numerosi tentativi dell’Impero russo di schiacciare le loro culture, queste popolazioni hanno mantenuto le loro identità sino a oggi, dopo tre secoli di assoggettamento.
Ammalato di cattiva amministrazione, iniquità e sottosviluppo, nel 1917 l’enorme Impero russo cade sotto i colpi della Rivoluzione d’ottobre. Gli imperi centrali occupano Ucraina e Bielorussia e sostengono la loro aspirazione all’indipendenza. Ancora Kerstin Jobst: «Con l’occupazione […] gli imperi centrali vogliono ammorbidire il governo sovietico, e ci riescono». Piegato il negoziatore Lev Trockij, poco disponibile ai compromessi, la Russia accetta il trattato di Brest-Litovsk. È un altro momento che la storiografia spesso mette in ombra: nel 1918 la Russia perde Ucraina, Bielorussia e i tre Stati baltici; rinuncia alla Finlandia e alla parte di Polonia che controllava dall’ultima spartizione.
Il risultato è che sulle mappe d’Europa, alla fine della Prima guerra mondiale, il confine occidentale della Russia è già molto simile a quello di oggi. Finlandia e Polonia manterranno l’indipendenza. I Paesi baltici saranno annessi all’Unione sovietica nel 1939. Il sogno di indipendenza di Ucraina e Bielorussia dura poco: tradite da debolezza interna e incertezza nei rapporti con gli alleati, cedono alla Russia e alla pressione dei Bolscevichi tra 1919 e 1920.
L'assetto federale
Ed eccoci al dunque: compiuti questi passaggi, Lenin e il governo russo cominciano a chiedersi come organizzare il nuovo Stato sorto dalla Rivoluzione d’ottobre. Il percorso verso la nascita dell’Unione sovietica non è privo di incidenti.
Cosa succede lo racconta Orest Subtelny, nella sua fondamentale Ucraina – Istorija (Storia dell’Ucraina), la cui ultima edizione è uscita in lingua russa nel 1994. Stalin vuole includere i popoli non russi dell’ex Impero in uno Stato centralizzato, controllato da Mosca. L’Ucraina e tutti gli altri non ci stanno e minacciano la ribellione. Lenin – non meno duro di Stalin, ma più colto e intelligente – capisce che il nuovo Stato, a queste condizioni, nasce morto. È sua, la celebre frase: «Bez Ukrainy Sovetskogo Sojuza net!» – Senza l’Ucraina, l’Unione sovietica non esiste. La ripeteranno tutti i leader sovietici, ricordava Leonid Kravčuk, primo presidente dell’Ucraina indipendente, recentemente scomparso.
Già malato, Lenin s’inserisce nei negoziati e impone per la nascente Unione sovietica un assetto federale, affinché ogni popolo senta tutelata la sua autonomia politica e culturale. Solo così gli ucraini accettano di far parte dell’Unione sovietica, che viene proclamata il 30 dicembre 1922.
Le autonomie promesse da Lenin, poi iscritte nella Costituzione del 1924, restano in gran parte lettera morta. Hanno dei meriti, però: lo Stato riconosce per la prima volta che sui territori dell’ex Impero russo vivono popoli che non sono russi, non hanno intenzione di diventarlo e non sono disposti a farsi dirigere dalla bacchetta di Mosca. Per un certo tempo si assiste a un sincero recupero delle lingue e culture non russe, ma durerà poco. La nascita dell’Unione sovietica obbliga a definire i confini amministrativi tra le repubbliche che la compongono: subiranno modifiche, ma tracciare quelle frontiere interne significa riconoscere il diritto all’autodeterminazione dei popoli non russi all’interno dell’Unione. Vedremo come Vladimir Putin, nel 2022, distorcerà a propria convenienza questi eventi.
È per questo tortuoso passato, che Ucraina e Bielorussia reclamano la loro indipendenza dalla Russia. Se non si risale a queste radici, è facile considerare russi, ucraini e bielorussi un unico popolo dalle origini confuse nell’antica Rus’, ignorando le profonde cesure storiche intervenute nei secoli. E’ ciò che Putin e i suoi ideologi pretendono di imporre con le armi. Si scontrano con la consapevolezza e l’orgoglio degli ucraini per la loro storia e la loro identità.