Il commento

Mike Tyson come Rocky Balboa, ma il ring non è un film

Tanto spettacolo, poca boxe: l'incontro con Jake Paul ha mostrato come i ritorni non sono necessariamente epici, ma possano lasciare una profonda malinconia
Mattia Sacchi
16.11.2024 10:49

Nel 2006 usciva nelle sale di tutto il mondo Rocky Balboa, sesto capitolo dell'iconica saga. Un film nel quale il pugile più amato nella storia del cinema, dopo anni dal suo ritiro, si rimetteva in gioco sfidando il campione del mondo di categoria per dimostrare, a sé stesso e al figlio, che era ancora il campione di una volta. 

Un ultimo incontro che ha esaltato tutti i figli degli anni '80 che, come lo scrivente, sono cresciuti con le imprese del pugile italoamericano interpretato da Sylvester Stallone. Il quale, nel film, aveva la veneranda età di 59 anni. Praticamente la stessa di Mike Tyson quando è tornato sul ring ieri notte per combattere contro il 27.enne Jake Paul, di 31 anni più giovane. 

Rocky Balboa e Mike Tyson, due storie curiosamente parallele. Abbiamo imparato ad amarli entrambi, ad esaltare le loro vittorie e pure ad accettare i loro demoni. Probabilmente grazie alla contemporaneità dei rispettivi successi, al botteghino o direttamente sul quadrato, si sono pure aiutati a vicenda, diventando il simbolo della boxe di fine millennio. Ma se lo sono diventati è perché Rocky, perlomeno nei suoi primi cinque capitoli, in un certo senso ha rappresento l'esaltazione cinematografica della forza, della determinazione e della passione che potevamo vedere negli incontri di Tyson. 

Ieri notte i ruoli si sono però invertiti. È la vita vera che si è adattata al sesto e ultimo capitolo di Rocky Balboa: non è più il personaggio inventato a ispirarsi alla realtà ma è l'esatto opposto. E se il cinema ha la capacità di romanzare le imprese sportive, l'evento di ieri ha creato un corto circuito nel quale a essere enfatizzato è stato lo show. Perché diciamocelo chiaramente: di boxe, ma più in generale di sport, non c'è stato nulla.

Senza troppe inutili, visto il contesto, analisi tecniche, il giovane Tyson avrebbe spedito il paradenti di Jake Paul, con la sua guardia costantemente scoperta, alle ultime file dell'AT&T Arena già nei primi secondi del primo minuto, l'unico dove l'ex campione del mondo ha effettivamente combattuto. Dopo quell'effimero momento di vitalità, sette lunghe e noiose riprese nelle quali sembrava che l'unica strategia di Iron Mike fosse quella consigliata da Moe Szyslak a Homer Simpson nella puntata in cui si improvvisava pugile: stai completamente immobile e spera che il tuo avversario si stanchi.

Ma appunto, quel giovane e feroce pugile non esiste più. E vederlo salire sul ring, sbracciare, non riuscire a mettere insieme una frase di senso compiuto a fine incontro non è stato epico, solo tristemente malinconico. Lo diceva pure Max Pezzali, il tempo passa per tutti lo sai, nessuno indietro lo riporterà, neppure noi. Neppure un grande campione come Mike Tyson. Forse solo Rocky Balboa. Ma quello è un film, il mondo reale è un'altra cosa. 

 

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